Vicofaro, 12 migranti potrebbero tornare nel Cas di don Biancalani

Pistoia – Sarebbero in procinto di tornare da don Massimo Biancalani 12 migranti inseriti nel percorso del Cas, acronimo che sta per Centro di Accoglienza Straordinaria. Un segnale forte che la situazione a Vicofaro si sta “normalizzando”, almeno per quanto riguarda la struttura della canonica che è adibita appunto all’accoglienza straordinaria. Dai tecnici infatti sarebbe arrivato il via libera, ma a una condizione: che venga spostata la caldaia dell’acqua sanitaria dalla posizione in cui si trova in un luogo più sicuro. Una precauzione che farebbe venire meno quel “pericolo di incendio” che era stato rilevato dai vigili del fuoco che, assieme ai tecnici dell’Asl, avevano visionato la struttura nelle scorse settimane per dare un giudizio di idoneità. Dunque, una volta rimossa la caldaia, le 12 persone inserite nel percorso Cas potrebbero fare ritorno “a casa”, come scrive lo stesso “don Massimo” in un post su Facebook. Anche perché, a differenza di quanto da molti ritenuto, mentre la chiusura ha riguardato la struttura adibita a Cas, l’attività che si svolge nella struttura restante, vale a dire l’accoglienza per molti che magari si sono o autoesclusi o sono “usciti” dal percorso di accoglienza straordinario, non è mai stata sospesa. Perciò, dire che don Biancalani “ha chiuso” non risponde a verità o meglio, risponde a verità solo parzialmente. Del resto, come può un parroco “chiudere” un’attività evangelica? ….

Ma basta stare qualche ora allo sportello che l’Usb ha aperto per una consulenza, sostanzialmente legale e amministrativa, ai ragazzi presenti nel Centro di accoglienza, che si capiscono alcune cose. Intanto, se è vero che una parte della comunità pistoiese non vede di buon occhio l’attività evangelica di don Biancalani, un’altra parte è invece d’accordo e un’altra ancora si fa parte attiva sotto forma di volontariato, in particolare i parrocchiani, senza contare che la struttura vede anche la presenza dell’Assemblea antirazzista permanente. E se è vero che l’isolamento del don è stato molto forte, forse qualcosa si muove anche sotto questo profilo, sia per i 20 posti letto offerti dalla Caritas quando sembrava che il Cas non potesse che essere chiuso definitivamente e s’era parlato anche di sgombero dell’intera struttura, sia per l’affollata assemblea pubblica che nella settimana scorsa ha preso vita nella sede. Ma è un altro lato, ascoltando le storie che via via vengono esposte al legale dell’Usb e ai sindacalisti dagli ospiti del Centro, a presenta la situazione in tutta la sia inquietante concretezza. Infatti, come spiegano anche i volontari dell’Usb presenti, compreso il legale, e raccontano i ragazzi, molti intoppi a un percorso ragionevole di accoglimento delle richieste vengono da una burocrazia pletorica. E spesso imprecisa. Si va dallo sbaglio a ricopiare la data di nascita da un permesso di soggiorno in scadenza, a fissare date improbabili per il ritiro del nuovo permesso, magari il 28 settembre del …. 1998 (errore corretto nei giorni scorsi). Un evidente errore di distrazione, che però per i migranti può costare caro, anche perché i documenti contenenti tali errori (es. la ricevuta attestante la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno) sono quelli che formalmente legittimano la loro presenza sul territorio nazionale.  Naturalmente ci sono situazioni ancora più complesse e difficili, ma è spesso la banalità dell’errore materiale, la distrazione, la noncuranza a coprire con la sua polvere grigia il meccanismo dell’accoglienza. Un meccanismo invece che, per essere trasparente ed efficace, dovrebbe essere il più possibile preciso. Distrazioni, sbagli, noncuranza che portano a vere e proprie tragedie in delle vite già provate perché, tra le altre cose, dilatano in maniera consistente i tempi di procedimenti amministrativi che già di per sé sono molto lunghi.

Ascoltando le storie e i volontari, ci si accorge anche di un’altra cosa. Ad esempio, che questa gente vuole lavorare, lavorare al più presto anche perché spesso rappresenta un investimento per chi resta a casa, in Africa. “Per la stagione dei pomodori – spiega Aurora Luongo, rappresentante sindacale Usb – anche da qui partono le braccia per andare schiavi nei campi della Puglia”. Perché a casa spesso hanno lasciato una mamma, dei fratelli, delle sorelle, un padre anziano, o la sposa, i figli piccoli. La famiglia. Che aspetta i loro soldi per mangiare, vestirsi, sopravvivere, vivere.

Ed è questa, una fra le ragioni per cui in così tanti escono dall’accoglienza, Cas o Sprar che dir si voglia. Entrambi benemeriti, se gestiti in modo giusto, trappole e specchietti per le allodole, se gestiti secondo quanto ci raccontano le storie degli ultimi tempi. “Sebbene la direttiva europea di riferimento preveda la revoca dell’accoglienza solo come extrema ratio, in casi eccezionali e rispettando il principio di proporzionalità, molti sono incappati nella revoca della misura di accoglienza  per ragioni oggettivamente non gravi – racconta il legale dell’Usb – dal non presentarsi al corso di italiano, all’allontanamento dal centro  se pure di brevissima durata, all’avere un lavoro anche se temporaneo. Infatti se qualcuno lavora in modo anche temporaneo e va al di sopra del tetto consentito (sui 5mila 600 euro), si pone fuori dalla accoglienza. Certo, nel momento in cui il lavoro temporaneo cessa il richiedente asilo può chiedere di essere riammesso in struttura ma sicuramente i tempi non sono immediati”.  

Il passo per uscire dall’accoglienza è come si vede molto breve. Ad esempio, il problema che veniva posto anche dalla chiusura del Cas di Vicofaro era, tra l’altro, la conseguente mancanza di un domicilio ritenuto valido dall’Amministrazione il che comporta in taluni casi l’arresto della procedura di rinnovo dei permessi di soggiorno.

Infine, anche la questione dell’ormai famosa ordinanza del comune di Pistoia (ordinanza 11/09/2018 n. 992) in cui si ordinava la cessazione dell’attività di accoglienza da parte del parroco di Vicofaro a causa della riscontrata inidoneità dei locali, a ben vedere contiene la seguente sanzione: “…avverte che, in caso di inottemperanza i responsabili legali dell’immobile/impianti e/o chi per esso e per quanto di propria competenza, si assumeranno in via esclusiva ogni e qualsiasi responsabilità per danni cose/ e/o persone che dovessero verificarsi”. Insomma, la questione è semplice: se qualcuno “si fa male”, il responsabile è don Massimo, vale a dire, per traslato, la Curia. E forse, qualcuno dice, è una mossa che potrebbe cercare di colpire più alto, rispetto a don Massimo Biancalani, ad esempio il Vescovo. Che ad ora non ha fatto sentire la propria voce sulla questione. Inoltre, forse una ragione in punta di diritto si potrebbe anche trovare: svolgendo la sua attività di accoglienza, che non è altro che ottemperare a doveri di solidarietà e aiuto espressi molto chiaramente da Papa Francesco nei confronti degli ultimi, migranti o no che siano (nella struttura vivono anche alcuni senza fissa dimora italianissimi), don Biancalani utilizza le “pertinenze” della Chiesa, assimilabili a “edificio di culto” secondo una consolidata giurisprudenza, se nelle stesse vengono svolte attività di natura tale da ricondurle ai doveri propri del “ministro di culto”. Dunque, se il parroco fa il parroco, nessun soggetto “laico” può ingiungergli di cessare la sua attività di parroco. A meno che non intervenga il suo diretto superiore. Ovvero, nel caso di don Massimo Biancalani, “almeno” il Vescovo.

 

 

 

 

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