Villaggio Architetti, un prototipo di cohousing

La storia del quartiere nato nel 1960

Anna Vittoria Zuliani

E’ il 1960: il gruppo della Cooperativa Ingegneri e Architetti di Reggio Emilia decide di costruire un quartiere destinato ad ospitare le abitazioni per sé e le proprie famiglie, in un’area al tempo ancora non urbanizzata dai terreni a costi contenuti. Nasce il Villaggio Nebbiara, conosciuto anche con il nome di Villaggio Architetti.

Il complesso  prende il nome da un’edicola a cappella dedicata alla Madonnina della Ghiara (via Martiri della Bettola, all’angolo con via Donizone da Canossa), alla quale venne attribuito il miracolo che fece scendere una nebbia fittissima per salvare Reggio dall’invasione dei barbari, e che venne per questo ribattezzata Madonnina di Nebbiara. Il modello di riferimento è quello delle villette a schiera inglesi, antecedute e seguite dal verde rispettivamente comune e privato. All’interno, le abitazioni sono distribuite su più piani e secondo una logica di open space, priva di elementi di filtro che permette di muoversi in maniera fluida tra gli ambienti. Il modello risponde ai requisiti dei gruppi abitativi a bassa densità, costituiti da cellule ripetute indistintamente ma nelle quali sopravvive una dimensione privata, tipica delle moderne case a schiera.

Le caratteristiche costruttive delle unità abitative possono essere ricondotte a quelle delle villette singole dello stesso periodo in mattoni faccia a vista e con una significativa presenza di verde, da sempre valore aggiunto ai progetti architettonici. Ciò che annovera il Villaggio Architetti tra gli interventi edilizi a basso costo è il diretto contatto tra le singole unità e contemporaneamente la loro condivisione degli spazi aperti. Il fronte delle abitazioni è infatti rivolto verso il centro del complesso, spazio al quale viene conferita la giusta importanza, dotato di servizi per l’utente residente: vi si trovano percorsi pedonali, sedute, il verde condiviso e lo spazio giochi per i bambini. A quest’area è consentito l’ingresso solamente a piedi, le autorimesse private si trovano al piano seminterrato delle abitazioni e vi si accede tramite una rampa, mentre lo spazio adibito a parcheggi esterni si trova adiacente il complesso, a fianco dell’asilo nido e del bar ad uso pubblico, presenti nel disegno originario. L’impressione è perciò quella di un ambiente libero dalle contaminazioni, circoscritto, tranquillo, privato: lo è tuttora nonostante la progressiva urbanizzazione della zona, che ha radicalmente trasformato l’immagine di Baragalla.

E’ un esempio di strutturazione del progetto che limita le spese e crea spazi di valore per abitare. La filosofia dell’intervento sembra essere proprio quella dell’impiego comune di ciò che è possibile e giusto condividere, allo scopo di testare un prototipo di co-housing ad ampio respiro, senza privare gli abitanti della giusta dose di privacy. A distanza di 50 anni, Villaggio Architetti può ancora essere preso in considerazione come modello di quartiere residenziale a bassa densità. La propria essenziale pulizia estetica restìa ad invecchiare, l’accorpamento intelligente delle unità unitamente ad una propria certa autonomia e la concezione socialmente utile di alcuni suoi spazi, lo rendono esempio pratico e teorico di buon abitare.

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