Pisa – È calato il sipario su Boris Johnson. Caduto bruscamente nei consensi, assillato dai continui scandali, deludente nell’affrontare l’emergenza economica che ha investito il Regno Unito e nel gestire la Brexit. Aveva resistito allo scoglio della mozione di sfiducia lo scorso 6 giugno, ma nemmeno quella parziale vittoria è stata sufficiente a metterlo in sicurezza. Le manovre interne al partito conservatore per sostituirlo sono continuate frenetiche. Fuoco amico che l’ha relegato in un angolo.
Il patetico tentativo di salire sulle barricate e resistere ad oltranza non aveva nessuna prospettiva. Dietro al cesaricidio consumato nell’arco di 48 ore ha influito, non poco, la lotta per la sua successione. Ad aprire le danze sono stati due pezzi da novanta dei Tory: i cancellieri Rishi Sunak e Sajid Javid (rispettivamente al Tesoro e alla Sanità). Che per primi hanno polemicamente abbandonato la nave, lasciandola alla deriva ad affondare. Il gesto di Sunak e Javid, per quanto non del tutto inatteso se non nella tempistica, ha rappresentato la scintilla che ha provocato a catena lo scompiglio tra i vertici della destra anglosassone.
Generando il più grande ammutinamento negli ultimi 90 anni di storia del parlamento britannico, non accadeva dal 1932 che a Westminster il primo ministro si trovasse ad affrontare una tale pioggia torrentizia di lettere di dimissioni. Che il vaso fosse al limite era diventato evidente dopo gli ultimi pessimi risultati elettorali, amministrative e suppletive avevano sancito la débacle della sua premiership.
La goccia che ha fatto traboccare gli eventi è l’ennesimo scandalo di palazzo: il fido consigliere Chris Pincher accusato di molestie seriali. Episodio fatto di reticenze, bugie, ammissioni di colpa, che come nel caso dei festini durante la pandemia, ha minato popolarità e fiducia nel partito conservatore. Non è bastato nemmeno l’ausilio della propaganda di guerra contro il nemico russo a compattare gli animi.
Il rapporto tra il leader e il partito è venuto meno, per varie ragioni. L’economia si è dimostrata vulnerabile alla recessione, più di quanto si pensasse. File ai benzinai, scaffali vuoti. E oggi la fotografia dell’antifurto al formaggio in alcuni supermercati. L’incubo dell’inflazione che corre parallelo a quello della guerra commerciale con Bruxelles, dopo lo strappo sui protocolli nordirlandesi. L’approccio unilaterale di Johnson non era piaciuto a tanti deputati della maggioranza, che avevano dato vita ad una fronda con a capo il segretario Brandon Lewis, con l’obiettivo di impallinarlo se non fossero stati ascoltati. Minimo il feeling con l’erede al trono Carlo, rapporti freddati dalla questione del piano di respingimento dei migranti in Ruanda, non gradito a palazzo reale. E tantomeno nelle alte sfere della chiesa anglicana. Sul piano internazionale pur avendo instaurato buone relazione con Biden continuava a pagare il sodalizio con Trump. Chiunque sia il suo successore, sarà quasi sicuramente figlio del thatcherismo e non del decadente populismo johnsoniano.
Alfredo De Girolamo Enrico Catassi