Firenze – Immaginate la grande notte romagnola, quella della pianura che confina in fondo con le colline e sull’orlo col mare, quella profumata di fieno e erbe selvatiche nella gran calura; immaginatela disciolta in un vino dal color granato sfumato di viola, con sentore di frutti di bosco, che assedia con la sua struttura complessa e irruente, scivolando come velluto bollente dalla gola al cuore. Perché il Bursòn di Romagna, della Romagna di pianura, quella che con un disciplinare severissimo è racchiusa fra Bagnacavallo (il centro) e i paesi d’intorno che la toccano, è un vino che non si dimentica.
Presentato oggi a Firenze nella splendida cornice del Park Hotel, venuto a sfidare nella loro terra i vini blasonati su cui ha primeggiato in convegni internazionali, il Bursòn, prodotto dal Consorzio il Bagnacavallo (26 soci per circa 80mila bottiglie) oltre che un vino è un sogno e una magia. Tecnicamente si tratta di un grande rosso dalla struttura tannica complessa e che possiede in natura doti eccezionali: per dare un riferimento, come spiega il “padre” del Bursòn, il “maestro”, l’enologo Sergio Ragazzini, (il presidente del Consorzio è Daniele Longanesi) , “mentre in un sangiovese normale abbiamo il 28-30 di estratto secco al litro, per il Bursòn si parla di valori vicini al 40”. Polifenoli: se per un sangiovese “medio” troviamo un valore fra 1.200-1.500, nel Bursòn arriviamo a 3.500-4.000.
Una magia dunque: a partire dalla storia, dal nome, dall’aspetto dell’uva, da quella complessità nel bicchiere che imprigiona il gusto. Un’uva magica che ha una particolarità unica: l’acino verde. Cos’è? E’un unico acino che in tutto il grappolo rimane verde per almeno 15 giorni dopo la completa maturazione del resto. Un segno un ammiccamento, un dire: “sono pronto”.
La storia: una storia che si intreccia con quella della famiglia, Longanesi, che dà il nome al vitigno, che dà il soprannome (di famiglia) al vino, che lo produce dapprima portandolo in gare di paese nel bar alla degustazione pubblica fra produttori, per poi, con l’incontro con l’enologo, trasformare la sua creatura nata dalle sue terre in una sfida straordinaria, prontamente raccolta da 26 produttori della zona, che con passione, perizia, fiducia nell’enologo e competenza, costruiscono un vino da leggenda: due Gran medaglie d’Oro a Bruxelles, oltre a medaglie d’oro e d’argento. “Quest’anno su otto vini presentati, abbiamo raccolto un bottino di 5 medaglie fra cui una Gran Medaglia d’Oro, una Medaglia d’oro e 3 d’argento”, spiega Ragazzini. Gran Medaglia d’Oro e medaglie d’oro e argento anche anno scorso. Un vino che ha per ora una vocazione spiccatamente internazionale: buona parte della produzione, infatti, è esportata.
Il vitigno dell’uva Longanesi da cui si ricava il Bursòn deriva da una vite arrampicata su una quercia accanto al capanno da caccia dove Antonio Longanesi passa la sue giornate invernali. A furia di cacciare, Antonio si accorge di quella vite singolare, che produce un’uva sana e dolcissima, che si mantiene in ottimo stato fino a novembre. Decide di farne un vino che (siamo negli anni 50) sbaraglia tutti i concorrenti del paese. Siamo a Boncellino, in piena campagna faentina, la patria di Stefano Pelloni, meglio conosciuto come il Passatore. La storia si evolve, si evolve anche il vino, conosciuto come Bursòn, dal soprannome di Antonio (e che qualifica il ramo della famiglia Longanesi di Bursòn) e passa in mano all’enologo, Ragazzini, un appassionato di vino e di Romagna. O meglio, dei vitigni sconosciuti di Romagna, un piccolo e tuttora inesplorato tesoro che giunge nelle pianure dell’Esarcato attraverso Bisanzio, Roma, le rotte orientali. Custoditi dalle famiglie, conosciuti solo localmente, soprendenti tutti: infatti, nel Consorzio di Bagnacavallo, non è solo il Bursòn il vitigno autoctono a essere coltivato e sperimentato. Fra i vini ricordiamo almeno il Lanzesa, mentre fra i vitigni il Rambèla, e il Famoso, bacca bianca, che produce un passito senza eguali, nelle due versioni con appassimento più o meno spinto. E poi, il grande passito di Bursòn, autentica, rossa delizia da gustarsi col cioccolato fondente, uno dei pochissimi vini che si sposi perfettamente con l’antico cibo degli dei. Senza dimenticare il Centesimino, antico vitigno autoctono che si trova solo nel territorio faentino, in zona Oriolo dei fichi.
Così, il “giovane” Bursòn (15 anni di produzione e sperimentazione) è un’avventura dalle radici antiche che è ben lungi dall’essere conclusa, come non è conclusa (siamo appena agli inizi) l’avventura dei vitigni sconosciuti e delle sperimentazioni che il consorzio il Bagnacavallo mette in opera, coordinato dal maestro Ragazzini. Per concludere, forse la definizione migliore del Bursòn è quella del maestro Ragazzini: “Il Bursòn è un cavallo imbizzarito che è necessario domare al meglio”. Non vuole aggiunte, anzi, ha bisogno di essere tenuto a freno. Ad esempio, con le botti preparate con legni dolci, che vengono lungamente discusse con l’artigiano che le prepara. Come il morso per un cavallo di razza, che non deve obbligare ma convincere.
Per saperne di più sullo sfidante del Brunello: www. consorzioilbagnacavallo.it
Nelle foto, l’enologo Sergio Ragazzini e il presidente del Consorzio Daniele Longanesi