Verso l’infinito/Diario di viaggio sulle vette del mondo: La strada che non c’è

Ai piedi delle montagne e il primo ghiacciaio

Continua il viaggio di Fabrizio Silvetti verso le grandi montagne degli ottomila. Dopo qualche giorno di silenzio, in cui non era possibile comunicare, ecco nuove pagine della spedizione in solitaria che sta compiendo.

19/06/24

Da Skardu ad Askole è un viaggio sulla luna.

Il Toyota BJ40 è un fuoristrada inarrestabile, capace di caricarsi sulle spalle bagagli, alpinisti e gadgets pakistani per scaraventarli nello spazio, depositandoli a destinazione. 

Perché l’unico punto fermo di questo viaggio è la meta, Askole.  In mezzo solo incognite. Come un mago, il buon Dio, si diverte a far scomparire la strada, per poi illuderti poco dopo che sia ricomparsa. E allora, valanghe di emozioni. Incredulità, paura, stupore, felicità, e un pizzico di terrore. Occhi aperti, occhi chiusi, mani che afferrano le tante maniglie a cui tenersi, salti, mani nei capelli, a volte capriole.

Una bella metafora della vita questo viaggio.  Se ti fai condizionare dalle difficoltà, non arriverai mai.  Se invece lasci i tuoi occhi guardare, le tue mani tenere, se non lasci andare la tua mente oltre la curva, se ci metti forza e fiducia, ad un certo punto Askole appare.

E ad Askole il mondo si spalanca. Il Baltoro ti accoglie, ti invita, ti aspetta.

20/06/24

Un passo, poi un altro.

Questa prima tappa del trekking che mi porterà al campo base del Broad Peak è finalmente arrivata. Partendo da Askole, Jhula prima o poi arriva. 

La traccia risale le rive del fiume Braldo, che urla la sua rabbia enorme per meglio farci capire le nostre dimensioni, per riequilibrare il rapporto dei valori tra noi e la natura. Rapporto che ci sta sfuggendo di vista , e di mano.

Un respiro, poi un altro.

Il respiro è un atto fondamentale del camminare in quota, del vivere qui. Occorre controllarlo volontariamente perché sia il più intenso possibile, occorre pensarci.  Altrimenti respiriamo inconsapevolmente come sempre, in modo quasi automatico. E questo, qui, non è sufficiente. Del resto anche nella vita non è sufficiente. Non lo è vivere lasciandoci condurre dalla routine, dalla paura di affrontare decisioni faticose.

Stiamo comodi nell’abitudine. Ci piace galleggiare nel mare calmo, nella nostra vasca da bagno. Ma se vogliamo arrivare dove l’abitudine non ci può portare, dove c’è profondità, allora occorre prendere una barca e provare ad attraversarlo, il mare.

Un passo dopo l’altro, una tappa dopo l’altra. Anche domani.

21/06/24

La vita del portatore

“Vivo in una casa che ho costruito con le mie mani, fatta di argilla, di paglia, legno e sassi.  Per qualcuno potrebbe non sembrare un casa. Ci vivo con la mia famiglia, ho due bambini, frequentano la scuola del villaggio.  Vorrei per loro una vita diversa, anche se in fondo la mia vita mi piace, non ne vorrei un’altra, non ne conosco altre. Faccio il portatore. Un portatore trasporta cose, importanti e non, per chi vuole salire, o solo vedere, le montagne delle valli dove sono nato. È il mio lavoro, c’è da poter mangiare, poter andare a scuola. La fatica non mi spaventa, è dura, ma la mia forza è nella condivisione. Siamo tanti a muoverci su questi sentieri, tutti diversi, tutti uniti. Facciamo parte di un’unica entità, siamo portatori Baltí. 

Forse ognuno di noi non ne è nemmeno consapevole, così come le diverse cellule che mi compongono non sono consapevoli di appartenere al mio corpo. Basta che porti a compimento il mio lavoro, avrò il mio compenso. La mia vita è semplice. È semplice perché mi accontento di ciò che ho. Esistono forse vite che possono essere complicate?”

Da Jhula a Paju è la seconda tappa di questo periodo di acclimatazione che mi accompagna verso la montagna. Il mio corpo è ormai autonomo nel camminare, lo lascio fare e mi lascio andare ai miei pensieri.

Gioco con loro: Facciamo finta che tu sia il mio bimbo, ed io sia il tuo papà. Non mi spavento, e che ti vengo a cercare. Facciamo finta che domani ci sarà il sole a splendere, e le montagne tutte intorno, e che io non inciampi più nella nostalgia. Facciamo finta che questo sentiero che porta i miei pensieri sia un’astronave, e tu il suo capitano.

22/06/24 

Da Paju a Khorbutse

Da quando è iniziato il viaggio l’acqua mi ha accompagnato.
Scorreva nei fiumi che ho seguito risalendo le valli, Indo, Shigar, Braldo.

Ma lei andava in una direzione diversa dalla mia. Io salivo, lei scendeva.
Come se io andassi a cercare in un passato, in uno scorrere che è già stato.
Come la luce che ci arriva dalle stelle, ma che è partita da qualcosa che forse non esiste più.

Che cosa sto andando a cercare?
Forse un’illusione, o forse un luogo dove questo ha inizio.

Però, poi, una volta salito sul ghiacciaio del Baltoro, poco dopo Paju, questa acqua che ha riempito le mie orecchie per giorni, si ferma.
Diventa dura, immobile.
Quello che prima era un video, improvvisamente diventa un fermo immagine, una fotografia.
Sto entrando in un regno dove le regole non sono più quelle a cui siamo abituati. 

Dove esiste una attrazione gravitazionale in grado di fermare gli orologi.
E dove si accendono i sogni.
Forse è questo che sto cercando.

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