Firenze – Le preoccupazioni per le donne vittime di violenza, durante il lockdown, erano aumentate e oggi abbiamo la prova che non erano vane. La riapertura nel mese di maggio coincide con un aumento di denunce per violenza domestica.
L’eccezionalità delle misure restrittive che imponevano lo stare a casa con il divieto assoluto di uscire hanno messo a dura prova situazioni familiari in bilico, che potevano essere accentuate dalla convivenza forzata e impossibile da interrompere. Sebbene le chiamate ai numeri verdi messi a disposizione per denunciare situazioni di maltrattamento, fossero diminuiti rispetto al 2019 del 43,6% e per omicidi del 33,5%, nei giorni invece coincidenti alla riapertura e all’inizio della fase 2 le denunce sono arrivate raggiungendo picchi e sorpassando i numeri del 2019 per quando riguarda i reati di maltrattamento (1.598 rispetto a 1.519).
Margherita Cassano, Presidente della Corte d’appello di Firenze, nonché candidata al vertice della Cassazione e quindi a diventare la prima donna a ricoprire un ruolo così rilevante all’interno di uno dei più importanti organi giuridici, parla della violenza contro le donne, chiarendo fin da subito però che la legge da sola non può risolvere una problematica che prima di tutto è culturale.
Quanto è difficile tenere lontano pregiudizi e stereotipi dalle aule di tribunale e quindi giudicare un reato sessuale solo dal punto di vista del diritto?
Il requisito per la trattazione dei processi relativi alla violenza contro le donne presuppone una competenza professionale per ogni specifico settore di reato, professionalità che deve essere garantita non soltanto nel momento in cui il magistrato supera il concorso ma accompagna l’intera vita professionale del magistrato. Questo significa non soltanto avere le nozioni tecnico giuridiche ma presuppone anche una conoscenza culturale complessiva delle problematiche sottese a queste manifestazioni. Le modalità corrette per apportarsi alla parte offesa sono indispensabile per assicurare il corretto svolgimento del corpo dell’esame, soprattutto nella fase dibattimentale, centrale per la formazione della prova nel rispetto dei principi del giusto processo. La competenza professionale è indispensabile per garantire il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, perché come non ci devono essere stereotipi e pregiudizi a danno delle donne, non ci devono essere pregiudizi neanche a danno dell’imputato. Il giudice deve essere imparziale e terzo per cercare di ricostruire la verità processuale.
Il Codice Rosso, varato nel 2019, è composto da 21 articoli, che individuano le varie tipologie di reato attraverso i quali si esercita la violenza di genere. Tra queste vi è la norma che impone l’obbligo del PM di sentire entro tre giorni la persona offesa. Per rincorrere il requisito della tempestività si lascia indietro qualcosa?
Dal punto di vista della tecnica legislativa bisogna stare sempre molto attenti a evitare di creare tanti sottosistemi penali e processuali quante sono le manifestazioni criminali, di volta in volta ritenute oggetto di particolare allarme per l’opinione pubblica. È fondamentale che l’ordinamento corrisponda in maniera coerente ai principi generali del sistema, perché creare tante risposte parcellizzate rischia di introdurre insanabili contraddizioni. Regole ad hoc rischiano di ingessare e burocratizzare eccessivamente la risposta giudiziaria. Inoltre, secondo la mia esperienza professionale la decisione di una donna di denunciare i fatti è particolarmente sofferta e richiede supporto psicologico per rielaborare il vissuto drammatico e per riferirlo coerentemente. Termini cosi rigidi, che servono nelle intenzioni del legislatore per assicurare la risposta tempestiva dello stato e la genuinità dell’acquisizione probatoria non sempre sono compatibili con la complessa decisione della donna di denunciare i vissuti tragici. Nell’immediatezza una donna non dice tutto perché spesso si colpevolizza per quello che è successo oppure si rischia di sanzionare la decisone di una donna di denunciare a distanza di maggiore tempo.
Le critiche che spesso vengono mosse dall’opinione pubblica contro il sistema giuridico in tema di violenza sulle donne sono: la lunghezza dei processi e, talvolta, la responsabilizzazione del reato alla stessa vittima che decide di denunciare il fatto di violenza. Cosa risponderebbe a queste due critiche?
Il problema dei tempi della risposta giudiziale è un tema centrale per questo tipo di manifestazione ma in generale anche per altre. Per quanto riguarda la violenza di genere è importante la tempestività della risposta giuridica sia per la persona offesa, per chiudere la parentesi drammatica, sia per l’imputato per dargli l’opportunità di guardare avanti e reinserirsi all’interno della società svolgendo un processo di educazione. Sono reati che vengono trattati con una precedenza assoluta, soprattutto quelli che di solito sono propedeutici per reati sempre più gravi. Per quanto riguarda la critica sulla responsabilità, ritengo che ogni generalizzazione sia pericolosa, il giudice valuta in maniera imparziale e oggettiva decidendo unicamente in base al materiale probatorio raccolto. Comprendo le aspettative dell’opinione pubblica ma il giudice deve avere giudizio razionale, vincolato e obiettivo e non può inseguire le istanze di un corpo sociale.
La convezione di Istanbul ha redatto uno strumento europeo in contrasto alla violenza sulle donne, sancendo il principio della 4 P: protezione, prevenzione, perseguimento con azione penale e politiche integrate. In che ambito il nostro paese risulta carente?
Dovremmo concentrare l’attenzione di più sul tema della Prevenzione; nel mio particolare distretto ci sono varie iniziative con associazioni, scuole e università e mi chiedo se succede lo stesso anche a livello nazionale in maniera omogenea. Prevenzione significa anche creare occasioni e luoghi dove una donna è messa in libertà di scelta, avendo un posto sicuro dove andare e l’aiuti a ricostruirsi stabilmente una vita. Di massima importanza è anche la ricerca sociale per capire meglio il fenomeno e di conseguenza trovare gli strumenti adatti per combatterlo. Attraverso la ricerca si è scoperto che il problema riguarda tutte le fasce sociali tutte le tipologie di donne e tutte le fasce di imputati, al contrario di come si potrebbe pensare con i luoghi comuni, riguarda persone colte e non colte. Lo studio serve per non banalizzare i problemi ma avviarli a concreta soluzione e la risposta giudiziaria non può essere l’unica risposta ma essa interviene solo quando tutti i filtri sociali precedenti non hanno funzionato.
Foto: Margherita Cassano