Firenze – Davanti al vero e proprio boom che sta conoscendo il welfare aziendale in Italia, è senz’altro necessario risalire alle cause. Il quadro, ampio e dettagliato, emerge da una ricerca condotta da A.T. Kearney (una società globale leader nella consulenza strategica, con sedi in oltre 40 paesi, attiva dal 1926, targata USA) per Sodexo Benefit&Rewards Services, che si occupa di “servizi” ad ampio raggio rivolti al personale di aziende, amministrazioni pubbliche, scuole, ecc. Fra questi, oltre a buoni pasto, buoni regalo e servizi per la mobilità casa-lavoro, costruisce per le aziende (e gestisce) strategie e programmi di incentivazione e loyalty personalizzabili, oltre a programmi di welfare su misura. Per valutare l’impatto di tali attività, che stanno cambiando il volto del mondo del lavoro e soprattutto delle relazioni aziendali, la sola Sodexo gode di oltre 450.000 utilizzatori e di 100.000 affiliati sul suolo italiano.
Il quadro che sta permettendo il rapido accrescere del cosiddetto “welfare aziendale” vede la compresenza di vari fattori. Secondo la ricerca, “una popolazione sempre più anziana, la necessità di arrestare il rapido innalzamento della spesa pubblica per la sanità, in un contesto italiano dove è in atto un processo di detassazione per i servizi di welfare per i privati”, sono i fattori scatenanti la corsa al welfare aziendale. Il trend è in costante crescita: secondo i dati diffusi dalla società americana, “ben 7 imprese italiane su 10 (69%) infatti hanno rivelato l’intenzione di investire in piani welfare per i propri dipendenti. Se il 33% ha riferito di essere già all’opera per implementare i propri piani, ben il 36% ha ammesso la decisione di mettere in campo nuovi investimenti nel settore”.
Una situazione che fotografa in buona sostanza la crisi sempre crescente della sanità pubblica in Italia, in particolare per quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione, che comporta un innalzarsi del bisogno di cure. Per dare un esempio significativo di ciò che ci aspetta, nel 2030 gli over 65 in Italia saranno ben il 26% della popolazione totale, circa 16,5 milioni di persone. “Uno scenario – trae le conclusioni l’agenzia globale che ha compiuto la ricerca – in cui si rende necessario per lo Stato collaborare con il settore privato per abbattere la spesa sanitaria attraverso i benefit. Infatti l’Italia è tra gli stati in cui la spesa sociale incide maggiormente sul PIL: ben il 30,2%, con una crescita dell’1,5% negli ultimi 5 anni”.
Del resto, la “rivoluzione” sta avanzando a grandi passi. Ne fanno fede le nuove normative a favore del welfare del settore privato. La ricerca è stata illustrata ieri in occasione del World Business Forum di Milano. L’analisi condotta da A.T. Kearney per Sodexo Benefit&Rewards Services ha esaminato le interviste di oltre 50 aziende, tra grandi imprese e PMI con sede in Italia, per mettere in luce i piani presenti e futuri delle aziende italiane relativi al welfare e quali sono le ragioni che le spingono a investire nel settore.
Sergio Satriano, CEO di di Sodexo Benefit&Rewards Services, non ha dubbi e lancia il tema della cosiddetta “humanification”, vale a dire, mettere al centro del progetto le persone, come “chiave per guidare le aziende nel trovare le risposte più adatte alle necessità dei propri dipendenti”. Così, l’offerta si organizza in tutte le direzioni del welfare, della cura, del tempo libero, insomma, in tutto ciò che può riguardare la persona, al di là del lavoro inteso in senso stretto. “ Dal family care ai buoni pasto, dai buoni shopping alla previdenza complementare, dal personal care ai servizi per la mobilità, sono numerosi gli strumenti per incrementare la qualità della vita dei lavoratori e migliorarne le performance. Sodexo inoltre da anni ha puntato sulla digitalizzazione dei servizi come ulteriore chiave per concretizzare al meglio l’offerta rendendola dinamica e flessibile sulle nuove necessità ed esperienze d’uso dei nostri consumatori”.
Del meccanismo fanno parte anche alcune variabili connesse, come ad esempio, per quanto riguarda le motivazioni che spingono imprenditori e aziende ad affidarsi ai piani di welfare per lo sviluppo dei propri affari, il cosiddetto customer retention, che giunge al 76%, e riguarda quel meccanismo che, attraverso l’offerta di benefit sempre più soddisfacenti, aumenta la fidelizzazione dei clienti e dei lavoratori stessi. Subito dopo, si colloca la necessità di attrarre talenti, al 71%, fondamentale per le aziende che propsettano allettanti piani welfare, mentre sul terzo gradino del podio si attesta “l’engagement (54%), grazie al quale l’azienda tenta di creare “legami” forti con i suoi collaboratori”. Insomma un misto di necessità di aumentare la lealtà, l’attaccamento dei lavoratori e dei clienti non dosgiunto da una punta di marketing. Che funziona: secondo i sociologi norvegesi Kjetil van der Wel e Knut Halvorsen delle università di Oslo e Akershus, recentemente intervenuti sul magazine World Finance, “Generosi benefit nel campo del welfare rendono le persone più desiderose di lavorare”. Un’altra ricaduta positiva sembrerebbe quella di un miglioramento dell’atmosfera sul luogo di lavoro. Insomma più welfare, meno tensioni fra colleghi. Un risultato corroborato da un dato reale, il 62% delle imprese intervistate, il che provocherebbe conseguenze dirette e positive su produttività e reputation aziendale. Altri effetti favorevoli: “Per oltre un imprenditore su due (52%) questa scelta permette di attrarre più facilmente i talenti sul mercato del lavoro, mentre la percentuale scende leggermente al (48%) per la diminuzione del turnover, il coinvolgimento delle risorse (47%), la diminuzione dell’assenteismo (39%) e l’aumento della capacità di spesa per il Paese (32%)”.
Non solo mutamento delle politiche interne alle imprese, i piani di welfare aziendale vanno a impattare direttamente sulle politiche retributive delle imprese italiane, con un significativo impatto sulle remunerazioni, o meglio, sulla loro tipologia. Il welfare aziendale sta infatti “costantemente acquisendo una crescente importanza nelle politiche retributive delle imprese italiane, sempre più interessate ad adottare sistemi di total reward atti a rispondere a un’ampia gamma di aspettative dei lavoratori”. Oltre la retribuzione monetaria, “tra le necessità più urgenti degli impiegati segnalate dalle aziende stesse si collocano al primo posto le misure per l’assistenza familiare, come i servizi scolastici e il baby-sitting, seguite dalle prestazioni assicurative e dai servizi legati al benessere personale. A seguire, stanno conoscendo un rapido sviluppo le gift card, i buoni pasto e il rimborso per le spese legate ai trasporti, pensato per i pendolari”.
Ed ecco il punto: il tema del welfare diventa “una delle strategie di creazione di valore nel rapporto con le persone più interessanti per le imprese italiane”. Si passa, secondo quanto spiegato da Luca Solari, professore ordinario di Organizzazione Aziendale e Direttore del corso di laurea magistrale “Management of Human resources and Labour studies” presso l’Università degli Studi di Milano, “da un ruolo residuale rispetto alla variabile salariale, a un ruolo centrale” dello sforzo economico in forme diverse di investimento nelle persone.
“La rigidità delle tradizionali leve salariali e i limiti derivanti dagli anni di crisi hanno richiesto una capacità d’innovare per garantire maggiore valore – conclude Solari – Conta ovviamente molto la leva fiscale e contributiva eccessiva che si scarica sulle retribuzioni e che rende scarsamente competitiva questa forma di ricompensa rispetto a quelle erogabili col welfare: in questo senso i piani welfare recuperano capacità di spesa. L’efficacia delle azioni di welfare dipende da diversi fattori quali l’età, la condizione familiare, il luogo di residenza che influiscono sui bisogni che il welfare può andare a soddisfare”.