Verdi al Maggio Festival: la svolta artistica della Fura dels Baus

Firenze – Una proposta per il soprintendente Pereira e il responsabile della comunicazione Paolo Antonio Klun: organizzate in tempi da record un focus group di giovanissimi (diciamo 15 – 25 anni) e fatelo assistere, dopo adeguato  briefing di preparazione, alla Forza del Destino di scena in questi giorni al Teatro del Maggio con la regia di Carlus Pedrissa della Fura dels Baus. L’ipotesi di lavoro: l’allestimento ideato dagli intelligenti artisti catalani può rendere per loro attrattivo e interessante, tale cioè da chiedere loro stessi ai genitori di essere portati  a vederla, un melodrammone del grande repertorio verdiano che dal 1862 è ormai logoro di interpretazioni e rappresentazioni immaginifiche?

Molti di coloro che hanno assistito alle prime due repliche dell’opera verdiana, magistralmente diretta da Zubin Mehta con un cast di cantanti di alta qualità, pensano che la risposta non può che essere positiva. E non solo per la facile constatazione della presenza di elementi della cultura delle immagini e delle icone pop dei giovani, ma soprattutto perché il concetto di base del lavoro verdiano, l’implacabilità del destino, è stato reinterpretato attraverso le categorie della cultura e la sensibilità dei nostri tempi: le più recenti scoperte dell’astrofisica, la difesa dell’ambiente, il rifiuto della guerra con le sue conseguenze catastrofiche.

Poi si possono ovviamente trovare delle superfetazioni (la firma ripetuta degli acrobati della Fura a volte non necessaria nell’equilibrio della scena) o dei richiami che negli  amanti di Guerre Stellari hanno riprodotto immagini rimaste ben salde nella loro fantasia (i frati – jedi, per esempio). Ma sono dettagli che non toccano il giudizio generale.

La Forza del Destino del Festival 2021 del Maggio musicale fiorentino è uno spettacolone da non perdere, nel quale la musica di Verdi ( e anche, sorprendentemente il libretto di Francesco Maria Piave) non si perde in una patologia di effetti e sovrastrutture intellettualistiche quali abbiamo visto in diverse opere anche sulle scene fiorentine e trova un contesto di altre arti contemporanee che ne rafforzano il concetto di base: video, graphic, forme geometriche che disegnano lo spazio, danza acrobatica etc.

Già il destino. La legge ferrea del determinismo causa-effetto è saltata di fronte al  mutare e al complessificarsi delle nuove teorie sull’origine e sulla dinamica dell’universo. Carlos Pedrissa con la Fura dels Baus si è ispitrato alle teorie del metafisico David Lewis secondo il quale passato, presente e futuro coesistono sullo stesso piano e sono tutti attuali. Nel vedere il tutto come una contemporaneità, “si comprende quanto sia piccolo ed effimera la nostra esistenza e che il destino ci spinge a essere necessariamente una collettività”.

Il destino di ciascuno è come un enorme buco nero di antimateria verso il quale siamo attratti senza scampo. Abbiamo la possibilità di mutarlo? Ebbene, se il motore che lo muove è l’odio e la vendetta (don Carlos) , il risultato sarà la distruzione e l’uomo ripartirà dall’età della pietra. L’unica attività umana sono i vani vaticini di Preziosilla. Ma se chi rimane in piedi alla fine è chi ha affermato su se stesso l’amore a costo di una sofferenza insopportabile (don Alvaro), allora forse l’ineluttabile distruzione potrà essere evitata. I grandi buchi neri, i destini dei protagonisti alla fine si fondono e generano la luce.

Così lo spettatore, che assiste a questo naufragio senza poter intervenire, “come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende” (Dante, Paradiso XVII) , viene accompagnato all’interno di tunnel  tecnologici o naturali verso i buchi neri, così come in spazi astrali dove l’uomo tech perde la sua umanità nella guerra, nel tradimento e nella vendetta. Si muove fra le onde gravitazionali dell’osservatorio Virgo di Cascina e le citazioni dalla più recente e aggiornata filmografia fantascientifica.

Il finale ineluttabile è un pianeta coperto di cadaveri, poi di rifiuti di ogni genere e tra questi spicca una torre di Pisa non più pendente a significare la fine anche di quel po’ di creatività che è la traccia che può lasciare l’uomo sulla terra. Improvvisamente si sprigiona una nuova potente energia luminosa.

Nello spettatore resta la convinzione di aver assistito a qualcosa di veramente nuovo nel teatro musicale. Nella Tetralogia di Wagner del 2007, Pedrissa e la Fura avevano “rivestito” della loro creatività le opere sostanzialmente senza interpretare il paradigma culturale tradizionale. Qui cambia completamente la prospettiva: conta la forza della musica e la risposta dell’uomo contemporaneo.

 

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