Vita di David Maria Turoldo, “poeta ribelle”

Il libro di Mario Lancisi su un protagonista del rinnovamento della Chiesa
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E’ difficile recensire un libro che parla di un frate e di un pezzo della tua vita. No, anzi, è facilissimo. Basta ricordare i momenti di incontro, quelli solenni che scandiscono le tappe di una vita e quelli più personali: il matrimonio, che padre David Maria Turoldo celebrò il 15 maggio 1976 nella Pieve di Mercatale, un trionfo di ginestre gialle lungo le navate e dietro l’altare. I colloqui all’abbazia di Fontanelle o il dramma della malattia e della morte. I funerali celebrati dal cardinale Carlo Maria Martini  a San Carlo a Milano, talmente partecipati che non c’era posto nella chiesa e in tanti li seguimmo dall’esterno, grazie agli altoparlanti montati sul sagrato.

Il pericolo che corre il recensore di un libro nel quale è convolto, per esistenza e per emozione, è  di non poter mantenere  il necessario distacco, con la mente che segue l’occhio nella lettura su un altro registro, del tutto personale, quello dei ricordi e degli affetti. Dunque farebbe bene ad astenersi, e ad affidare ad altri, sereni e professionali, una lettura critica del volume di Mario LancisiDavid Maria Turoldo. Vita di un poeta ribelle” (TS Edizioni). In copertina una stupenda immagine del volto dolce e sofferente: forse il “drago”, la malattia, si è già introdotto dentro di lui per accompagnarlo alla fine.

Sia dunque questo articolo piuttosto una testimonianza che un’analisi critica, un omaggio al protagonista e un riconoscimento a colui che con pazienza di ricercatore, penna di giornalista e adesione al messaggio spirituale e culturale dell’oggetto del suo lavoro, ha raccontato la  vita, le opere, la personalità e l’eredità di padre Turoldo.

Lancisi è uno degli autori più prolifici di saggi su don Lorenzo Milani e ha approfondito la storia dei “folli di Dio”, i protagonisti del mondo cattolico della seconda metà del Novecento,  partendo da chi più di tutti ne ha rappresentato la spinta ideale, la ricerca di giustizia, l’aspirazione alla pace, l’emancipazione dei più deboli e svantaggiati, l’ansia di assoluto che percorre la vita di un uomo di fede. Senza compromessi.

Della stessa pasta, anche se di carattere e personalità completamente diversi rispetto al Priore di Barbiana,  era  David Maria Turoldo frate dei Servi di Maria, al secolo Giuseppe Turoldo, nato nel 1916 a  Coderno di Sedegliano in provincia di Udine, nono figlio di una povera famiglia di contadini, e morto a Milano nel 1992, un anno dopo il suo amico e sodale nell’impegno per il rinnovamento della Chiesa lo scolopio Ernesto Balducci, due grandi lutti per le comunità dei cristiani che ne seguivano e sostenevano idee e azione di fronte agli infiniti ostacoli che il vecchio mondo ecclesiale poneva  sulla loro strada.

Milani esiliato in una parrocchia di 150 anime, padre Balducci censurato e confinato prima a Frascati e poi a Roma. Per Turoldo, dotato di un carattere in grado di contagiare con l’entusiasmo e l’empatia travolgente,  la sentenza era ancora più insidiosa: “questo frate fatelo girare perché non coaguli”, le parole che lo stesso condannato e la mai contestata vox populi raccontano abbia detto il cardinale Alfredo Ottaviani, capo del Sant’Uffizio negli anni della chiesa “regale e sacrale” di Pio XII. Ammiratore della Spagna del dittatore Francisco Franco e della gerarchia ecclesiastica che lo sosteneva, Ottaviani era uno dei principali esponenti del “Partito romano”, il più forte baluardo conservatore di parte cattolica nel mondo della contrapposizione ideologica e della guerra fredda, ferreo nemico del centrosinistra e promotore di coalizioni fra la Democrazia Cristiana e i neofascisti del Movimento sociale italiano.

Il libro di Lancisi comincia con queste parole pronunciate contro il giovane frate, attivo insieme al confratello Camillo De Piaz nella Resistenza , l’uomo che l’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster aveva voluto predicatore forte e apprezzato alle messe della borghesia milanese in duomo. Del resto la sua voce tuonante ma non ostile, anzi veicolo di amicizia e comprensione, è il cardine sensoriale del ricordo di chi lo ha conosciuto. Si annunciava da lontano ed era come l’avvio di una festa dell’amicizia da cui era bello farsi travolgere.

Agli occhi del Sant’Ufficio tridentino quell’uomo parlava di rinnovamento, resistenza contro un modo di vivere la fede nel nome di un’obbedienza cieca e acritica, e perciò era in odore di eresia. “Da quel preciso istante  Turoldo venne trattato come un pacco postale e divenne una trottola. Insultato, braccato, esiliato”,  scrive l’autore.

Tuttavia, secondo un effetto finalmente cirtuoso dell’eterogenesi dei fini, padre David planò per un certo tempo in quello che stava diventando il più fecondo luogo di rinnovamento, la Firenze di Giorgio La Pira, Mario Gozzini, Gian Paolo Meucci  e i preti che insieme a don Milani la resero un laboratorio di esperienze e di riforme in nome di una fede cristiana vissuta dalla parte degli ultimi al di là degli impacci e delle trappole del potere. Fu come una convocazione: La Pira lo pregò di venire a Firenze “per fare confusione”, portare la forza che aiuta a rompere conformismi e ostacoli pretestuosi e ipocriti.

Una definizione che piacque molto a David e sulla quale scherzava : “Andiamo a rompere la pace di un altro convento”. Il frate servita rimase poi molto legato ai fiorentini riuscendo a  creare una sorta di comunità con i milanesi (Luigi Santucci, Angelo Romanò, Camillo De Piaz, Giuseppe Lazzati etc.) , che fu uno dei pilastri portanti della più alta cultura della seconda metà del Novecento. Insieme contribuirono a diffondere e realizzare concretamente le novità del Concilio Vaticano II e David poté trovare la sua serenità nel monastero cistercense di Fontanelle a Sotto il Monte, il paese di Giovanni XXIII , il pontefice che fu il suo punto di riferimento per la costruzione di una nuova Chiesa lontana da quella dell’onnipotenza  degli anni pacelliani.

Soprattutto padre Turoldo fu un poeta militante cristiano e i suoi versi fanno parte integrante della grande letteratura italiana del secondo dopoguerra. A tutti, credenti e non credenti, ha donato un tesoro di parole profonde e ispirate,  nello stesso tempo consolatorie e scuotenti. Parole di un’umanità autentica, consapevole della sua unicità e della sua forza che cambia il mondo. Intorno all’Uomo, (che fu anche la testata del giornale che contribuì a fondare nell’ultimo anno di guerra), alla sua emancipazione e alla sua realizzazione, si concentrava la riflessione e la sostanza dei suoi ideali.

Per questo ha fatto bene Lancisi a introdurre tutti i capitoli della sua biografia con un frammento della poetica di Turoldo: le sue poesie sono come una scia di sapienza e bellezza che ha accompagnato l’intera sua vita. 

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