Vaghi rigurgiti anti-Israele: il caso Reggio Emilia

Un accordo tra Iren e l’israeliana Mekorot scatena i Centri sociali

Reggio Emilia è una città singolare, dove i corsi storici ed i valori simbolici vivono con ritmi e significati tutti propri. Ad esempio, nei giorni scorsi i soliti idioti più che ignoti (difficilmente si tratta di ex gerarchi nazisti scampati al processo di Norimberga o sfuggiti al Mossad) hanno ripetutamente imbrattato di svastiche alcuni muri nella prima periferia reggiana e giustamente l’opinione pubblica, spronata dalle conseguenti dichiarazioni politiche, nel suo piccolo si è incazzata. Con la tradizionale sequela: imbrattamento, titoloni sui giornali e relativa pulitura, reimbrattamento che agli spennellatori cretini non par vero di finire in prima pagina ogni tre per due, ripulitura e via col gioco dell’oca.

Poi avviene più o meno contemporaneamente che un gruppo di ragazzotti dei centri sociali, quelli di AQ16 (che allignano in un edificio pubblico, la Casa Cantoniera, grazie ad una convenzione con gli enti locali), faccia irruzione nella sede del centro di Iren (azienda partecipata al 52% dai Comuni) con fumogeni e altoparlanti intimidendo impiegati e clienti e sbraitando farneticazioni varie e assolutamente non provate a proposito di un recente accordo tra la stessa Iren e la israeliana azienda idrica Mekerot. Per gli esuberanti giovanotti di AQ16 evidentemente non c’è nessuna differenza tra Netanyau e un’azienda israeliana (che rifornisce d’acqua anche Gaza, la Cisgiordania e parte della Giordania) del settore idrico. Un po’ come se all’estero le persone di sinistra dovessero boicottare la Fiat perché la Meloni è diventata Presidente del Consiglio. Col mondo politico ed amministrativo che resta del tutto silente.

Questione di simboli, si diceva all’inizio. E qui la materia etimologica accorre in nostro aiuto e serve a delineare certi meccanismi di lettura della storia. La parola ideologia infatti deriva dal greco “eidolon”, ovvero “figura”, “immagine”, “spettro”. Coloro che giudicano i fatti da presupposti appunto “ideologici”, tendono sovente se non a giustificare a minimizzare i mezzi se i fini collimano con la loro (pre)visione del mondo. I simboli in sostanza rischiano di diventare, anche eticamente, più importanti dei fatti. Alla faccia ad esempio dei versetti 16-20 del settimo capitolo del Vangelo di Matteo dove lo scrivente mette in bocca a Gesù le seguenti parole: “li riconoscerete dalle loro azioni”. E’, su scala ben più larga ed assai più drammatica, lo stesso paradigma con cui una parte della Reggio che contava (ed un po’ conta ancora), erede di ciò che rimane di un veterocomunismo in via di estinzione ed annebbiata dalla nostalgia per l’Urss e la Rivoluzione d’Ottobre, segue le paranoiche vicende criminali del dittatore sovietico Putin. Che da circa un anno bombarda una popolazione senza pietà e le cui truppe hanno già commesso una serie inenarrabile (per ora, a conflitto terminato, saranno perseguiti come “crimini contro l’umanità” dai tribunali internazionali) di atrocità ai danni degli ucraini. Ovvero, c’è qualche miliziano del Battaglione Azov che mostra sulla giacca un lustrino con emblema nazista? Sarebbe più grave delle opere, quelle sì del tutto nazifasciste, in questo caso nazicomuniste, che i Russi compiono sui civili innocenti. Parametri dettati dall’ideologia, “l’eidolon” è più importante, per questi “neneisti” quando non velatamente filoputiniani, della “pragmatikotika”, cioè della realtà, delle azioni.

Eppure gli ultras di Casa Cantoniera avrebbero di che irrompere e sbraitare sui fatti del mondo pressoché tutti i giorni. Solo pochi giorni fa ad esempio: Putin ha bombardato abitazioni e sedi della croce rossa ucraina (uccidendo anche bambini), nel Congo l’Isis ha fatto esplodere una chiesa provocando dieci morti e decine di feriti, in Nigeria un gruppo di banditi ha fatto irruzione nella chiesa cattolica di San Pietro e Paolo, a Kafin-Koro, nella regione di Paikoro, uccidendo padre Isaac Achi e ferendo alle spalle padre Collins, mentre tentava di scappare, in Afghanistan l’ex deputata afghana Mursaal Nabizada (che sotto gli Americani aveva potuto studiare e diventare politica, oggi coi Talebani alle donne è stato tolto ogni diritto, anche di vita) è stata assassinata, insieme alla sua guardia del corpo, nella sua abitazione a Kabul. Solo per citare i primi che ci son venuti in mente. Macché, tutti zitti, che dopo aver fatto irruzione in Iren si va al pub davanti a un buon boccale di birra a gongolare del proprio eroismo ideale.

Che tacciano i ragazzotti dei centri sociali, dopo le irruzioni una tantum a casa di Iren, ci può anche stare. E’ nella loro natura ideologizzata. Ci sta meno invece il silenzio di chi governa. Davanti alla complessità ed all’incalzare dei fatti nel mondo, la chiarezza di idee e la determinazione nelle scelte precise di campo non sono più rimandabili. Pena l’estinzione della ragione.

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