Firenze – “Il mio lavoro va nella direzione di semplificare la vita delle persone, ad alleviare loro il peso di azioni ripetitive, faticose e talvolta frustranti. E liberare così tempo e risorse”: così Ilaria Cafiso, UX Designer di Energee3, racconta a Stamp l’obiettivo del suo lavoro. Nella nuova era della trasformazione digitale il suo ruolo è quello di utilizzare algoritmi e automatismi tenendo al centro l’uomo e la sua dignità.
Dottoressa Cafiso, in cosa consiste il lavoro del UX designer?
È un lavoro bellissimo, che coniuga creatività, psicologia e metodo scientifico. Una UX designer ha il compito di disegnare e semplificare le azioni della vita quotidiana di un prodotto o di un servizio, fisico o digitale che sia. Disegnarlo in modo ottimale affinché questa esperienza risulti positiva, utile o in taluni casi memorabile. Questo è quello che chiamiamo progettazione dell’esperienza utente. In inglese è user experience design.
Può farci un esempio?
Pensiamo allo smartphone che abbiamo in mano e alle sue funzionalità. Oggi per noi è un oggetto insostituibile, e più ci appare semplice da usare più significa che centinaia di ingegneri e UX designer hanno fatto bene il loro lavoro. Oggi con uno smartphone posso pagare una bolletta, posso registrare il mio allenamento, posso fare riunioni con i colleghi. È un’estensione della nostra vita.
Veniamo all’oggi. Ci siamo da poco lasciati alle spalle 70 giorni di lockdown, come li ha vissuti?
Li ho vissuti con qualche difficoltà nei primi giorni, poi ho razionalizzato il tutto ed ho compreso che questo periodo poteva essere una buona occasione anche per perfezionare metodologie di lavoro nuove, e così è stato. Durante il lockdown abbiamo tutti dialogato di più, le videoconferenze hanno aperto spazi nuovi di collaborazione a distanza. E non è vero che in remoto esistono solo le parole, si può anche lavorare di Design Thinking.
Cosa significa Design Thinking?
Design Thinking è un metodo di ideazione che richiede un’attitudine di pensiero creativo. Ideare prodotti o servizi che oggi non esistono ancora, o cercare soluzioni capaci di risolvere, in modo originale problemi. La domanda da cui partiamo è sempre: di che cosa hanno realmente bisogno le persone? Spesso chi progetta è lontano da queste esigenze, il design thinking va ad ovviare questo problema. In che modo? La co-progettazione è mettere allo stesso tavolo fin dall’inizio una pluralità di persone – produzione, vendite, marketing, assistenza, utenti – che insieme definiscono la soluzione migliore per tutti.
Quindi il lockdown vi ha permesso di accelerare sul Design Thinking?
Sì, ed è stato bello e sfidante. Insieme con il collega Giovacchino Tesi abbiamo costituito un team per il redesign di un software. Il team era composto da me che guidavo le attività e costruivo il prototipo, da tecnici esperti della tecnologia, da chi lavora con gli utenti e da un esperto della materia. Lo spazio del workshop, di solito focalizzato su grandi mappe visive di raccolta dati, è stato traslato in uno spazio virtuale chiamato Miro Realtimeboard.
Ritiene che questa nuova metodologia possa portare un salto di qualità al vostro lavoro?
Non posso prevedere come lavoreremo in futuro, però noto alcuni aspetti positivi. Grazie al remote workshop si facilita l’ingresso nel team di persone a distanza. Grazie a questi spazi virtuali non è necessario essere seduti attorno ad uno stesso tavolo per costruire mappe e percorsi o collocare dei post-it alla lavagna. La coprogettazione virtuale garantisce sempre che ci sia qualcuno che da remoto possa fornire strumenti utili al processo di ideazione e progettazione. La considero una bella opportunità, anche per innovare un metodo di lavoro.
Imprenditori, politici, giornalisti e analisti sono concordi nel chiamare questa l’era della trasformazione digitale. Qual è il suo punto di vista su questo?
Che abbiamo davanti una grande occasione, ma anche una grande responsabilità. Quella di garantire una trasformazione digitale che mantenga al centro l’uomo e la dignità umana, facendo attenzione che a governare la nostra vita non siano gli algoritmi. Una persona non è fatta soltanto obiettivi razionali o economici da perseguire ma anche di sentimenti, ideali, cultura, abitudini, relazioni sociali. Il mio lavoro va nella direzione di semplificare la vita delle persone, ad alleviare loro il peso di azioni ripetitive, faticose e talvolta frustranti. E liberare così tempo e risorse.