Di ‘galleggiamento’, ‘senza infamia e senza lode’, ‘manovricchia’, nei giudizi più blandi. ‘Equilibrata e prudente’ secondo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. ‘Mancette e propaganda elettorale’ secondo le opposizioni. I pareri si sprecano, come accade sempre alla presentazione di ogni manovra ma quella di quest’anno, ancor prima di cominciare il suo iter parlamentare, ha prodotto già i primi fatti: lo sciopero generale di otto ore proclamato da Cgil e Uil per il 29 novembre, l’annunciato sciopero dei medici per il 20 novembre e la mobilitazione di tutto il settore della scuola, già scesa in piazza.
Licenziata dal Consiglio dei ministri il 23 ottobre e controfirmata dal presidente della Repubblica, la seconda legge finanziaria targata centrodestra – 144 articoli più le tabelle – è ora alla Camera. Da lunedì 4 novembre in commissione Bilancio cominciano le audizioni, a partire dalle parti sociali, e si concludono il 7 con l’intervento del ministro Giorgetti. Poi ci sono i tavoli a Palazzo Chigi: il 5 novembre il governo sentirà i sindacati e il 13 le associazioni datoriali. Il 10 novembre dovrebbe essere il termine per presentare gli emendamenti e tutti i partiti, anche quelli di maggioranza, fanno sapere di voler intervenire pesantemente sul testo licenziato dal governo. Quindi si prospetta la solita corsa contro il tempo per arrivare all’approvazione definitiva del 31 dicembre dopo il passaggio in Senato.
Prima e dietro tutto questo ci sono però quei vincoli di bilancio che zavorrano ogni iniziativa di spesa, azzerando promesse elettorali, richieste e aspettative. Il padre di tutti i vincoli è quel debito pubblico che continua a condannare l’Italia alla sorveglianza speciale di Bruxelles. Sono circa tremila miliardi e costruire manovre che lo contengano diventa quasi un gioco di prestigio, tenendo conto anche del nuovo Patto di Stabilità che ‘impicca’ l’Italia al suo debito imponendone il rientro progressivo dell’1% ogni anno. E così Giorgetti ‘galleggia’ fra gli scogli ma sembra soddisfatto della sua navigazione: “Abbiamo approvato il Piano strutturale di bilancio che guiderà la politica fiscale degli anni a venire e questa manovra realizza in pieno, per il prossimo triennio, gli obiettivi”. Forte poi del giudizio “dei mercati e delle agenzie di rating che promuovono l’Italia”, Giorgetti rivendica la stabilità politica e la prudenza fiscale, per cui considera “realistico” il calo del debito pubblico secondo le tabelle di marcia previste.
Ma molti fattori remano contro, a partire dal Pil che non cresce. Tutte le previsioni per il 2025, dal Fondo monetario Internazionale a Bankitalia, lo danno piantato sotto quell’1% calcolato in legge di bilancio. Ultima botta finale dall’Istat, che ha dimezzato la stima della crescita dall’1% al più probabile 0,5%. Inoltre a ottobre l’inflazione è tornata a salire, che vuol dire spendere di più a parità di salario.
La manovra arriva a 30 miliardi e non si può sforare. Ed è a questo punto che entra in campo la politica: si deve scegliere, dove mettere e dove togliere soldi. Il governo di centrodestra ha deciso di concentrarsi su fisco e famiglia, cui ha destinato quasi la metà delle risorse a disposizione. Come già annunciato, il taglio del cuneo fiscale è diventato strutturale, e si rende strutturale anche l’accorpamento delle tre aliquote Irpef, ma la seconda aliquota (per i redditi fra 28mila e 50mila euro) potrebbe scendere dal 35 al 33%. Le altre due restano confermate: il 23% per i redditi fino a 28.000 euro e il 43% per i redditi che superano 50.000 euro. La novità è invece la riforma delle detrazioni Irpef, secondo un nuovo meccanismo legato a fasce di reddito e composizione del nucleo familiare, per cui verrebbero fortemente penalizzati i single.
La famiglia dunque è il vero fulcro politico di questa manovra: viene introdotta una ‘Carta per i nuovi nati’ che riconosce 1.000 euro ai genitori con ISEE entro i 40 mila euro. Poi si rafforza il bonus destinato a supportare la frequenza di asili nido. Confermata la decontribuzione per le mamme con 2 o 3 figli, una misura che sarà estesa anche alle lavoratrici autonome. Ancora, il congedo parentale passa da due a tre mesi, con l’80% della retribuzione. Non sono molti soldi in assoluto, c’è chi parla di mance o soliti bonus, ma danno la cifra politica di questa manovra.
Arriviamo ora ai capitoli più incandescenti: pensioni, sanità, scuola. Le prime mortificate ad un aumento di soli 3 euro sulle minime, talmente eclatante che non si è parlato di altro, come per esempio la conferma di quota 103 e gli incentivi per chi resta a lavorare oltre il previsto.
Sulla Sanità è guerra dei numeri tra maggioranza e opposizione. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni rivendica un “record storico”: la manovra destina tre miliardi al Fondo sanitario nazionale, che raggiungerà 136,48 miliardi nel 2025 e 140,6 miliardi nel 2026. Ma è stata la segretaria del Pd Elly Schlein a smascherare il metodo di calcolo, sottolineando come non contano i numeri assoluti ma il loro rapporto percentuale sul Pil. Con questo ricalcolo i soldi destinati alla sanità rappresentano, dice Schlein, “la percentuale più bassa degli ultimi 15 anni“. Di più, sono state cancellate anche le assunzioni previste. Insomma, quanto basta per far scendere in piazza medici e infermieri.
Capitolo scuola, con il blocco del 25% del turn over, consegue che “per la prima volta dal 2008 e cioè dai tagli lineari al personale varati dal governo Berlusconi con il duo Gelmini Tremonti, viene scritto nero su bianco che verranno tagliati 5.660 docenti e 2147 posti del personale amministrativo tecnico e ausiliario della scuola”, spiega Irene Manzi, del Pd. E, a fronte di questo, paiono ben poca cosa i soldi assegnati per la stabilizzazione dei professori di sostegno (25 milioni nel 2025 e 75 nel 2026), quelli per l’aumento degli stipendi con i rinnovi contrattuali e per estendere ai precari il bonus da 500 euro per l’aggiornamento professionale.
Altro capitolo politicamente caldo che si è scoperto in un secondo momento dalle tabelle allegate alla manovra, il taglio di 4,6 miliardi di euro all’industria dell’auto, tolti al fondo destinato ad incentivare il passaggio alle auto elettriche. In un momento di smantellamento dell’industria del settore con Stellantis che licenzia e minaccia di abbandonare l’Italia, questa mossa ha allarmato anche le aziende che protestano a fianco dei sindacati. Non solo, queste risorse sono state dirottate sugli investimenti per la difesa, con 2,5 miliardi in più l’anno dal 2025 e 15 in più fino al 2030 e questo ha scatenato anche le opposizioni pacifiste.
Il ministro Giorgetti se l’è giocata anche con trasferimenti di partite, piccoli aggiustamenti, movimenti finanziari che sembrano giochi di prestigio. Ma non bastava e allora è rientrata in scena la famosa tassazione sugli extraprofitti, diventata poi un contributo volontario di banche e assicurazioni per 3,5 miliardi e alla fine si tratta di una sorta di prestito, un anticipo di liquidità al governo che sospende alcune deduzioni sulle imposte per il 2025 e il 2026. Soldi da restituire quindi.
Ultimo bacino cui attinge il governo sono ministeri ed enti locali, con un taglio sostanzioso di 12 miliardi fino al 2029. E qui più che i ministri si sono fatti sentire gli amministratori pubblici. Secondo la Lega delle Autonomia locali presieduta dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri questa legge di bilancio “è costruita quasi interamente sulle spalle degli enti locali e scarica i costi sui cittadini”. Più severa ancora la sindaca di Firenze, Sara Funaro: “Per il nostro Comune tutto questo potrebbe significare un taglio ai servizi di 6,2 milioni di euro per il 2025, di 7 milioni per il 2026 e il 2027. C’è il rischio di mettere a rischio i servizi essenziali per i cittadini”.
Sono queste le acque in cui ‘galleggia’ la manovra di Giorgetti, le opposizioni fanno il loro lavoro e si mobilitano con i sindacati, anche i partiti della maggioranza non sono soddisfatti e annunciano modifiche durante l’iter parlamentare. Considerati i vincoli pesantissimi da cui partiva il ministro Giorgetti, i toni però restano contenuti. Non c’è visione, non c’è coraggio, ma c’è una prudenza ed equilibrio che l’Europa dovrebbe riconoscere quando sarà chiamata a mettere i voti. Una ‘manovricchia’ appunto, senza infamia e senza lode.