Yves Bonnefoy: solo la poesia fa comprendere la realtà

Alla ricerca della conoscenza del reale attraverso la poesia

Yves Bonnefoy (1923 Tours -2016 Parigi), poeta francese, considerato uno dei poeti contemporanei più importanti e oltre che poeta, traduttore e critico d’arte, ha amato la matematica, la filosofia, la nostra Italia e la nostra arte e poesia. Una mente profonda, con un animo denso.

Un intellettuale completo che ha preso il posto di Valéry al Collège de France sulla cattedra di Studi comparati della funzione poetica. Un uomo che con totale lucidità entra a piene mani al centro di questioni come la natura della poesia. La sua indagine si riassume in una ricerca totalizzante sulla conoscenza del reale.

La conclusione del suo pensiero raggiunge una coscienza ferma e irremovibile: la ragione non può comprendere e conoscere il reale. All’uomo rimane solo la poesia e il poeta.

La tensione del linguaggio poetico offre una costruzione di suoni e colori che sono in grado di artefare, per le menti inquiete, un orizzonte di sapori della realtà. La sola poesia è in grado di offrire questo che è il massimo per l’uomo. La poetica è il solo unguento alle ferite dell’impotenza che induce nell’uomo angoscia. La poesia è quindi scrittura, è quindi la forma d’impegno più profondo che esista. La poesia, come la democrazia, concede all’altro la possibilità di essere se stesso. Disporsi poeticamente è disporsi democraticamente.

Dalla raccolta L’ora presente (2013): 

Ti offro questi versi, non perché il tuo nome

possa mai fiorire in questo suolo povero,

ma perché tentare di ricordarsi,

sono fiori recisi, il che ha senso.

[…]

Tranciato il vero fiore diventa metafora,

Questa linfa che cola, è il tempo

[…]

Chi vuole avere, talvolta, la visita deve

amare in un mazzo che abbia solo un’ora,

la bellezza non è offerta che a tal prezzo.

Significativo il movimento di piani lessicali e la dinamica dei valori semantici e di pensiero che Bonnefoy crea attorno ad un verso esistenzialista. Questa ritengo la sua incommensurabile grandezza. Nella sua poesia i suoi studi di matematica e filosofia  donano un canto elevato dell’animo.

Eppure Bonnefoy opera una cosciente scelta di campo, che non si concede alla concettualizzazione. La sua poesia è richiamo al mondo reale della terra, dei fiori, dell’acqua, della pietra, del corpo, senza cadere nell’eccesso materialistico. Infatti, la sua opera tende a mitigare quella che possiamo definire una poetica delle cose presenti, perché pone le cose in una dimensione che sconfina nella metafora attraverso una serie di immagini, quali il tempo, l’amore, la bellezza, che ricorrono nel componimento.

Da un altro libro Du mouvement et de l’immobilité de Douve (1953) possiamo registrare che la ricerca della verità è una costante nella sua produzione. Bonnefoy è coerente con le sue scelte stilistiche. Douve è la protagonista femminile della raccolta, una figura ibrida tra una Menade e un’Artemide cacciatrice.

Verità

Così fino alla morte, volti riuniti,
gesti maldestri del cuore sul corpo ritrovato,
e sul quale tu muori, assoluta verità,
questo corpo abbandonato alle tue mani indebolite.

L’odore del sangue sarà quel bene che cercavi,
bene frugale che si irraggia su un aranceto
Il sole girerà, con la sua viva agonia
illuminando il luogo dove tutto fu rivelato
.

Infatti “cuore sul corpo ritrovato” o “corpo abbandonato” e “verità”; oppure “odore del sangue” viene spinto a divenire “ bene”.

Ancora reale crudo e atroce viene spinto dinamicamente sul limen dei valori esistenziali del pensiero umano che si estende su verità e bene. Ma non serve trovare una morale definita, solo un’evocazione laica che pone sullo scenario vivide tensioni dinamiche e tragedia. Ecco la forza del mito. Si sente necessariamente la sua sensibilità alla cultura greca e alla sacralità che questa attribuiva alla parola rivelatrice del mito.

Quindi la parola, che nella sua opera Bonnefoy definisce “compito fatale”, si fa autenticamente poetica, perché assume forza  poietica. La parola insegue l’essere nella ricerca del suo nome, e fornisce un nome  molteplice come le cose del mondo.

Ma l’indagine di Bonnefoy si sostanzia anche del suo interesse per la traduzione, perché se il linguaggio è il costruttore del sapore del reale, più linguaggi diversi saranno sapori differenti di un’uguale essenza. Ed ecco le sue traduzioni di Shakespeare, Keats, Donne. Ma per noi italiani sono davvero illuminanti le traduzioni di Leopardi e Petrarca.

La poesia esplica quanto possiede in sé: quella virtù creatrice, demiurgica che si rivela quando compie l’atto generativo della denominazione. La parola viene quindi ad assumere per l’uomo un compito, un significato elevato e primigenio, come Bonnefoy ripetutamente la evoca.

Essa ci dona il profumo del canto dell’anima e al contempo l’azione estrema, fondante ed identitaria perché ci ha offerto e continua ad offrirci la suprema esperienza conoscitiva.

Foto: Yves Bonnefy

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