Prato – È stato presentato ieri pomeriggio il we-binar dal titolo “La violenza di genere ai tempi del Covid“, con l’ultimo lavoro della criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone scritto in collaborazione con la giornalista e blogger Emanuela Valente, creatrice di un sito dedicato esclusivamente alle donne chiamato “In quanto donna”, perché il femminicidio è qualcosa che riguarda esclusivamente la donna che viene uccisa proprio perché donna.
Un incontro voluto dalla Camera Civile di Firenze in collaborazione con Confassociazione Toscana entrambi presieduti dall’avvocato Francesca Cappellini che ha aperto i lavori, organizzata dalla rivista Avvocati coordinato dalla giornalista Rosa Colucci, patrocinato dall’associazione nazionale Aps Senza Veli sulla Lingua.
Hanno partecipato la presidente dell’associazione Senza Veli sulla Lingua avvocato Ebla Ahmed; la dottoressa Federica de Pasquale vicepresidente Confassociazioni commissione Pari Opportunità; la consigliera nazionale dell’associazione Senza Veli sulla Lingua Elisa Buonanno e l’avvocato Laura Capacci. “Favole da Incubo” dieci + una storie di femminicidi da raccontare per impedire che accadano ancora”, ed. De Agostini, è un libro il cui intento delle autrici è quello di riuscire a togliere il velo dell’omertà sociale, familiare su una vera e propria strage che continua a mietere vittime femminili nonostante gli appelli, le leggi, le giornate di commemorazione, le panchine di colore rosso.
Secondo la Bruzzone ciò avviene “perché, nonostante il mantra denunciate la violenza, siamo ancora legati ad un mondo arcaico,vetusto le cui dinamiche nascondono comportamenti apparentemente normali. L’allarme in tutte le storie narrate è palese ma c’è il silenzio di una società inerte ed indifferente al problema”. Racconti che descrivono un contesto il più delle volte domestico in cui è maturato il femminicidio e la Bruzzone ne analizza gli aspetti psicologici, la storia personale della vittima, di chi le sta intorno e che conducono inevitabilmente agli stereotipi di genere, “che sono potentissimi i peggiori nemici delle donne, da cui la drammatica storia scaturisce e si conclude. Quante volte ci siamo sentite dire l’uomo è più importante della donna, lui è il capo di casa, in famiglia, sul lavoro etc..”.
Hanno così preso vita le fisionomie di Elena, Valentina, Guerina, Noemi, Roberta Ragusa, Barbara Cicioni nel cui processo del 2008, fu usata per la prima volta la parola femminicidio. Donne la cui ingenuità è stata quella di aver creduto nel principe delle favole da cui, una volta divenuto orco, non sono riuscite a sottrarsi in tempo. Il fil rouge della narrazione è l’isolamento delle vittime, definito da Roberta Bruzzone il “vuoto cosmico” ,nonostante i tentativi di aiuto che cadono purtroppo nel vuoto e in cui scivolano le donne ormai incapaci di sottrarsene.
E se la morte mette fine a un calvario di sofferenze e soprusi, la Bruzzone analizza anche un’altra figura femminile che definisce “la vittima secondaria” ovvero colei che vive accanto al femminicida. E il riferimento è al caso di Roberta Ragusa, in cui Sara l’amante di Antonio Logli; “È stata a tal punto da lui manipolata da credere ancora alla sua innocenza, nonostante i tre gradi di giudizio e la condanna, rimanendogli accanto”.
Un libro in cui non mancano i racconti delle stragi familiari per mano del “pater familias, (ultimamente sempre più frequenti), e che la Bruzzone riconduce al “mito di Medeo” ovvero, -“l’incapacità dell’uomo a gestire una separazione; i figli diventano così figli della vendetta. E il suicidio in questo caso non è un senso di colpa che accompagna il gesto,ma un ulteriore tentativo di colpevolizzare la donna,madre e moglie che voleva porre fine alla relazione”. In conclusione la tragica storia di “Bambi”. Quella di un bambino che sin dalla più tenera età ha assistito ai maltrattamenti continui del padre nei confronti della madre che poi è stata uccisa, e nonostante li avesse raccontati a suo modo a tutti,non era mai stato né creduto, né ascoltato.Oggi “Bambi – spiega la Bruzzone – Ha gravi disturbi del comportamento, vive in una struttura protetta e di recupero ma il suo caso rappresenta in modo lampante il fallimento degli assistenti sociali, dei poliziotti, degli insegnanti, dei familiari, insomma di tutta la società!.”
Infine alla domanda d’attualità sul caso Yara Gambirasio poiché a gennaio scorso, la Corte Suprema ha annullato con rinvio le ordinanze con cui il presidente della Corte d’Assise di Bergamo aveva respinto, dichiarandola inammissibile, la richiesta degli avvocati di Bossetti di accedere ai reperti dell’indagine, e paventando la possibilità da parte degli stessi di una riapertura del processo, Roberta Bruzzone è stata chiara: “Ritengo sia decisamente prematuro parlare di “indagini genetiche” sui vari reperti indicati nell’istanza perché, laddove il nuovo collegio della Corte di Assise di Bergamo, che sarà chiamato a valutare l’istanza nuovamente, dia il “via libera”, l’unica cosa che sarà possibile fare è un mero accesso visivo ai reperti che potranno esclusivamente essere soltanto fotografati al massimo. Ossia, per essere chiari, tale attività esclude qualsiasi operazione di prelievo e analisi dei reperti. Aggiungo poi che la richiesta di accesso ai reperti, per come prevede espressamente il codice di procedura, solitamente è successiva alla scoperta di nuovi elementi o di nuove prove atte e dimostrare che il condannato vada prosciolto. E non mi risulta proprio che allo stato tali nuove prove esistano, neppure ipoteticamente. Tali nuovi elementi che, ripeto allo stato non mi risultano esistere, devono comunque essere ricercati con il massimo rispetto della tutela e dell’integrità dei reperti e quindi, ovviamente, va da sé che la difesa di Bossetti non può e non potrà mai assolutamente mettere mano ai reperti in maniera autonoma e in assenza delle altre parti individuate nel procedimento. Del resto ad oggi mi pare decisamente insuperabile la ricostruzione dei fatti certificata da ben tre gradi di giudizio che ha portato alla conferma definitiva della condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti. In particolare, l’ultima sentenza, quella della Suprema Corte Suprema di Cassazione demolisce senza esitazione tutti i motivi del ricorso avanzato nella difesa. Ricorso che, è bene ricordarlo, è stato ritenuto inammissibile. Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulla mutandine della vittima, e quelle dell’imputato. È bene chiarire che la genericissima ipotesi della creazione in laboratorio del Dna dell’imputato, oltre ad appartenere alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà, è manifestamente illogica. Insomma, la revisione del processo mi pare molto lontana. In termini di anni luce, intendo.
Foto: Roberta Bruzzone