Una persona, che purtroppo non c’è più, mi ha insegnato come vivere il 25 aprile. In questo giorno si vestiva di rosso, incontrava le persone in piazza, marcava ogni momento di quella fantastica giornata di festa con un rituale che per anni si è ripetuto. Ed era la stessa cosa il Primo Maggio. “Le uniche due vere feste dell’anno”.
Aveva vissuto davvero “quel” 25 aprile (da quattordicenne) e faceva parte di quella generazione a cui la guerra, il fascismo e l’occupazione avevano stravolto l’infanzia e l’adolescenza. Una generazione resa unica, per capacità di essere forti, reagire alle avversità e rappresentare un punto di riferimento per coloro che sarebbero arrivati dopo.
Il suo diventare anziano ed il mio diventare adulto – con tutto ciò che comporta (i figli, la famiglia) – hanno gradualmente cambiato questa ritualità. La sua scomparsa è stato ciò che mi ha cambiato completamente questo giorno, imponendomi di cercare un modo per trasferire ciò che avevo ricevuto alla generazione successiva.
Quel modo lo sto ancora cercando, non è semplice. I cambiamenti sono stati tanti ed in molti mi dicono che quelle ritualità che ho visto per anni, gli anni in cui sono cresciuto, sono parte di un passato superato e da superare.
Non sono d’accordo con loro.
È evidente che serve molto altro da aggiungere, una lettura originale e contemporanea di questa giornata perché sia comprensibile anche da chi è nato – come le mie figlie – 65/70 anni dopo il primo 25 aprile. Ma se la loro generazione riceverà un messaggio è solo perché qualcuno lo ha trasferito a noi, facendoci vedere che esisteva una stagione in cui si credeva di poter cambiare il mondo con il colore di una bandiera e si credeva in quella bandiera per l’idea di società che portava con sé.
È l’eredità più grande che si possa ricevere.
Buon 25 aprile!