Il giorno dopo il suicidio di Erio Boldrini – il pensionato di 64 anni che si è gettato dal balcone della sua abitazione di via Fratelli Rosselli durante la visita dell’ufficiale giudiziario che gli stava notificando lo sfratto – pare che Reggio scopra l’emergenza per la prima volta, con l’assessore al welfare Matteo Sassi che non riesce a proporre altro che l’apertura del solito tavolo istituzionale. Eppure, questa volta l’abusata definizione di tragedia annunciata calza alla perfezione. E a dirlo sono i numeri. Non basta nemmeno la crisi a giustificare quanto sta accadendo, perché già nel 2005 il Sunia, il sindacato degli inquilini e affittuari aveva lanciato l’allarme collocando la città di Reggio Emilia al quinto posto in Italia per le richieste di esecuzione di sfratto, con una richiesta ogni 135 famiglie. Si tratta di dato che ha seguito un andamento esponenziale nel corso degli anni, diventando una vera e propria emergenza dal 2009 con l’inizio della crisi: siamo passati dai 344 provvedimenti annui emessi nel 2006 agli 819 del 2009 con un lieve calo nel 2010 per arrivare alle 1478 richieste nei primi 6 mesi del 2013, delle quali ne sono state eseguite già 355.
Purtroppo gli strumenti messi in campo dal Comune – come i cento alloggi di edilizia pubblica assegnati fuori dalle graduatorie l’intesa del 2009 tra tra Comune di Reggio Emilia, Acer, Federazione regionale Emilia-Romagna della proprietà edilizia e sindacati per interrompere l’esecuzione degli sfratti per morosità – alla fine dei conti si sono rivelati insufficienti a invertire la tendenza. Anche perché spesso i dati ufficiali sottostimano la gravità della situazione: sono infatti sempre di più le famiglie della classe media colpite dalla crisi che non chiedono aiuto.