Firenze – Non passa giorno senza una ventata populista che auspica l’uscita dall’euro e il ritorno alla lira. Con un’insistenza ossessiva, alla moneta unica viene da tempo data la colpa di qualunque aspetto negativo della nostra economia. Passano in sottordine altri fattori come il debito pubblico abissale, l’elefantiasi della macchina pubblica, i costi della politica, gli sprechi vari, i mancati introiti provocati dall’evasione fiscale e contributiva. Invece di intervenire per risanare, razionalizzare, rilanciare è assai più facile incolpare di tutto l’Europa. .
Ma i sostenitori dell’uscita dall’ Euro si guardano bene dal parlare di alcune conseguenze. Che si possono riassumere in “arricchimento dei ceti forti, drastico impoverimento dei ceti medio-bassi, polverizzazione dei piccoli risparmi” crescita delle rendite di posizione.
Per di più, come scrive Primo Mastrantoni in un comunicato ADUC ,bisogna tener conto che “lo Stato dovrebbe emettere titoli ad elevato interesse, aumentando il debito pubblico, e dovrebbe ricorre a drastiche misure di taglio della spesa pubblica con effetti, in particolare, sulla sanità e sul sistema assistenziale e previdenziale”.
Ma veniamo al dettaglio. Il ritorno alla moneta nazionale avrebbe come effetto immediato un’inflazione a due cifre. Vantaggi per le esportazioni, ma pesantissime ricadute sulle importazioni, a cominciare dall’energia (gas, elettricità) e dalla materie prime. Con impennata dei prezzi di tutti i prodotti e dei costi di produzione che si ripercuoterebbero negativamente sulle esportazioni, richiedendo così nuove svalutazioni, con un circolo vizioso.
Nel 1973, la famosa crisi petrolifera portò alla crescita dei costi di produzione, e quindi a un’inflazione che non si arrestò dopo la prima impennata perché l’aumento dei beni strumentali portava come conseguenza altri aumenti dei beni di consumo.
Queste cose le conosco bene perché le ho vissute sulla mia pelle. Andavi in un negozio e se chiedevi un piccolo sconto ti sentivi dire: “ Lo sconto? Mi ascolti: compri adesso perché dalla settimana prossima arrivano i nuovi listini con un aumento del 30% !
Le categorie di lavoratori che avevano potere contrattuale, come certi servizi pubblici, ottenevano aumenti salariali per recuperare l’inflazione. E ciò che provocava aumento delle tariffe e nuova spirale inflazionistica.
Chi vinceva e chi perdeva in questa vicenda? Chi possedeva un immobile comprato diciamo, a 10 milioni di lire, dopo alcuni anni lo rivendeva a 100. Chi aveva qualche milione di lire in banca, dopo gli stessi anni vedeva i risparmi polverizzati…chi voleva prendere un mutuo si sentiva annunciare tassi di oltre il 20%.
Risultavano vincitori anche quanti potevano stabilire i prezzi e chi aveva potere contrattuale. Perdenti assoluti i pensionati privi di margini di recupero, i dipendenti di aziende in crisi e, in genere, tutti quei lavoratori i cui scioperi non avevano peso sufficiente.
Notate bene che all’epoca c’era l’indennità di contingenza, che consentiva un parziale recupero dell’inflazione e che è stata poi abolita. Oggi, quindi saremmo anche senza quel paracadute. Addirittura molti pensionati sono stati privati anche della perequazione al costo della vita…è facile immaginare che falcidia avrebbe il loro reddito.
E non credo che ci sarebbero miglioramenti sull’occupazione perché l’impoverimento di vasti strati del ceto medio porterebbe ad una contrazione dei consumi. Non dovrebbe dirci qualcosa il fatto che i “ricchi” (o almeno quelli che frequento io) sono estimatori della lira?
Un ultima cosa che riguarda gli anziani: molte badanti fanno questo lavoro gravoso con un salario tutto sommato modesto perché nei loro Paesi d’origine, quello che guadagnano qui vale assai di più. Se tornassimo alla lira anche questo “vantaggio” scomparirebbe e le attuali badanti cercherebbero lavoro in altri Paesi.
Inoltre, oggi l’Italia si avvantaggia del fatto che per il debito pubblico gli interessi sono quasi a zero…ma credo che con la nuova lira non sarebbe più così.