“Premettendo che l’amministrazione attuale non parte dal presupposto di “chi” ha fatto le norme per cambiarle, ma dal dato di fatto “se” servono alla città – commenta l’assessore all’urbanistica Elisabetta Meucci – abbiamo già realizzato una serie di modifiche, dai media identificate con la definizione “norme antiquadra”, che sono andate nella direzione di mutare ciò che ritenevamo superato o almeno inadeguato agli interessi cittadini”. Un pacchetto di norme, varato nel 2010, che andò a modificare alcuni aspetti dell’edilizia urbana, come per i capannoni ed edifici classificati di classe 6, inseriti in contesti urbani con cui risultano ormai incongrui, passibili di demolizione e ricostruzione secondo la vecchia norma, operazione non più possibile, o ancora la limitazione delle altezze e l’utilizzo delle corti. Ma, se da un lato le norme “antiquadra” furono il segnale, e come tale furono recepite, che da parte del Comune iniziava una nuova era nell’uso del territorio, dall’altro quelle che partirono con carattere di emergenza (furono chiamate anche “norme tampone”) sono rimaste sole, senza quel seguito di ripensamento di regole urbanistiche che sembrava ormai prossimo.
“Del resto – spiega l’assessore Meucci – queste norme venivano da lontano e trovavano la loro giustificazione nella necessità di incentivare la trasformazione di “buchi” nel tessuto urbano non più congrui allo sviluppo della città stessa. Naturalmente, dopo aver immediatamente approntato un “pacchetto” per disinnescare regole urbanistiche non più utili alla città, il nostro lavoro non s’è fermato. Anzi: si tratta di un lavoro ancora in fieri che sfocerà in una modifica del regolamento urbanistico e in un nuovo piano regolatore che dal prossimo anno sarà operativo”. Con anche alcune innovazioni interessanti, anche se per il momento ancora poco chiare, come la ventilata norma sui “crediti edilizi” ancora in fase di progetto: sempre attinente agli edifici di classe 6 (capannoni in mezzo alle abitazioni) verrà data la possibilità ai proprietari di trasferire i volumi in altre parti della città, visto che ciò che era previsto dalla norma precedente (demolire e ricostruire) non è più possibile.
“A parte la pericolosità inerente quest’ultima norma, in realtà – commenta l’architetto Daniela Porrati, (funzionaria all’Urbanistica durante la Giunta Morales), che partecipò alla redazione del PRG adottato nel 93 (consulente Prof. Marcello Vittorini) come responsabile della normativa e dei Piani attuativi, prima di essere trasferita alla Direzione Nuove Infrastrutture dalla sopravvenuta giunta Primicerio – si è toccato una ben piccola parte dell’insieme di norme e regolamentazioni che contribuirono ad allentare le maglie del controllo sul territorio da parte del Comune”.
La storia comincia a dipanarsi dal lontano 1995, quando, con Ordinanza 8433, il sindaco Primicerio istituì un gruppo di lavoro incaricato di rivedere le norme del piano adottato nel ’93 e ritenute troppo rigide. Questo gruppo di lavoro, estromettendo i tecnici comunali che si erano occupati fino ad allora di normativa, lasciava l’ultima parola ai rappresentanti degli Ordini Professionali. Fra cui alcuni uomini che saltarono all’onore delle cronache in tempi successivi: l’architetto Bartoloni, esponente di spicco della Società Quadra con Alberto Formigli, gometra e capogruppo del Pd in consiglio comunale, figurava nel gruppo di lavoro assieme ad altri esponenti degli Ordini Professionali ed ai vari Direttori del Comune. “Tali rappresentanti degli Ordini che, con ogni evidenza, proprio per gli interessi immobiliari di cui sono portatori, avrebbero dovuto essere la controparte consultata e non gli incaricati di decisioni delicate per l’intera città – ricorda Porrati – finirono così per determinare le pericolose modifiche normative tutt’oggi in vigore”. “Mediante il furbesco ricorso alla “revisione” delle risposte alle osservazioni dei cittadini – spiega ancora l’architetto – il significato delle controdeduzioni predisposte dalla giunta Morales ne uscì completamente rovesciato: le norme furono forzate per rendere possibili operazioni sconsiderate mentre con lo stesso metodo veniva “adeguata” anche la cartografia di Piano.”
Insomma, prendeva forma quel “potere gelatinoso”, in pieno conflitto di interessi, che ha dato luogo al paradosso secondo il quale a determinare l’articolato della normativa da applicare ai professionisti privati erano proprio quegli stessi professionisti.
“Le responsabilità di una tale “revisione”, che non è stata e non è indolore per il Comune di Firenze, sono da addebitarsi alla classe dirigente tecnico-politica che allora governava la città compresi coloro che erano a capo degli uffici e che diedero il loro fondamentale avvallo a tale operazione – continua Porrati – ristrutturazioni disinvolte accompagnate da frazionamenti insostenibili in centro storico, sostituzioni improprie a seguito di demolizioni nel tessuto ottocentesco, pericoloso ampliamento degli interventi ammissibili anche per le tipologie più delicate, episodi di “densificazione urbana” e di edificazione illimitata per le attrezzature (quali sono state considerate le residenze universitarie al confine con Fiesole), sono potuti avvenire proprio grazie all’allentamento delle maglie della normativa supportato da adeguati slittamenti cartografici sui confini delle zone collinari”.
Si è così arrivati a consentire l’edificazione in zone inserite nel Parco, come nel caso di via Castelli e via Arnoldi, per citare solo i casi più eclatanti.
“Ma non ci si è limitati ad applicare le norme approvate nel 98 – ricorda Porrati – con la stessa logica, gli uffici hanno predisposto ulteriori varianti urbanistiche che hanno dato luogo ad operazioni assai discutibili, come quella che nel 2004 ha attribuito l’interesse pubblico alla realizzazione di un albergo a 5 stelle nel complesso della Gherardesca per consentire ampliamenti volumetrici o come quella che nel 2007 ha portato a trasformare la destinazione di una zona agricola per la realizzazione dell’impianto di rottamazione del Ferrale (a tutt’oggi privo delle indispensabili opere di urbanizzazione), compromettendo il contesto agricolo-produttivo”.
E il ruolo dell’attuale giunta? “Anche l’attuale Giunta non è intervenuta con decisione e con chiarezza su questa situazione – dice l’architetto – le uniche modifiche normative approvate con grande risonanza nel maggio del 2010 (le cosiddette “norme antiquadra”) sono state quelle mirate a regolamentare la sostituzione degli edifici di classe 6 e l’interno delle corti. Di queste norme variate però non se ne è saputo più nulla: ci piacerebbe a questo punto che il Comune ci informasse se è stato fatto un monitoraggio circa l’utilizzo delle nuove norme da parte dei cittadini e quanti permessi di costruire sono stati rilasciati sulla base delle stesse (ci consta che l’unico caso sia quello, in negativo, di cui alla Determina 2012/DD/00957 per cui il richiedente ha ridotto la superficie utile a meno di 500 metri, bypassando così la cosiddetta “norma antiquadra”, secondo la quale con 500 mq. di SUL (superficie utile) si dovrebbe procedere con Piano di Recupero, ed ottenendo l’autorizzazione ad edificare con intervento diretto). E soprattutto ci informasse del motivo per cui fino ad oggi non si è ritenuto di modificare l’intero pacchetto delle norme “quadra” che hanno portato al disastro di questi anni, considerando che il nuovo strumento che consentirà di superare l’attuale PRG, il Regolamento Urbanistico appunto, è ancora allo studio e non sappiamo quando potrà entrare in vigore.”