Vivo morto o plastinato? Indubbiamente vivo certo lo so. Ma mi piaceva questa assonanza con le vecchie liriche di una nota canzone del nostro caro Ligabue per introdurre un argomento un po’ bizzarro. La morte lo sappiamo è trasformazione. Da qualsiasi punto di vista la vogliamo guardare – scientifico, religioso, mistico, ecc ecc – sempre di trasformazione si tratta.
Certo, non è edificante al massimo come trasformazione quella prettamente fisica che ci vede mutare (a seconda dei casi e delle nostre scelte personali) o in un mucchio di cenere o in un mucchio di ossa risultato della digestione di svariati organismi che hanno banchettato con noi… e quando dico “con” non mi riferisco propriamente a un banchetto in cui siamo seduti fianco a fianco a condividere il pasto con affamate e panciute callifore.
Ma andiamo oltre…
Come sono finita a parlare di morte? Beh, perché spinta dalla curiosità e dal rumore che si è creato attorno al Dottor Morte (per l’appunto…così lo hanno soprannominato), sono andata a vedere “Body Worlds” a Bologna, la mostra dell’anatomopatologo Gunther von Hagens. E a vedere questi corpi umani (tra cui una donna incinta all’ottavo mese con feto ben visibile e feti a diverse settimane di gestazione) imbalsamati – o meglio plastinati – con muscoli, viscere, vasi sanguigni e molto altro in bella vista, beh signori e signori c’erano anche tante famiglie con bambini.
Ed è lo sguardo dei bambini che mi ha colpita e spinta poi a scriverne sulla mia rubrica. Ero lì, a bocca aperta, che guardavo questo scheletro di un uomo colpito da una grave forma di artrite che aveva portato alcune delle vertebre lombari a saldarsi. Gli giravo attorno cercando di capire, di studiare ogni dettaglio con lo sguardo di adulta quale sono. Ad un certo punto arriva un grazioso nanerottolo che avrà avuto si e no 7/8 anni accompagnato da tutta la sua famiglia… guarda questo scheletro che aveva tutta l’aria di appartenere a un anziano (per via della curvatura della spina dorsale ma anche della mancanza di quasi tutti i denti), guarda sua madre e, con una naturalezza e spontaneità che solo i bambini possono avere, le dice: “Ecco il nonno!”.
Ecco, in quel momento mi si è aperto un mondo. Il bambino guarda scheletri, uomini letteralmente aperti in due con ogni organo esposto, e la cosa più naturale che gli viene da dire è “Ecco il nonno”, non gli passano nemmeno per l’anticamera del cervello serie di critiche infinite o di dissertazioni sul senso della vita, della morte, su cosa ci sia dopo il trapasso, se von Hagens sia da scomunicare o meno. Lui in quello scheletro vede il nonno… come se fosse del tutto “normale”.
Se per tutto il tempo della mostra mi sono chiesta cosa possa spingere una persona a donare il proprio corpo alla plastinazione (e tra le motivazioni, nel modulo che si compila per diventare donatore, c’era proprio quella che spingerebbe me a farlo, ovvero il non amare particolarmente i funerali tradizionali e le tradizionali tecniche di “conservazione” del cadavere post mortem) invece che – ad esempio – donare i propri organi a chi ne ha bisogno, mi sono interrogata sulle reazioni e le emozioni dell’ipotetico compagno di quella donna che portava in grembo suo figlio all’ottavo mese, su cosa possa significare trasformare il proprio corpo in un’opera d’arte alquanto alternativa, quando sono tornata a casa, dopo qualche giorno, la sola certezza che mi si è stampata bene in testa è che chiunque dovrebbe farsi un giro a Bologna e spendere 16 euro (anche se siamo in tempo di crisi) e osservare con meraviglia di cosa siamo fatti, come siamo fatti.
Nessuno ha mai accusato di blasfemia i globuli rossi che – in “Esplorando il corpo umano” – ci parlavano e ci raccontavano come funzionava il cuore a noi bambini degli anni Ottanta, non ho mai sentito nessuno dire che le mummie di ogni genere e provenienza ospitate da alcuni dei nostri più famosi musei sono macabre.
E allora, per una volta, togliamoci qualsiasi sguardo polemico e mettiamo su “gli occhiali della meraviglia” e andiamo a testare se anche noi siamo capaci di puntare il dito verso uno scheletro e dire “Ecco il nonno!”.
Lo scandalo è negli occhi di chi guarda e non dobbiamo farci spaventare dal fatto che quei corpi, in realtà, ci ricordano che siamo in qualche modo di passaggio e “limitati nel tempo”.