Vittoria del Sì: nessuno può giocare la carta delle elezioni anticipate

Firenze – Gli italiani hanno confermato il taglio del numero dei parlamentari con una partecipazione al voto e una percentuale di adesioni che non ammette grandi elucubrazioni. Il fronte del No, che era molto cresciuto nelle ultime settimane e che poteva contare su una gran parte della stampa e su un certo numero di autorevoli opinion leader, ha convinto solo un terzo di coloro che si sono recati alle urne contro i due terzi che hanno dato il loro assenso alle legge del 12 ottobre 2019. Giusto le proporzioni richieste per le modifiche costituzionali.

Esulta il Movimento 5 Stelle promotore delle modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, portando avanti argomenti “populisti” come il risparmio sui costi della politica e il disprezzo della “casta” dei politici. Esulta con altri argomenti ben più cruciali per la vita del Paese il fronte progressista che ha visto proprio nella discutibile operazione di un taglio lineare non inserito in un quadro organico di riforme l’occasione per avviare un processo di revisione e ammodernamento del sistema politico italiano che in più di trent’anni di tentativi è rimasto sempre al palo.

Gli attuali rappresentanti del popolo hanno ora a disposizione i due anni e mezzo che mancano alla fine della legislatura per fare quello che non sono mai riusciti a fare: una nuova legge elettorale che ritagli i nuovi collegi senatoriali e scongiuri il pericolo di uno squilibrio della rappresentanza, nuovi regolamenti parlamentari e, se Dio ce la manderà buona, forse anche una nuova riforma del bicameralismo perfetto che è all’origine di tanta lentezza e tanta confusione  negli iter legislativi.

Nonostante il risultato netto e indiscutibile, non era affatto scontato che vincesse il Sì. Il momento di ripiegamento e di  preoccupazione indotto dalla pandemia giocava a favore di un certo conservatorismo strisciante che si è espresso anche durante la campagna elettorale per chiedere di respingere il cambiamento. La questione è che stavolta, a differenza  di quanto accadde nell’infelice referendum del 4 dicembre 2016, i difensori del No non avevano dalla loro parte argomentazioni chiare, sufficienti e credibili.

Giustamente ora i promotori del Sì riformista invitano anche coloro che si sono espressi negativamente ad avviare un nuovo condiviso processo di riforma. Considerando che la legge del 12 ottobre fu approvata da tutte le forze politiche (con una piccola minoranza di dissidenti del gruppo misto) si può contare in cambiamenti discussi e condivisi da tutti. Sarebbe la prima volta nella travagliata storia dei tentativi di modifica costituzionale.

Al di là della riflessione nel merito, occorre sottolineare un’altra conseguenza politica di prima grandezza di quanto è accaduto nell’urna referendaria. Il Sì garantisce una nuova stabilità al governo dell’alleanza fra Pd e Movimento 5 Stelle. Da oggi sparisce dal tavolo della dialettica politica la possibilità di interrompere la legislatura e di andare a  nuove elezioni politiche. Lo si potrà fare solo quando sarà pronto il quadro normativo obbligato dal taglio del numero dei parlamentari. Quando tutti saranno d’accordo.

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