Vigilia elezioni 2018, si naviga fra larghe intese e destra identitaria

Firenze – Vigilia preelettorale, e ancora una volta di più e più delle altre è il momento di porsi alcune domande: “Come si vota ?”, “Votare o astenersi ?”, “Per chi votare ?” e ….. “il dopo il voto ?”.

Per tutti, vale il “come si vota ?”. Neanche stavolta, infatti, ci è stato risparmiato il brivido di una nuova legge elettorale: il Rosatellum, venuto dopo l’Italicum (Camera) e il Consultellum (Senato), leggi che non abbiamo mai sperimentato, chiamate a correggere l’incostituzionalità del Porcellum (2005) che a sua volta soppiantò il Mattarellum (1993) che aveva sostituito, qui mi fermo, la proporzionale classica del 1946.

Negli ultimi 25 anni, tra nuove leggi, rimaneggiamenti delle vecchie, interventi della Corte Costituzionale, il pallottoliere elettorale è stato aggiornato ben sette volte ed ancora, lo sapremo dopo il 4 marzo, sembra che non sia finita. Se è vero che la complessità dei sistemi elettorali comprime la partecipazione, allora, non siamo messi per niente bene. I dati inerenti la conoscenza delle nuove regole di voto tra gli elettori, ad esempio, suggeriscono che circa 700.000 siano le schede a rischio di essere annullate per un qualche errore.

Seconda e terza questione: “se” e “per chi ” votare. Qui, non per tutti, ma per moltissimi, il gioco si fa davvero difficile. Le rilevazioni degli ultimi sondaggi pre-elettorali, ci dicono che gli “indecisi”, tra coloro che comunque voteranno, sono oltre 3 milioni. Altri 4 milioni di elettori, invece, pur esprimendo una scelta precisa a favore di un partito, potrebbero cambiare idea da qui al momento del voto. L’astensionismo, il convitato di pietra, si aggirerebbe attorno al 34%, 15 milioni di italiani, sembra, pare, non voteranno.

Sullo sfondo una campagna elettorale di una piattezza che non si ricorda, con un’unica novità di rilievo: il protagonismo dei neofascisti che ha esercitato un’attrazione fatale sul centrodestra. Un monitoraggio lanciato da Amnesty International per sorvegliare la diffusione dei “discorsi d’odio” durante la campagna elettorale, reso pubblico proprio in questi giorni, segnala che gli stereotipi discriminatori, razzisti o incitanti all’odio e alla violenza emersi in campagna elettorale sono da attribuire, scontati i neofascisti, ai tre partiti della coalizione di centrodestra: Lega Nord (50%), Fratelli d’Italia (27%) e Forza Italia (18%).

Quella stessa coalizione che la media delle cifre fornite dagli istituti demoscopici nell’ultima settimana di rilevazione, dal 12 al 16 febbraio, danno in vantaggio con il 37,5% dei voti. Il centrosinistra, invece, resta nell’angolo con il 27,1%. Il Pd, in particolare, ma parlarne è un po’ come sparare sulla croce rossa, rispetto al 40% delle europee del 2014, sarebbe tornato a navigare attorno al 23%. Tra i tanti che gli hanno voltato le spalle, una fetta consistente sembrerebbe collocarsi alla sua sinistra, oppure orientarsi verso i 5 Stelle, rispettivamente il 10%. Mentre una fetta ancor più consistente (20%), si troverebbe a metà strada tra l’indecisione e l’astensione. I 5 Stelle, vengono dati al 27,6%, primo partito. Liberi e Uguali al 5,6%. Potrebbe sorprendere il neonato raggruppamento della sinistra radicale, Potere al Popolo, che alcune rilevazioni danno vicino al superamento della soglia del 3%.

Le cifre degli istituti demoscopici, lo sappiamo, vanno maneggiate con cautela, tuttavia, dalla loro lettura possiamo provare a trarre qualche indicazione per rispondere all’ultimo quesito: e dopo il voto ?

Anzitutto, la vittoria del centro-destra che non ha esitato a sventolare le bandiere del “prima gli italiani” e del conflitto identitario, allineandosi con poca fatica alle parole d’ordine della destra neofascista, sarebbe una conferma in più di quanto nel nostro paese, il sogno di una destra normale è appunto un sogno. Quella di Salvini, Berlusconi, Meloni, resta una destra, forse non neofascista, ma ben disponibile ad accogliere temi e voti che provengono da quella cultura politica di cui, evidentemente, ne condividono i valori.

Il centro-sinistra se venisse rispettata la cifra del 27,1%, con il Pd attorno al 23%, sarebbe una volta di più messo davanti alla incapacità proprio del Pd di agganciare consensi. Le ragioni sono sotto gli occhi di tutti: tatticismo senza fine, scelte incomprensibili, divisioni interne, banche, Boschi, soprattutto, la mancanza di un progetto condiviso che riesca a dare prospettive alla sinistra, anche la più moderata. La sinistra-sinistra, Liberi e Uguali e Potere al Popolo, in qualche misura si fanno concorrenza tra loro, presentarsi divisi è più che legittimo, ma difficilmente paga dal punto di vista elettorale, ed è questo ciò di cui stiamo parlando. Dei 5 Stelle è difficile dire e pur prospettandosi un risultato per loro non indifferente, bisognerà giocoforza attendere l’apertura delle urne per capire cosa accadrà e quali alchimie coalizionali ne scaturiranno. Infine, se venissero confermate le previsioni di un forte astensionismo, vi sono pochi dubbi che questo colpirà a sinistra. Il dopo voto, insomma, non si prospetta per niente roseo e pur se riusciremo a evitare l’incubo di una destra identitaria al governo, la prospettiva di un governo di larghe intese, magari da Renzi a Berlusconi, non aiuta a stare meglio.

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