Via, via. Vieni via di qui. Niente più ti lega a questi luoghi. Prendi e rifugiati sui social: fai come hanno già fatto miliardi di persone, quelle che non devono spendere il loro tempo utile per procacciarsi il cibo e hanno accesso al web, beninteso. Ma anche così, essendo quello di socialità un bisogno molto in vista nella scala di Maslow, troverete chi piuttosto campa in un cassonetto e per il mangiare si azzarda ogni tanto a scroccare agli aperitivi, o ai bidoni del rusco dei supermercati, ma non rinuncia allo smartphone così come non rinuncia ad attaccarsi alla bottiglia di vinaccio da discount occultata dal sacchetto di carta. Così, come in un atavico rituale di accoppiamento, cause ed effetti si chiamano e si rispondono, i loro fattori si incrociano, si sommano, si moltiplicano. I social e la natura della convivenza sociale con tutte le sue difficili realtà si sposano alla perfezione, come l’ananas col maraschino, coi primi che basano il loro successo sui bisogni a volte indotti, a volte solo latenti delle persone, pronti a esplodere in tutta la loro efficacia. Sono molte le foto del passato in cui è possibile vedere che in molti momenti della giornata si faceva un uso del quotidiano tale e quale quello dello smartphone oggi: in treno, al bar, a colazione, alla sera, ogni pausa poteva essere riempita dalla lettura attenta del quotidiano, non importa quanto lievi le sue notizie. Oggi, siamo arrivati ad un punto evolutivo diverso: è il quotidiano a venir creato man mano da quello che ci immetti, e ti risucchia, e ti sottrae al quotidiano.
In Giappone li chiamano Hikikomori: quelli che si sono ritirati dalla vita sociale. Sono quasi un milione, a vivere come reclusi nelle loro camerette: riviste, fumetti, collegamento col web, servizi igienici e qualcosa da mangiare e da bere, stop. A questi vanno aggiunti quelli che ormai, nel resto del mondo, non si contano più; perché il fenomeno, nella sua interezza, è troppo ambiguo per essere addomesticato dai numeri. In Italia, secondo gli psichiatri, sono ben tre milioni i ragazzi che vivono in questo modo: ma non è chiaro se siano persone realmente isolate dal mondo, o semplici nerd che piuttosto che andare in giro alla sera a sputtanare la paghetta già sapendo che non rimorchieranno preferiscono starsene online a giocare ai giochi MMORPG. D’altro canto, non è nemmeno particolarmente inquadrabile il comportamento sociale dei tantissimi, e qui il numero è davvero incalcolabile, che vivono la loro vita quotidiana costantemente con un occhio a quello che succede nella società allargata da loro abitata tramite il profilo social: ormai, lì sopra, sorgono amori, amicizie, litigi funesti, lutti insopportabili, si palleggiano gossip e ipotesi fantapolitiche, si disserta, ci si ganassa di ogni genere di abilità, si fa sport, si discute del governo del mondo e dei grandi temi del nostro tempo come di storia, di paranormale e di arte, senza che un solo bit di queste cose si trasformi in una singola molecola cui venga impressa una singola trasformazione, fosse anche solo cinetica. In breve: andiamo in giro con un piede in due mondi, uno dei quali è esclusivamente composto di idee che spesso e volentieri influiscono grandemente sul resto della nostra realtà alterandoci umore ed emozioni e pensiero, ma senza che una volta staccata la spina, ne rimanga traccia. Proprio come succede per i sogni. Solo che questi sogni sono particolarmente persistenti, condivisi e anche monetizzabili. Come sanno bene gli ideatori dei social, il cui lavoro consiste ogni giorno nel fare sì che tali sogni siano ancora più densamente e a lungo popolati: è la realtà virtuale che ambisce a diventare l’unica realtà possibile, eccezion fatta forse per quelle poche attività che, svolte nel reale, poi possano avere una positiva ricaduta per il consolidamento del social. Prime tra tutte, diremmo, quelle tramite le quali generiamo il nostro reddito, cosicché poi possa essere investito sul web. Per quanti non se ne fossero ancora accorti, infatti, la strategia portata avanti da colossi quali Google e ancor più Facebook consiste nel realizzare una piattaforma che consenta all’utente di non uscire mai, se non per nutrirsi ed andare di corpo, dal loro ambito: l’offerta, in termini ludici e di interesse, è ormai praticamente irresistibile. Su tali media (perché ormai questo sono: macromedia, pervasivi, qualcosa che McLuhan non avrebbe mai potuto immaginate ma autori del calibro di Bradbury o di Dick invece sì) ormai puoi parlare con la gente ed amoreggiarci, ascoltare musica, giocare, leggere i quotidiani, approdare a esperienze di scambio intellettuale altrimenti impossibili quanto a varietà e quantità dell’offerta. Lo scopo è quello di non farvi mai staccare il collegamento, in modo che gli investitori pubblicitari possano riversare nelle loro casse moltissimo denaro, di fronte alla promessa che le loro inserzioni avranno una grandissima probabilità di venire notate: oltretutto, proposte in maniera selettiva, tramite una capillare opera di profilazione che oltre alla pubblicità normale (battente) sappia sfruttare ogni singolo bit da voi inserito per proporvi cose che ragionevolmente saranno di vostro interesse.
Ma l’asticella è stata spostata ancora più in alto. Nella globalità dell’offerta ormai fanno capolino i servizi di media a pagamento (abbonamento a giornali e riviste in esclusiva, ad esempio), la possibilità di fare shopping, agevolato da forme sempre più facili e rapide di pagamento, scelta, prova, scarto, spedizione, restituzione. E non è tutto, di sicuro. Oggi colossi come Amazon, Google, Facebook stanno cautamente sondando il terreno per divenire propositori di investimento (su loro stessi, o su altri): in pratica, da social o servizi di ricerca divengono dei colossali aggregatori di servizi sui quali tutto quello che può essere realizzato con un clic in remoto potrà essere realizzato. Quindi, certamente anche i servizi di investimento ed il private banking. Questa, che oggi sembra una semplice voce, è in realtà un accurato test tramite il quale i suddetti tycoon sondano il terreno per vedere che successo avrebbero servizi di questo genere (i primi sondaggi dicono chiaramente che l’interesse è elevatissimo). Domani, quindi, potrete anche giocare in borsa standovene comodamente su Facebook o su Twitter o su Amazon. E chissà cosa altro: se tramite la piattaforma globale di Consip siamo passati dagli acquisti della cancelleria a quelli dei servizi di assistenza e domani, chissà, al ricircolo del personale o alle gare d’appalto, cosa impedisce ad Amazon di offrire lo stesso identico servizio e, che so, creare un sistema di pseudo interinale per la fornitura di servizi di nursery o di cure agli anziani o di sondaggi politici? Nulla, giusto? I social di domani, di cui quelli di oggi non sono che la prova generale, saranno una via di mezzo tra una piazza virtuale completamente vivibile e una immensa e pervasiva centrale d’acquisto, cui sfuggire solo realizzando nicchie di efficienza a contatto con le persone. Nicchie che possono ovviamente essere perfettamente e ancor più redditizie, beninteso.
Con tutto ciò, questo processo ha ovviamente a che fare con ostacoli di tutto rispetto. Intanto, l’esperienza online, grazie all’opera di molti mestatori, non è piacevole come potrebbe essere: fake news, haters, hackers, furto di informazioni, stalking, turpiloquio, sono tutte cose che piacciono pochissimi a chi frequenta questi luoghi e, costringendoli spesso all’abbandono, piacciono di conseguenza pochissimo ad investitori ed azionisti. Ma finora, le politiche attuate per frenare queste pratiche si sono rivelate peggio che inconsistenti: nella loro inefficacia, vessatorie e sgradevoli per chi in realtà non ha nulla da farsi rimproverare, censurando magari uno scorcio di nudo artistico o un’espressione forte senza intervenire su apologie di reati e veri e proprie pratiche illegali. Il mondo dei social oggi chiede levità, leggerezza, allegria, argomenti interessanti e discussioni, possibilità di rimorchiare e di ottenere aiuto e consiglio; quello che spesso riceve in cambio, dal momento che la qualità non è mai stata monitorata e che, tecnologie a parte, non si spende un centesimo per essa, è molestia, fastidio, saccenza, negatività, discriminazione, ossessività. Cosa che le continue campagne elettorali dei nostri tempi, ad esempio, che evidentemente hanno trovato sui social un ecosistema maturo per essere colonizzato e magari pagano anche bene per poter effettuare la semina, hanno contribuito a creare. A ciò si aggiunga il campionario sterminato di paura, ignoranza, psicosi dell’umanità contemporanea, che vuole osare tutto e si vergogna di tutto, in una esplosione di privazione del senso tale da fare sì che i social si stiano riducendo a piccole isole male aggregate in cui gli utenti, rassodandosi in tante piccole comunità dumbariane, frequentino solo chi a loro è simile. Senza possibilità di interscambio, senza confronto, frequentando ciascuno solo chi riecheggia il loro stesso modo di pensare. Metafora della vita in ascensore: tutti insieme, sperando che l’arrivo al piano ci liberi dalla fastidiosa prossimità con l’Altro.