In genere si dice, in questi “casi epocali”, che nulla sarà più come prima. Noi non sappiamo al momento valutare la verosimiglianza dell’affermazione in questione anche perché siamo ancora nell’adesso, ovvero in piena pandemia ed il dopo pare non di primissima avvistabilità. Non sappiamo nemmeno quanto questa si possa considerare una “fase storica” e se, a passaggio epidemico avvenuto (o sospeso o rimandato a data da destinarsi), “saremo migliori”. Bisognerebbe considerare come si sia antropologicamente trasformato il nostro rapporto con la morte o soltanto col concetto di salute e benessere. E basterebbe ripassare un po’ di storia e storia letteraria, dalla peste nera trecentesca del Boccaccio a quella manzoniana del ‘600 (I promessi sposi e la Storia della colonna infame) od i vari contagi che hanno, a più riprese, minato alle basi la tenuta dell’Impero Romano d’Occidente e poi magari se ne riparla. Almeno da un punto di vista economico, sappiamo già che le cose peggioreranno di brutto. Forse qualcuno, per un tempo non determinabile, cambierà alcune angolazioni personali ma i meccanismi globali difficilmente muteranno, essendo basati, da tempo immemore, sul mercato di profitto.
Possiamo però dire, già con una certa dose di sicurezza, date le numerose settimane di forzatura domestica alle spalle, qualcosa sull’hic et nunc, qui e ora. La prima è come il coronavirus abbia radicalmente mutato i nostri parametri culturali. Ad esempio come la pletora di coristi di un rischio concreto della fine democratica di ieri l’altro siano, armi dialettiche e bagagli social, andati ad ingrossare le file di coloro decisi ad applicare senza troppe sottigliezze, la corte marziale per chi metta, senza “giustificato motivo”, il naso fuori di casa. Abdicando totalmente a qualsivoglia diritto alla privacy di base o dubbio sull’equilibrio tracciabilità del soggetto e libera cittadinanza. In un progressivo demandare, in modo assoluto e totale, all’autorità costituita la gestione delle libertà (e dei diritti) individuali.
Quindi abbiamo dovuto fare i conti, quotidianamente a orari fissi, come un tempo i banditori del vespero, ai bollettini epidemiologi subito cavalcati da apocalittici contabili di morte e decessi, “untori” d’ansia mediatica mentre il mondo da una parte si divideva (il tempo verbale imperfetto vuol significare un’attività prolungata ed una dimensione ancora incombente) tra turboeconomisti del “si apra subito”, sesquipedali fancazzisti nostalgici del Patto di Varsavia e dell’assistenzialismo perenne e complottisi internazionali d’arte varia. Che sfregando sulla loro personale sfera di cristallo, credono, beati loro, di prevedere il futuro e non si accorgono che stanno piuttosto rispolverando il passato.
Poi c’è il flusso costante, quotidiano, irrefrenabile del virology-show, una realtà virale ancorché virtuale che produciamo in abbondanza crescente di appartamento in appartamento andando ad alimentare un Grande, Grandissimo, Enorme Fratello che farebbe oggi scrivere a McLuhan di Condomio planetario più che di Villaggio globale. Perché la casa, vissuta anche come monodimensione abitativo-creativa è l’altro grande spazio paradigmatico e simbolico di questa pandemia, oltre alla strada deserta ed all’ospedale dove si combatte per la sopravvivenza.
Non è (ancora) tempo di individuare eventuali responsabilità essendo tutti in piena tempesta batterica e dovendo, per forza, cercare tutti di remare verso una società che sappia convivere (fino a quando?) col virus. Ma ci stiamo rendendo conto, ogni giorno in modo più netto, che si dovrà far tesoro del passato, ovvero fare scelte politiche opposte a quelle che, da destra e sinistra, hanno massacrato in questi decenni la sanità pubblica e mortificato il mondo della scuola, della formazione e della ricerca. Unici campi da cui potrà arrivare una soluzione per il futuro dell’umanità; perché alcuni tra i diritti imprenscindibili garantiti dalla nostra Costituzione, la salute e l’istruzione, sono oggi messi fortemente in discussione. Non sarà infatti un caso se il megafono delle truppe “staiacasiste” (che ha la sua bella ragion d’essere per carità) sia fortemente alimentato da quella filiera burocratica che non deve certo necessariamnente lavorare per sbarcare il lunario.
In estrema sintesi non sappiamo cosa sarà, attendendo in modo fermo e razionale (sine spe ac metu), l’evolversi degli avvenimenti sanitari, economici, sociali e politici, ma la storia ci insegna che comunque “sarà”.