Firenze – Vivono accanto a noi, senza mai essere veramente visti: sono loro, una parte di quelli che arrivano sui barconi, quelli che “rubano lavoro” o se ne stanno a “degradare” le piazze delle nostre città, lì fermi “a non far nulla”. Stamp è andato a vedere chi sono e soprattutto come arrivano da noi, e quale meccanismo li tiene qui, inchiodati in un paese in cui magari pensavano di passare per andare oltre, nel cuore dell’Europa.
Rifugiati politici e richiedenti asilo: chi sono e da dove vengono.
Sono i beneficiari dello SPRAR, del Paci, dello Skill Bill e Passport. Ovvero i rifugiati politici e richiedenti asilo, risucchiati negli ingranaggi dell’accoglienza italiana, e toscana. Che mette a disposizione per i prossimi tre anni più di tre milioni di euro per la sola città di Firenze. Un fiume di soldi che serve ad accogliere, e integrare, poco meno di un centinaio di persone. Aiutandoli a cercare un lavoro e una casa. Ma non sempre va tutto liscio. E così l’integrazione vacilla diventando stabile precarietà, se non povertà, per mancanza di lavoro; altre volte occupazione di stabili per mancanza di alloggi. Ma facciamo un passo indietro: chi sono e da dove vengono? Sono soprattutto eritrei, nigeriani, armeni e somali. Giovani uomini e (poche) donne che hanno lasciato il loro paese perché lì rischiano la morte per motivi politici, e chiedono protezione internazionale. Molti hanno subito torture e violenze, e il viaggio, si sa, non è esattamente una passeggiata. “Arrivano a Livorno, o a Peretola, con le infradito e un sacchetto con le loro cose. Oppure da Ragusa, dopo qualche mese nei centri d’accoglienza. E noi, da qualche parte, li dobbiamo pur sistemare” spiega un operatore. E qui inizia il viaggio nel viaggio.
Il viaggio nel viaggio
“Il primo problema è l’insufficienza di strutture – prosegue lo stesso operatore, che preferisce rimanere anonimo- nonostante l’aumento dei posti previsti, e finanziati, dallo Stato per lo SPRAR”. Nel 2014, infatti, a seguito dell’acuirsi degli sbarchi per l‘emergenza siriana e palestinese, l’Italia ha deciso di aumentare i posti d’accoglienza, 16mila, nell’ambito del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR, appunto). Nello specifico, a Firenze, sono accolte circa 80 persone, per un finanziamento totale di 3 milioni e 875mila euro – di cui 807mila cofinanziati dal Comune – per il triennio 2014-2016.
“Lo Stato eroga l’80% dei finanziamenti mentre l’ente gestore del progetto di accoglienza, in questo caso il Comune di Firenze, il restante 20– chiarisce Pippo Bisignano, responsabile immigrazione del Comune– con il quale paga i dipendenti comunali coinvolti nel progetto, gli assistenti sociali, le ASL per gli screening sanitari, oltre ai corsi d’italiano e di formazione. Spesso però è il Comune stesso– sottolinea laconico Bisignano- che deve anticipare la quota del finanziamento statale”.
“Sembrano tanti, forse troppi, soldi ma non è così. Con questi – aggiunge Simone Ferretti, responsabile Immigrazione dell’Arci Toscana– dobbiamo pagare l’affitto delle strutture, il cibo, le utenze, gli operatori legali, i mediatori culturali e i tirocini”.
I gestori dell’accoglienza
E poi vanno pagati loro, i soggetti del Terzo settore, selezionati precedentemente con un bando comunale, che gestiscono de facto l’accoglienza: a Firenze, soprattutto Caritas e Arci. A tal proposito Nicola Solimano, della Fondazione Michelucci, solleva qualche perplessità: “Manca un ruolo forte, di regia, da parte del pubblico. L’integrazione funziona quando, nel rapporto tra pubblico e Terzo settore, è il pubblico a dettare le priorità. Assistiamo invece a soluzioni temporanee, attivate di volta in volta per fronteggiare le emergenze, dovute alla scarsità delle risorse messe a disposizione dallo SPRAR”.
Il motivo? Quel fiume iniziale di soldi si è già disperso in mille rivoli. A Villa Pieragnoli, ad esempio, dove trovano accoglienza 65 rifugiati sugli 80 ospitati a Firenze, lavorano tre soggetti: Caritas, proprietaria della struttura, Arci e la cooperativa Co&so. C’è chi si occupa del cibo, chi dei corsi d’italiano e di formazione e chi, come l’Arci, “dell’inserimento degli ospiti per un totale del 10% circa del lavoro da svolgere” spiega ancora Ferretti. All’Opera Madonnina del Grappa, a Rifredi, si trovano invece i 130 beneficiari del Paci, altro sistema d’accoglienza, finanziato dal Ministero dell’Interno in base ad un accordo settennale, e rivolto a chi è stato in un progetto SPRAR, e quindi a chi è già stato riconosciuto lo status di rifugiato, ma ne è uscito con un’integrazione non completa. Un esempio? “La badante che ha perso il lavoro, o il rifugiato che non si può permettere un alloggio perché ha un contratto a chiamata, quando va bene” precisa ancora Bisignano, che continua “Il limite del Paci sono le lunghissime lista d’attesa dovute alla scarsità dei posti disponibili”. Inoltre, sia per lo SPRAR sia per il Paci sono previsti dei tempi massimi di permanenza. Un anno nel primo caso, 6 mesi nel secondo. Trascorsi i quali, il rifugiato deve trovare un lavoro e un alloggio al di fuori della struttura nella quale è stato ospitato. Ma se il lavoro non c’è, come è possibile pagare un affitto? Ecco dunque che alcuni di loro occupano, altri tentano la fortuna altrove.
Asilo politico … nelle occupazioni
A confermarlo Lorenzo Bargellini, storico animatore del Movimento di Lotta per la Casa di Firenze: “Tra gli occupanti ci sono un centinaio di persone in asilo politico. Sono soprattutto eritrei, etiopi, somali e qualche curdo”. Secondo uno studio del Consiglio Italiano per i Rifugiati del 2013, il problema più grave nel nostro Paese è appunto la mancanza di un alloggio: solo un rifugiato su dieci riesce a trovarlo. E Firenze non fa eccezione. “La presenza di richiedenti asilo nelle occupazioni è la dimostrazione che i percorsi d’integrazione non hanno esiti significativi- riflette Solimano- in quanto sono svincolati da un più ampio sistema di welfare, e spesso scollegati tra loro”.
Gli fa eco Cecilia Francini, medico e coordinatrice del camper di strada di MEDU (Medici per i Diritti Umani): “ Le occupazioni storiche di questa città, dove noi medici operiamo, sono formate prevalentemente dai rifugiati del Corno d’Africa e da chi è stato rimpatriato in Italia in seguito al Regolamento Dublino”. Alle criticità del sistema italiano si aggiungono infatti gli effetti, duramente contestati da operatori e (alcuni) parlamentari europei, del Regolamento Dublino che prevede il rimpatrio delle persone nel paese nel quale sono state identificate. “È questa la nuova emergenza, anche se pochi ne parlano. Il caso emblematico sono i siriani di passaggio alla stazione di Milano, ma anche Firenze comincia a sentirne le conseguenze” commenta Bisignano. Inoltre la “buona fuoriuscita” dei richiedenti asilo, come viene chiamata nel linguaggio tecnico l’integrazione effettiva del soggetto nel contesto sociale, dipende dal progetto in cui sono stati inseriti: “I rifugiati che provengono da Sprar piccoli sono quelli che hanno maggiori possibilità di integrazione in quanto più seguiti dagli operatori – precisa Francini – ben diverso se provengono da realtà in cui c’è un operatore ogni 50 richiedenti asilo”. Come dire, tutta questione di fortuna; insomma, una sorta di infernale roulettes russa in cui o la va, o la spacca.
I “sistemi paralleli” al mosaico “accoglienze”
A questo complesso mosaico ‘d’accoglienze’ vanno aggiunti ancora due tasselli, costituiti dai cosiddetti “sistemi paralleli”: i progetti finanziati con il Fondo Europeo per i Rifugiati (FER), Skill Bill e Passport, e l’accoglienza straordinaria. Nel caso dei FER, dalla durata annuale, il finanziamento viene coperto all’80% dal contributo europeo e statale, e il restante dal Comune: 850mila euro di cui 76mila da Palazzo Vecchio per 110 persone. L’accoglienza straordinaria, che terminerà il 31 dicembre, è invece gestita direttamente dalle Prefetture attraverso protocolli d’intesa siglati con la Regione. Ed è proprio su questa tipologia d’accoglienza che si addensano i maggiori dubbi di trasparenza ed efficacia in quanto, secondo alcuni operatori, è parzialmente priva di controlli, anche di rendicontazione, altrimenti previsti per lo SPRAR e i FER. “Quando ci arrivano dei rifugiati provenienti dall’accoglienza straordinaria siamo costretti a ricominciare tutto dall’inizio perché non hanno potuto seguire i corsi d’italiano, e non sanno una parola della nostra lingua” confida un operatore. Saperlo è invece fondamentale per superare il colloquio con la Commissione esaminatrice, che approva o meno lo status di rifugiato, e ottenere il permesso di soggiorno. Ed averlo cambia la vita: significa l’esercizio effettivo dei diritti fondamentali. Troppo spesso imprigionati nella fitta rete di leggi, decreti e regolamenti europei.