Vaccinazione possibile in donne trattate per patologie HPV correlate

Firenze – E’ possibile sottoporre a vaccinazione circa l’80% delle donne trattate per patologia HPV correlate (papilloma virus). E’ uno dei primi risultati di uno screening condotto dal Dipartimento materno infantile di Careggi grazie al contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e alla collaborazione della Fondazione Foemina.

Dal dicembre del 2014, presso il servizio di Colposcopia e Laser Terapia di Careggi, sono state sottoposte gratuitamente a vaccino quadrivalente un centinaio di pazienti dai 17 ai 45 anni con pregressa patologia genitale. Allo studio partecipano il Professor Emerito Gianfranco Scarselli, referente del progetto; il professor Massimiliano Fambrini, Professore Associato dell’ Università di Firenze, la Dottoressa Annalisa Pieralli, Dirigente medico dell’ AOUC e la Dottoressa Cecilia Bussani, biologa.

I risultati dei test sono davvero molto incoraggianti anche sul piano della spesa sanitaria e sono stati presentati stamani alla stampa dal Vice Presidente Ente Cassa di Risparmio di Firenze Pierluigi Rossi Ferrini, dal Prorettore alla ricerca scientifica nazionale e internazionale dell’Università di Firenze Marco Bindi, il Direttore Generale AOUC Monica Calamai, dal Presidente della Fondazione Foemina Gianfranco Scarselli.

Nei paesi dove esiste un programma di prevenzione del tumore della cervice uterina, ha spiegato il professor Scarselli, la prevalenza è di circa 10 casi su 100.000/anno, mentre dove non esiste la prevenzione la prevalenza è di circa 25 casi su 100.000/anno. La causa principale di questo tumore è l’ infezione da Human Papilloma Virus (HPV), un agente infettivo trasmissibile prevalentemente per via sessuale ampiamente diffuso nella popolazione femminile sessualmente attiva.

Sono conosciuti oltre 100 tipi di HPV e molti di questi sono responsabili della condilomatosi genitale, una patologia benigna che può interessare entrambi i sessi, mentre altri sono implicati nella patogenesi dei tumori maligni della sfera sessuale, più frequentemente a carico della cervice uterina. E’ stato dimostrato che oltre il 99% dei tumori invasivi del collo dell’utero è associato ad infezione da HPV ad alto rischio. Fortunatamente, la maggior parte delle donne che viene in contatto con questi virus guarisce spontaneamente nell’arco di un anno senza conseguenze.

Solamente le “infezioni persistenti”, ovvero quelle che si protraggono per oltre un anno, sono in grado di innescare i meccanismi molecolari che possono portare al tumore della cervice uterina. La progressione da infezione virale persistente a tumore invasivo avviene lentamente nel tempo, passando attraverso lesioni cervicali intraepiteliali (CIN) che, pur avendo le caratteristiche cellulari del tumore, sono confinate all’epitelio e quindi non hanno la possibilità di dare metastasi.

L’identificazione di queste lesioni intraepiteliali è l’obiettivo di tutti i programmi di prevenzione secondaria che vengono effettuati mediante il pap-test o l’HPV-test periodico in tutta la popolazione femminile di età compresa fra i 24 e i 65 anni. Il trattamento del tumore invasivo può essere chirurgico o integrato con radioterapia e chemioterapia; porta alla guarigione nel 60-80% dei casi confinati alla cervice uterina ma ha, come conseguenza principale, la perdita definitiva della capacità riproduttiva. Poiché l’età di massima incidenza delle lesioni intraepiteliali è dai 30 ai 50 anni, la identificazione precoce delle lesioni intraepiteliali è estremamente importante al fine di eseguire interventi conservativi che rispettino l’integrità anatomica e funzionale dell’apparato genitale.

 

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