Niente cellulare in classe fino alla scuola media. È quanto messo nero su bianco in una circolare dal ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Valditara. Non è una novità assoluta perché già nel dicembre 2022 il ministro emanò una analoga circolare, motivando così la sua scelta: “Non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a connotare la classe dirigente di domani”.
La dura analisi del ministro, che scatenò non poche polemiche, poggia in realtà su alcuni elementi oggettivi: gli ultimi sviluppi della neuroscienza, con molti studiosi che hanno scandagliato il rapporto fra under 13 e cellulari, ricavandone il convincimento di un vero e proprio disastro generazionali. Sul tema esiste un vero e proprio dossier redatto dalla Settima Commissione del Senato e presentato il 9 giugno del 2021. Quella commissione, presieduta da Andrea Cangini, era stata chiamata in causa proprio per la tematica al centro della decisione di Valditara: l’uso del cellulare in classe magari solo per scopi didattici. E il verdetto fu netto: “Dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri”. Questo quanto riportato nel documento finale approvato all’unanimità.
Ma la Settima Commissione volle approfondire la tematica più generale relativa all’uso dello smartphone in età adolescenziale e tra gli under 13. E le conclusioni furono dirompenti: “Ciò su cui dovremmo riflettere maggiormente – si legge negli atti finali della Commissione – sono i meccanismi neurologici legati all’uso, che di fatto non può che presupporre l’abuso, dei dispositivi digitali nelle mani dei nostri giovani. Il meccanismo è a tutti gli effetti analogo all’uso della cocaina: si rilascia un neurotrasmettitore, ovvero la sostanza del piacere, la dopamina, e quindi si avverte un piacere fisico. È per questo che ciascuno di noi che ha figli sa quanto sia difficile allontanare i bambini, i ragazzi, gli adolescenti dalla console del videogioco o dal proprio smartphone, perché è come togliere la dose di cocaina. L’effetto è identico a quello della cocaina, dal punto di vista chimico e neurologico. È come togliere una dose consistente di cocaina da sotto il naso del cocainomane”.
Si scatenarono polemiche a valanga. Riccardo Luna, dall’alto dell’autorevolezza della sua competenza digitale, arrivò a chiedere sul suo seguitissimo blog su repubblica.it, una “Commissione di indagine sulla Settima Commissione di indagine”. Ma in realtà quel lavoro fu permeato da una solita rilevanza scientifica. Tra i neuroscienziati che dettero il loro contributo ci fu anche Manfred Spitzer, il neuropsichiatra che più si è esposto per affermare, come fa nel suo ultimo libro “Emergenza Smartphone”, che “lo smartphone limita le capacità cognitive e fa abbassare il quoziente d’intelligenza, persino quando non viene utilizzato. Distrae con la sola presenza, dal momento che si sa che è accanto a noi, pronto all’uso. Gli smartphone minano la fiducia reciproca delle persone che vivono in società e compromettono in tal modo i fondamenti della nostra democrazia”. Direttore della Clinica psichiatrica e del Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm, già docente ad Harvard, tra il 2013 e il 2019 ha pubblicato quattro saggi che rappresentano un riferimento scientifico ineludibile in merito ai problemi della sovraesposizione digitale soprattutto dei minori. I titoli sono già eloquenti: “Demenza digitale” (2013), “Solitudine digitale” (2016), “Connessi e isolati” (2018) “Emergenza smartphone” (2019, tutti editi da Corbaccio).
Nell’audizione davanti alla Settima Commissione, Spitzer e altri neuroscienziati spiegarono gli effetti dell’uso dello smartphone nell’età dell’apprendimento: “il cervello agisce come un muscolo, si sviluppa in base all’uso che se ne fa e l’uso di dispositivi digitali (social e videogiochi), così` come la scrittura su tastiera elettronica invece della scrittura a mano, non sollecitano il cervello. Il muscolo, dunque, si atrofizza. Detto in termini tecnici, si riduce la neuroplasticità, ovvero lo sviluppo di aree cerebrali responsabili di singole funzioni”.
Ma c’è di più. Secondo molti neuroscienziati non è solo l’uso dello smartphone a produrre effetti perniciosi sulle dinamiche di apprendimento e di capacità di concentrazione dei ragazzi. Basta anche solo la presenza, la vicinanza del cellulare, per determinare un meccanismo di dipendenza tra i minori. Nel caso dello smartphone, tutto questo avviene non solo in relazione al contenuto – videogiochi, filmati o altro – ma per la qualità intrinseca del contenitore, in particolare lo schermo del cellulare, capace di indurre nei piccoli utenti una sensazione di piacere dalla quale è difficile affrancarsi. Da questo stato, molto simile a una trance, deriva la permanenza al cellulare così immersiva dei ragazzi sotto i 13 anni.
Lo affermano ormai molti scienziati e psicologi. Primo fra tutti, Nicholas Kardaras, autore di “Glow Kids: How Screen Addiction Is Hijacking Our Kids-and How to Break the Trance”, libro pubblicato nel 2016, titolo che tradotto in italiano può essere: “Bambini abbagliati: come la dipendenza dagli schermi sta sequestrando i nostri figli, e come rompere la trance”.
Scrive Kardaras: “La tecnologia, in particolare quella degli schermi non adatti all’età, con tutta la sua ubiquità luminosa – – afferma Kardaras – ha profondamente influenzato il cervello di un’intera generazione. Le ricerche di imaging cerebrale dimostrano che gli schermi luminosi stimolanti sono dopaminergici e cioè attivano la dopamina, per il centro del piacere del cervello, così come il sesso. Una montagna crescente di ricerche cliniche – sottolinea Kardaras – mette in relazione l’uso degli schermi con disturbi come l’ADHD, la dipendenza, l’ansia, la depressione, l’aumento dell’aggressività e persino la psicosi. L’aspetto più sconvolgente è che recenti studi di imaging cerebrale dimostrano in modo definitivo – sostiene Kardaras – che l’eccessiva esposizione agli schermi può danneggiare neurologicamente il cervello in via di sviluppo di un giovane, allo stesso modo della dipendenza da cocaina”.
Certamente le conclusioni della Settima Commissione del Senato e il divieto al cellulare in classe disposto da Valditara a queste analisi di neuroscienziati fanno riferimento. Ma nelle raccomandazioni della Commissione si elencarono altri punti:
• “Scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per minori di 14 anni;
• rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di 13 anni;
• prevedere l’obbligo dell’installazione di applicazioni per il controllo parentale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori;
• favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web;
• vietare l’accesso degli smartphone nelle classi;
• educare gli studenti ai rischi connessi all’abuso di dispositivi digitali e alla navigazione sul web;
• interpretare con equilibrio e spirito critico la tendenza epocale a sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento;
• incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria.
Non si tratta di dichiarare guerra alla modernità – puntualizzò la Commissione – ma semplicemente di governare e regolamentare quel mondo virtuale nel quale, secondo le ultime stime, i più giovani trascorrono dalle quattro alle sei ore al giorno”.
Anche la circolare di Valditara non sembra intrisa di un luddismo da terzo millennio, visto che il ministro annuncia anche un progetto pilota per l’utilizzo didattico di “assistenti basati sull’intelligenza artificiale. Lo scopo – ha aggiunto il ministro – è valutare l’efficacia di questi assistenti nel migliorare le performance degli studenti, identificare le migliori pratiche per integrare l’intelligenza artificiale nella didattica quotidiana, garantire che l’utilizzo dell’Ai sia etico e rispettoso della privacy degli studenti e dei docenti, assicurare che l’intelligenza artificiale sia utilizzata come strumento di supporto mantenendo però il docente sempre al centro”. Lo scopo del progetto pilota, ha detto Valditara è “un miglioramento dei risultati degli studenti, una riduzione del carico di lavoro amministrativo per i docenti permettendo loro quindi di concentrarsi maggiormente sull’insegnamento e sul rapporto anche personale con i singoli studenti, e una maggiore inclusione per quei bisogni educativi speciali”.
Usando il buon senso con competenza, l’Intelligenza Artificiale a scopo didattico può addirittura essere, per le nuove generazioni, un veicolo di affrancamento dalla dipendenza da smartphone. Se si riattivano, con i giusti approcci di insegnamento, la capacità del pensiero critico e il ragionamento individuale. E lo smartphone fuori dalla classe può aiutare.
In foto Giuseppe Valditara