Firenze – E’ l’ora di una profonda rivisitazione del welfare state quale abbiamo conosciuto nel 900. Il dibattito è in pieno svolgimento e il governo Renzi propone una riforma del mercato del lavoro che dovrebbe essere il primo importante tassello di un cambiamento verso un sistema più equo e più sufficiente. Tutte le risorse disponibili, in un momento di grave crisi della finanza pubblica, la più grave del dopoguerra, sono necessarie per raggiungere l’obiettivo di costruire un’ efficiente rete di sicurezza per le categorie più deboli e, in questo contesto, anche le Fondazioni di origine bancaria sentono il dovere di giocare il loro ruolo. In sostanza si tratta di passare da una distribuzione di contributi mirate al singolo soggetto richiedente e alla qualità del suo progetto, a una più ampia strategia dove gli enti bancari assumono l’iniziativa di scelte concordate e coordinate con le istituzioni e gli attori che operano sul territorio.
La parola d’ordine è “governance collettiva” del welfare ed è stata lanciata mercoledì dal presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze Umberto Tombari nel corso di un incontro-dibattito dal titolo “Sviluppo e innovazione sociale: nuovi percorsi possibili”. Governance collettiva significa in parole povere “fare rete” fra le istituzioni locali e terzo settore per individuare percorsi di sviluppo nell’interesse della comunità, ciascuno mantenendo la propria autonomia. Si tratta di una rinnovata partnership pubblico-privato che insieme elaborano e realizzano un “nuovo modello di gestione della comunità”, dunque d’ora in avanti si dovrà parlare di “welfare di comunità”.
Dal punto di vista della metodologia, tale welfare dovrà essere “preventivo”, cioè cercherà di prevenire il disagio e la disuguaglianza. Da quello dei settori, balza al primo posto la formazione perché “il primo motore della riduzione della disuguaglianza è la formazione, cioè l’investimento nel capitale umano”. La presenza, consapevole e determinata, delle fondazioni di origine bancaria (300 milioni sono destinati ogni anno in Toscana al territorio) funziona ovviamente come leva per l’attrazione anche di investimenti e finanziamenti stranieri nel campo del sociale, come potrebbe essere per esempio l’accordo con la Robin Hood Foundation di New York.
Le analisi microeconomiche condotte sul territorio confortano questo nuovo patto per il welfare. Dall’indagine sui servizi sociali condotta da Paola Garrone, docente al Politecnico di Milano e vicepresidente della Fondazione per la Sussidiarietà, si traggono convincenti spunti per avviare una proficua collaborazione fra assistenza pubblica e aziende del terzo settore. Partendo da un’analisi dei costi di chi offre i servizi, e cioè alcuni importanti enti pubblici (come il Trivulzio di Milano) e alcune società private, si vede che mentre nell’erogazione del servizio (come un posto letto) la differenza dei costi è quasi trascurabile, nel back office (attività generali, amministrazione etc.) il peso del pubblico è nettamente superiore: questi costi pesano per il 22% rispetto al totale, mentre nelle aziende private la quota è del 13 per cento.
La ricerca è un esempio della necessità che la “welfare society”, l’innovazione nel sistema di sicurezza sociale, si doti prima di tutto di una buona e approfondita raccolta di dati “a livello delle singole organizzazioni, non a livello aggregato”, per poter avviare una dibattito concreto e produttivo e anche per portare a termine una spending review ragionata. Sussidiarietà associata alla qualità è solo un altro nome per definire una società solidale.