Alluvione in Romagna, ovvero una delle crisi climatiche più terribili che si siano abbattute negli ultimi anni sul nostro Paese. A distanza di poco più di due mesi, abbiamo posto alcune domande al sindaco di Santa Sofia, un comune montano della valle del Bidente nell’Appennino tosco-romagnolo, in quell’area che è storicamente conosciuta con la definizione di Romagna -Toscana, in provincia di Forlì-Cesena. Un paese che rispetto ad altri non ha subito i danni più rovinosi, anche grazie alla speciale attenzione e cura del territorio che proviene, oltre che da una lunga tradizione, anche dal fatto di essere all’interno del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. Inoltre, la presenza della diga di Ridracoli, il più grande invaso romagnolo che porta l’acqua in pianura e a tutta la costa, ha fatto sì che la gestione dell’ondata idrica che si è abbattuta in due terribili tranche, abbia potuto contare su uno strumento che si è rivelato molto importante per la sua gestione. Tuttavia, i numeri sono impressionanti, come ricorda il sindaco Daniele Valbonesi, che è anche consigliere provinciale con delega alla viabilità dell’area forlivese: la provincia forlivese ha visto tutta la parte collinare montana distrutta da dissesti idrogeologici, la provincia di Forlì ha visto ben 480 frane e oltre 400 milioni di danni solo sulle strade.
Com’è iniziato questo lungo viaggio nell’emergenza?
“Il 15 maggio ricevemmo da parte della Regione un’allerta rossa a partire dalla mezzanotte. Fummo chiamati a una riunione da Regione e Prefetto, e abbiamo preso la decisione, vista l’allerta, di chiudere le scuole, con la determinazione di porre la massima attenzione a ciò che sarebbe potuto accadere dalla notte. In quella sede feci una proposta, dal momento che Santa Sofia è, insieme al comune di Bagno di Romagna, comune della diga di Ridracoli, che riguardava l’invaso. La proposta era, dal momento che l’invaso era già colmo, di rilasciare acqua affinché il giorno successivo, ovvero il 16 maggio, la diga fosse in grado di fare “laminazione”, ovvero di trattenere un po’ di pioggia. Una mossa che è stata fatta, sebbene a mio parere con un po’ di ritardo, e questo ha permesso alla diga di trattenere 700mila metri cubi di acqua, che pur essendo pochi hanno potuto contribuire alla gestione dell’impatto pluviale. Tuttavia, dalla mezzanotte è iniziato qualcosa che non avevamo mai visto. I terreni inoltre hanno trattenuto poca acqua, anche perché venivamo da eventi di piovosità intensa anche il 2 e 3 maggio”.
Il territorio comunale come ha risposto?
“La parte alta, ovvero la foresta di Campigna, Montefalco, il crinale, Ridracoli, fino ai 500 metri circa, ha tenuto, per due motivi: uno, morfologico, che la connota come suolo meno fragile geologicamente mentre la copertura forestale rallenta la pioggia e aumenta l’assorbimento, l’altro, il fatto che rispetto all’intero territorio, nella fascia alta ha piovuto un po’ meno. Nell’alta valle del Bidente dunque ci sono stati fenomeni forti ma non così forti come nella fascia sotto i 500 metri. Tant’è vero che a Santa Sofia nei primi sei mesi del 2023 sono caduti circa 1000 mm di pioggia quando la media è solitamente fra 800 e 1000 mm in un anno. Questo dà la dimensione del fenomeno che ci siamo trovati ad affrontare. Già il giorno dopo, il 16 maggio, sono cominciati fenomeni di dissesto, che, fra il 16 e la mattina del 17, hanno sostanzialmente coinvolto tutte le strade comunali, con esclusione di quelle, come detto, della fascia più propriamente montana. Abbiamo riscontrato fra 50 e 60 frane di varia intensità. Oltre al coinvolgimento di diversi privati”.
A fronte di ciò cosa avete messo in campo?
“Abbiamo aperto tutte le procedure di sicurezza, fra cui il centro operativo comunale, con l’ovvia priorità di mettere in sicurezza i cittadini. Per fortuna abbiamo dovuto evacuare solo una famiglia, mentre i nuclei isolati a causa del dissesto delle strade sono stati centinaia. Per quanto riguarda questi ultimi, andavamo con i volontari a portare viveri, medicine, tutto ciò che era necessario e possibile portare”.
Com’era la situazione del paese in generale?
“Anzitutto va ricordato che Santa Sofia era completamente isolata per quanto riguarda il collegamento più importante con Forlì, a causa di una frana che interrompeva la strada in località Pianetto di Galeata. Avevamo un’altra interruzione verso la E45 della Valle del Savio, nel tratto della trada provinciale del Carnaio che era chiusa e lo è tutt’ora. Interrotte molte altre strade comunali, l’unico collegamento che ci rimaneva era verso Spinello, da cui si riusciva in qualche modo a raggiungere Bagno di Romagna, e verso la Toscana, dal momento che la Bidentina, che porta da Santa Sofia al passo della Calla e poi a Stia, era in buone condizioni di percorribilità. Abbiamo subito incaricato delle ditte, oltre naturalmente a mettere in moto le nostre forze, per intervenire in somma urgenza, avviando l’iter che prevede fra vari passaggi quello della relazione e approvazione, iter tuttavia che prevede forme emergenziali più veloci, intervenendo così subito su tutte le frane che si erano prodotte per consentire ove possibile la riapertura delle strade. L’impegno maggiore si è concentrato sull’Sp4 , ovvero la strada che porta a Forlì. Gli studenti non potevano andare a scuola, il Pollo del Campo (un grande soggetto economico della zona, ndr) era chiuso, il personale della diga di Ridracoli era in difficoltà, il personale sanitario dell’ospedale pure, così come gli insegnanti delle scuole santasofiesi e tutti i pendolari. Il “blocco” è stato definitivamente risolto il 25 maggio, anche se nei giorni precedenti eravamo già riusciti a consentire un passaggio in alcuni orari della giornata”.
A livello economico, quanto è costato tutto questo al comune?
“Abbiamo dovuto far fronte con interventi di somma urgenza e un debito fuori bilancio per circa 300mila euro. Abbiamo conteggiato una cifra, solo per le strade comunali, di oltre 4 milioni. Poi, c’è tutta la viabilità secondaria, per la quale calcoliamo un atro milione e mezzo circa. Ad oggi abbiamo fatto fronte facendo una variazione di bilancio, però siamo ben consapevoli che noi e ancor più altri comuni, senza le risorse dello Stato, non possiamo fare fronte in modo risolutivo alla situazione, o perlomeno sarebbe estremamente difficile”.
Avete incontrato il commissario Figliuolo?
“Sì, il 19 luglio. Il commissario per la ricostruzione ha dichiarato che queste risorse arriveranno a breve, riferendosi a quelle per la somma urgenza. I 5 milioni e mezzo di cui si parlava, sono quelli previsti solo per il comune di Santa Sofia, solo per le strade comunali e per ricostruire in maniera conclusiva e definitiva. Invece per le somme urgenze, quelle per cui siamo stati costretti a fare debito, circa 300mila euro, è stata la spesa necessaria per riaprire le strade in sicurezza, attività che sono partite dal giorno dopo per capirsi, e che stiamo continuando a svolgere”.
Una vera calamità affrontata però con determinazione e buon senso che ha consentito al comune di Santa Sofia, ad oggi di poter dire di essere riuscito in qualche modo a gestire situazioni veramente estreme. Un risultato che però va considerato anche nel suo substrato profondo, costituito da una particolare, tradizionale cura del suolo e del territorio, che ha prodotto anche la nascita di associazioni, centri di studio ambientale, formazione. Di fronte alla dura prova che avete e state affrontando, quali sono le vostre aspettative e i vostri impegni per il futuro?
“Centocinquanta chilometri quadrati per un piccolo comune montano sono di difficile gestione. Va detto che quello che si fa non basta, bisognerebbe fare di più, avere più attenzione e quando dico attenzione mi riferisco a risorse finanziarie ed umane che debbono venire dalla politica nazionale, dal momento che non è possibile risolvere tutto da soli. Va però ricordato nel nostro caso che, anche se tutto ciò che facciamo tutti assieme non è sufficiente, questo territorio, forse per coincidenze storiche fortunate, ha particolare sensibilità. Mi riferisco al fatto che la presenza di due grandi soggetti, da una parte la diga di Ridracoli, un invaso che raccoglie l’acqua potabilizzandola per tutta la Romagna (tra il 50-60% dell’acqua dei romagnoli proviene da Ridracoli), dall’altra un Parco Nazionale che si snoda fra Romagna e Toscana, aiuta intanto una serie di investimenti sul territorio ma stimola anche un’attenzione maggiore. Di contro, anche noi soffriamo l’abbandono umano di alcune zone, con i noti problemi di degrado delle colture e del suolo che ciò comporta. D’altro canto, il fatto che una buona fetta del territorio comunale sia di proprietà demaniale, la parte alta delle foreste del demanio statale unito a una parte più di fascia bassa che fa parte del demanio regionale, sicuramente obbliga a un’attenzione maggiore con anche interventi di manutenzione che non sono mai stati abbandonati. Interventi che tuttavia non sono sufficienti in particolare nella prospettiva dei cambiamenti climatici in corso, che vedono il succedersi a intervalli sempre più brevi di eventi sempre più estremi. Devo dire che nei miei nove anni da sindaco i campanelli di allarme ci sono stati eccome, a partire dai dissesti nel 2017, incendi, terremoti, un po’ di tutto. Cambiamenti con i quali dobbiamo imparare a convivere, cercando di ridurne l’impatto. Come ? Attrezzandoci”.
In questo senso, che ruolo riveste per l’assetto del suolo la cementificazione che anche in quest’area potrebbe essere presente, ad esempio con riferimento all’industria dei polli?
“Per quanto riguarda quest’ultimo punto, posso dire che gioca un ruolo limitato per la sicurezza e la salute del suolo, anche perché sono previste opere di mitigazione su cui è importante ricordare che dovrebbero essere praticati più controlli. Per quanto riguarda l’impatto più generale della cementificazione, per fortuna non abbiamo casi presenti invece in pianura, dove si assiste a un continuo procedere di costruzioni, mi riferisco anche a grandi centri commerciali oltre a capannoni, che continuano a consumare suolo, impermeabilizzandolo e sottraendolo alla sua funzione naturale di mitigazione degli eventi climatici estremi”.
Sembrerebbe che in qualche modo un ruolo significativo sia stato comunque giocato dall’importante forestazione che ricopre una buona parte del territorio, forestazione curata e ben manutenuta. Pensate di sviluppare anche questo tema in futuro?
“Per quanto riguarda gli alberi e la loro importanza, è significativo che, sotto la spinta di Romagna Acque e Slow food, sia nato Alberitalia proprio a Santa Sofia, una fondazione finalizzata a prendersi cura delle politiche forestali in un territorio in cui gran parte delle foreste sono pubbliche e sono in collegamento con una diga che è uno storico modello di buon funzionamento. Fra i vari obiettivi, Alberitalia ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica per quanto riguarda le politiche forestali, darne diffusione e creare un punto di dibattito. Organizza ad esempio molti seminari, di cui fanno parte accademici provenienti da tutti gli atenei nazionali. Il focus è sul contratto di foresta, strumento nato con legge del 2021 che fra gli obiettivi ha anche quello di facilitare connessioni fra pubblico e privato”.
Cosa chiedete come sindaci, per l’immediato?
“Una volta che è completata la struttura commissariale, abbiamo bisogno con urgenza delle risorse economiche, dal momento che non dobbiamo solo ricostruire, ma farlo meglio di prima. Serve l’aiuto dell’ingegneria ambientale, con l’utilizzo di materiali sostenibili, ma il segreto è farlo velocemente. Noi oggi siamo fermi. Il nostro Paese dovrebbe dotarsi di una legge sui cambiamenti climatici, sia per il futuro pensando alla rimozione delle cause, ma anche per la nostra tutela e la mitigazione degli effetti del climate change. Per noi la priorità è una maggiore cura del territorio. Per fare questo, necessita un piano straordinario da parte dello Stato che vada a scalare, dall’ambito nazionale a quello regionale-provinciale- comunale, per la cura del territorio. In questi mesi, la filiera istituzionale a partire dalla Regione ha tenuto, ma qualche volta, da sindaci, non abbiamo apprezzato alcuni commenti da parte del governo centrale, come certe critiche fatte ad alcuni sindaci perché avevano speso troppo o aperto troppi cantieri. Intanto, chi fa il ministro dovrebbe sapere che un sindaco è tenuto ad aprire cantieri, vista la situazione, altrimenti potrebbe essere accusato di omesso soccorso. In definitiva, al di là di ogni possibile polemica, ciò che ci serve, subito, è poter ripartire. E non possiamo farlo da soli”.