Firenze – Riceviamo e pubblichiamo da Potere al Popolo l’analisi del venerdì di disordini (30 ottobre) a Firenze del coordinatore nazionale Lorenzo Alba:
“Cosa ho visto ieri in piazza a Firenze?
1) NON HO VISTO L’ESTREMA DESTRA IN TESTA ALLA MANIFESTAZIONE. All’inizio c’erano commercianti, qualche lavoratore della ristorazione, persone in difficoltà economica. E’ probabile che la chiamata della piazza sia partita da qualcuno di questi mondi per poi diffondersi viralmente in rete. Certo, qualche fascista in piazza c’era, ma non determinava nulla, erano una piccola minoranza: a Firenze i militanti della destra dura e pura sono sempre stati 4 gatti. Hanno ottenuto visibilità prima della manifestazione perché la qualità dei media di questo paese è molto bassa: di fronte a un fenomeno per certi versi sconosciuto hanno cercato la spiegazione più comoda.
2) HO VISTO UN MALESSERE DIFFUSO, in cui personalmente mi sento coinvolto. All’inizio della manifestazione c’erano commercianti effettivamente piegati dalla situazione economica, c’era un pezzo del lavoro dipendente che porta avanti la macchina del turismo e che lavora a nero o a grigio o a chiamata e dunque non è coperto dalla cassa integrazione o lo è solo in parte, c’era sicuramente qualche evasore fiscale, qualcuno sceso in piazza a chiedere più soldi, nonostante paghi a nero i propri dipendenti. C’era la contraddizione insanabile tra chi chiede riaperture indiscriminate e chi chiede un sostegno al reddito. C’era l’ansia di non vedere un futuro. Sinceramente mi aspettavo più gente, in una città come Firenze dove il turismo vale un pezzo importante del Pil cittadino. Probabile che il combinato disposto del Decreto ristori e il clima repressivo messo in atto nei giorni precedenti – con Nardella che ha intimato la non partecipazione e lo spettro dell’estrema destra – non abbia favorito una partecipazione popolare più ampia.
3) HO VISTO UNA GESTIONE FOLLE DA PARTE DELLA QUESTURA. La tensione era già alta: il Governo per 8 mesi si è preoccupato di dispensare mance e rassicurazioni piuttosto che di pianificare una risposta seria alla pandemia. Tamponi, insegnanti, locali, mezzi del trasporto pubblico, personale sanitario, sono rovinosamente al di sotto del necessario. E’ chiaro che lo spettro di un nuovo lockdown in queste condizioni crei rabbia e frustrazione, soprattutto se alcune categorie sono penalizzate rispetto ad altre. A questo aggiungiamo che chi aveva delle ragioni sacrosante per scendere in piazza si è visto sminuito e incasellato da #Nardella nella categoria del barbaro e del fascista. In una situazione del genere, la chiusura di Piazza della Signoria – che solo qualche mese fa era stata data in affitto a Dolce e Gabbana e Ferrari – e la militarizzazione assurda messa in campo non ha di certo contribuito a creare un clima sereno. Ho visto con i mei occhi un centinaio di compagni che si avvicinavano pacificamente alla piazza a volto scoperto, brandendo pericolosi cartelli con degli slogan di giustizia sociale, essere allontanati e sospinti a centinaia di metri dal presidio, senza nessun motivo, se non quello di tagliarli fuori dal grosso della manifestazione. Gli scontri infatti sono esplosi altrove, quando il presidio dal Duomo ha provato a ritornare in piazza della Signoria, mentre i “pericolosi antagonisti” erano stati allontanati in Santa Maria Novella.
4) LA VIOLENZA c’è stata, ma è stata sicuramente ingigantita e in parte provocata già dal clima di tensione creatosi prima della manifestazione. Tra chi ha sfidato la polizia c’erano ultras, certo, ma c’erano anche giovani e giovanissimi, spesso seconde generazioni, in compagnie di quartiere o compagni di scuola, una fascia che probabilmente si percepiva come abbandonata e dimenticata già da prima della pandemia, che non vede nessun futuro in questo presente. Le immagini dei fermati lo confermano, d’altronde dopo le piazze di Napoli, Torino, Milano, era possibile un effetto imitazione anche a Firenze. Come ha ben scritto Lorenzo Zamponi, “possiamo guardare questi fenomeni con l’occhio del moralismo e del legalitarismo, oppure cercare chissà che fantomatiche regie occulte, ma a mio parere sono lenti che non portano a capire nulla. Scandalizzarsi per il fatto che il conflitto sociale, in tempi duri e con efficacia bassissima di qualsiasi canale di mediazione politica, passi anche per l’espressione fisica e simbolica della forza, mi pare poco razionale”.
5) PER FINIRE, HO VISTO IL PERICOLO DI UNA FRATTURA SOCIALE. Non tra ricchi e poveri, tra sfruttati e sfruttatori, ma tra coloro che chiedono aperture indiscriminate – perché hanno una loro attività – e sono scesi in piazza, e coloro che sono seriamente preoccupati per l’epidemia e sono a favore di nuove chiusure se si rendono necessarie. Una frattura che non è solo tra bottegai e lavoratori, ma attraversa anche lo stesso lavoro dipendente. Nostro compito – difficile in questa fase in cui le conseguenze sociali di questa crisi non si sono dispiegate appieno e sono per ora rappresentate da una piccola borghesia che ha paura di cadere in miseria senza passare dal lavoro dipendente – è quello di ricomporre questa frattura, dando voce ai nostri, ai lavoratori, a chi lotta perché i servizi pubblici funzionino, a partire dalla sanità. Traendo da questa presenza un programma che valga per tutte le classi popolari, che dica chiaramente dove vanno presi i soldi – dall’enorme ricchezza privata di questo paese concentrata nelle mani di pochi e preveda un reddito di emergenza generalizzato – che non crei dunque sacche di esclusione. Soprattutto, serve immaginare un vero “piano per il futuro”, che restituisca centralità ai diritti del lavoro, che reinvesta nei servizi pubblici e nei settori strategici, che restituisca una prospettiva a questo paese allo sbando”.
Di Lorenzo Alba, coordinatore nazionale di Potere al Popolo
Foto: Luca Grillandini