Cristina Fabbri
Fino all’11 dicembre è in corso il “Lucca Photo Fest“. Si tratta di un festival internazionale di fotografia, nel cuore della Toscana, dove si possono vedere mostre e video installazioni dei più importanti fotografi e artisti della scena mondiale, quindi merita sicuramente di farci un salto. Durante ogni edizione vengono organizzati concorsi internazionali dedicati a fotografia, video arte e editoria.
Quest’anno, tra i premiati per la sezione fotografica vi è anche il reggiano Erik Messori, 38 anni, che ha iniziato a lavorare nei primi anni 2000, come free lance collabora con l’Ansa, realizza reportage sociali su eventi naturali, crisi umanitarie, disastri; a Reggio ha effettuato un servizio sull’immigrazione in via Turri per Fotografia Europea 2010. Il giovane ha ricevuto una menzione speciale in fotogiornalismo, col lavoro “Indian coal”, durante la “Night Awards” tenutasi nei giorni scorsi. Oltre a lui, sono stati premiati Marco di Lauro, Vittorio Mortarotti, Stefano Orazzini ,Francesco Jodice, Enrico Genovesi. Premio Speciale per il fotogiornalismo è andato all’agenzia VII Photo Agency. La giuria del concorso era presieduta da Gabi Scardi (curatrice e critico) e composta da Renata Ferri (Io Donna), Michela Gattermayer (Vanity Fair), Alessia Glaviano (Vogue) e Michele Lupi (Rolling Stone).
Il progetto di Messori è stato realizzato a Jharkhand, stato minerario dell’India orientale dove l’estrazione del carbone ha letteralmente trasformato quella realtà. Gli scatti – pubblicati in Francia e Usa – parlano da soli ma in questo breve testo vengono spiegati dall’autore stesso. “Da Jharkhand proviene il carbone che fa figurare lo stato indiano come secondo produttore mondiale – si legge – Seconda solo alla Cina, l’ India estrae dal suo sottosuolo una quantità tale di carbone sufficiente per il suo fabbisogno energetico e per i trasporti, il restante lo esporta in tutto il mondo. Il 90% delle miniere, dove si lavora scavando incessantemente, è a cielo aperto, la maggior parte di esse è in autocombustione e sprigiona una quantità incalcolabile di monossido di carbonio, causa del global warming. Sono state distrutte intere foreste per fare posto a questa estrazione selvaggia e soddisfare un sempre crescente sviluppo del paese. Le concessioni per l’estrazione del carbone vengono concesse dallo stato centrale e gestite da imprese statali e private, questo ha creato uno squilibrio sociale ed economico nella zona, tutto ruota attorno all’indotto minerario, un tempo zona agricola e ora interamente riconvertito per l’estrazione del carbone. Molte persone sono senza lavoro e non possono coltivare i campi perché le falde acquifere sono inquinate da agenti derivati dalla carbone in combustione”.
“Queste migliaia di persone senza possibilità economiche, sono costrette a lavorare illegalmente, in condizioni di sicurezza inesistenti e con la polizia governativa sempre alle costole. L’incremento vertiginoso dell’inquinamento dovuto all’estrazione selvaggia del carbone fa sì che la popolazione soffra delle più gravi malattie respiratorie dal tumore ai polmoni alla silicosi, dalle più svariate tipologie di tubercolosi alle occlusioni delle vie respiratorie; inoltre si riscontrano malattie del sangue per inalazione di monossido di carbonio, disfunzioni cardiache e una vita media che non supera i 50 anni. Queste sono le patologie che stanno distruggendo il futuro dello Stato indiano all’insegna del progresso. In tutta la zona nascono villaggi in prossimità delle miniere di carbone a cielo aperto, con conseguenze devastati per la popolazione, che vive senza le più basilari infrastrutture igienico-sanitarie. Intere baraccopoli prive di acqua corrente e di un sistema fognario dove l’aria è irrespirabile per le polveri sottili e saturo del monossido di carbonio generato dal carbone in combustione, in una situazione dove le infrastrutture locali e statali che dovrebbero garantire un’assistenza sanitaria anche minima sono del tutto insufficienti e inadeguate”.