Firenze – La situazione dei Centri Storici di città come Firenze, Venezia e altre, di cui l’Italia è fortunatamente molto ricca, è ormai una questione nazionale. E’ superfluo riepilogare i problemi da cui sono afflitte queste perle, prodotte dalla scienza e dalla cultura umana, in cui tutto il mondo si riconosce. I quotidiani nazionali e locali sono de tempo impegnati nel sottolinearli e nell’auspicare interventi correttivi, mentre si moltiplicano ordinanze comunali. Le categorie economiche, dal canto loro, avanzano proposte e suggerimenti mirati su singoli problemi.
In questa nota cerchiamo di suggerire un inquadramento del problema, nella speranza di aiutare operatori pubblici e privati nella ricerca di soluzioni, anche se di non facile attuazione in un contesto caratterizzato da molteplicità di interessi divaricati, per cui non è facile contemperare pulsioni e interessi privati con il benessere pubblico.
Partiamo da un dato di fatto inoppugnabile: la cultura oggi dominante, chiaramente molto diversa da quella che ha prodotto i capolavori urbani, sembra obbedire ad una frase di Adam Smith, ritenuto dai più il profeta del liberismo. Il filosofo ed economista scozzese è autore della famosa frase: “Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi” (Indagine sulla natura e la causa della ricchezza delle Nazioni, Mondadori, p. 18). La divisione del lavoro e il libero scambio tra gli individui come cardini dell’economia di mercato.
Tutto bene, dunque, e che fioriscano mille attività secondo il proprio talento e interesse? In realtà non è così. Come hanno sottolineato il linguista Chomsky e il Premio Nobel per l’Economia Amartya Sen, il passo citato ha indotto la maggior parte degli economisti a non leggere il resto del libro. Se l’avessero letto tutto, avrebbero incontrato centinaia di pagine dopo l’analisi per cui gli eccessi della divisione del lavoro portano al “torpore della mente”. Sempre Smith si sofferma poi su funzioni essenziali che le Istituzioni pubbliche dovrebbero svolgere. Oltre alla Difesa e all’Amministrazione della Giustizia, egli indica i lavori pubblici per favorire il commercio, con al centro le infrastrutture quali strade, canali, ponti con pedaggi proporzionali al peso e destinati a coprire le spese per la manutenzione. Ci ricorda qualcosa?
Al di là di questo, il punto centrale è che il favorire attività, commerci e scambi non significa per Smith privilegiare l’interesse privato, come risulta chiaramente nell’altra opera fondamentale, Teoria dei sentimenti morali. (1795, p. 95, disponibile su web). Come ha messo in evidenza Sen in On Ethichs and Economics, l’interesse privato va perseguito tenendo sempre presente che apparteniamo al “vast commonwealth of nature”. Inoltre, come affermavano gli Stoici della Grecia Antica, a cui Smith si richiama espressamente, “all’interno di questa grande comunità, l’uomo dovrebbe sempre sacrificare il proprio interesse” (ivi, trad. nostra).
Questa digressione si è resa necessaria per cercare chiarire che gli operatori singoli e collettivi dovrebbero essere consapevoli delle implicazioni sistemiche delle proprie azioni e strategie di medio-lungo periodo: la somma di n-comportamenti individuali può determinare esisti disastrosi per l’insieme delle società. Esplicitiamo ancor di più il ragionamento: un’ottica incentrata prevalentemente su sé stessi può portare alla rovina di tutti, se non si tiene conto delle interdipendenze tra le funzioni di una città, che è un vero e proprio sistema vivente e corre rischi elevati di lacerazione del tessuto sociale.
Cosa fare, allora? Bisogna partire dall’elaborazione effettiva di una strategia integrata e qualificante della città stessa: quali le sue funzioni e dove dislocarle; stimare con rigore i flussi di persone e risorse del sistema; programmare con coerenza e professionalità, senza iniziative estemporanee. Infine, un mosaico riesce bene se si parte da un bel disegno, non accostando i colori nella convinzione che emerga qualcosa di affascinante e usufruibile.
Il surrealismo urbano è l’esito di un nocivo dilettantismo.
L’autore Mauro Lombardi è docente di economia all’Università di Firenze