Mi sembrava giusto che fosse abolita la parata militare del 2 giugno, ma non solo per ricordare la tragedia che ci ha colpito e le vittime del terremoto. Riporto qui alcune delle parole scritte nel 1977 da Lelio Basso, famoso antifascista e dirigente, allora, del Partito socialista italiano.
“Il Messaggero, 1° giugno 1977
Sono personalmente grato al ministro Forlani per avere deciso la sospensione della parata militare del 2 giugno, e naturalmente mi auguro che la sospensione diventi una soppressione. Non avevo mai capito, infatti, perché si dovesse celebrare la festa nazionale del 2 giugno con una parata militare. Che lo si facesse per la festa nazionale del 4 novembre aveva ancora un senso: il 4 novembre era la data di una battaglia che aveva chiuso vittoriosamente la prima guerra mondiale. Ma il 2 giugno fu una vittoria politica, la vittoria della coscienza civile e democratica del popolo sulle forze monarchiche e sui loro alleati: il clericalismo, il fascismo, la classe privilegiata. Perché avrebbe dovuto il popolo riconoscersi in quella sfilata di uomini armati e di mezzi militari che non avevano nulla di popolare e costituivano anzi un corpo separato, in netta contrapposizione con lo spirito della democrazia? C’era in quella parata una sopravvivenza del passato, il segno di una classe dirigente che aveva accettato a malincuore il responso popolare del 2 giugno e cercava di nasconderne il significato di rottura con il passato, cercava anzi di ristabilire a tutti i costi la continuità con questo passato. ….
La Costituzione repubblicana, figlia precisamente del 2 giugno, aveva scritto nell’articolo primo che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Una repubblica in primo luogo. E invece quel tentativo di rinverdire glorie militari che sarebbe difficile trovare nel passato, quel risuonare di armi sulle strade di Roma che avevano appena cessato di essere imperiali, quell’omaggio reso dalle autorità civili della repubblica alle forze armate, ci ripiombava in pieno nel clima della monarchia, quando il re era il comandante supremo delle forze armate, “primo maresciallo dell’impero”. …
Ma che aveva da fare tutto questo con una repubblica che, all’art. 11 della sua costituzione, dichiarava di ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali? Tradizionalmente le forze armate avevano avuto due compiti: uno di conquista verso l’esterno e uno di repressione all’interno, e ambedue sembravano incompatibili con la nuova costituzione repubblicana. ….
Infine, non dimentichiamolo, questa repubblica democratica è fondata sul lavoro. Va bene che, nella realtà delle cose, anche quest’articolo della costituzione non ha trovato una vera applicazione. Ma forse proprio per questo non sarebbe più opportuno che lo si esaltasse almeno simbolicamente, che a celebrare la vittoria civile del 2 giugno si chiamassero le forze disarmate del lavoro che sono per definizione forze di pace, forze di progresso, le forze su cui dovrà inevitabilmente fondarsi la ricostruzione di una società e di uno stato che la classe di governo, anche con la complicità di molti comandanti delle forze armate, ha gettato nel precipizio?”
E vale la pena di ricordare anche la “lettera aperta” elaborata molti anni dopo da un gruppo di amici di Ernesto Balducci e di Davide Maria Turoldo e pubblicata sul sito di Pax Christi:
“[…] Noi vogliamo essere cittadini obbedienti alla Costituzione italiana, scritta subito dopo il flagello del secondo conflitto mondiale, e proprio per questo tesa al ripudio della guerra stessa. Lo dice l’articolo 11. E’ la stessa Costituzione che ci indica come la nostra Repubblica sia fondata sulla forza del lavoro. Lo dice l’articolo 1. In mezzo, tra l’articolo 1 e l’articolo 11, ci sono 10 articoli fondamentali della nostra carta costituzionale, su altrettanti valori fondanti: la giustizia, la libertà, la salute, l’educazione, ecc. Questo significa che i lavoratori devono costruire le condizioni per la dignità della vita di tutti coloro che vivono nel nostro paese, e che la guerra (e la sua preparazione) è l’unico vero disvalore da espellere per sempre dal contesto sociale e civile.
Per tutto questo noi non comprendiamo perché la Festa della Repubblica, che ricorre il 2 giugno, venga celebrata con le parate militari, la sfilata delle armi, la mostra degli ordigni bellici. E’ una contraddizione divenuta ormai insopportabile. Questo è il ripudio della Costituzione, non della guerra. E’ il rovesciamento della verità.
Il 2 giugno ad avere il diritto di sfilare sono le forze del lavoro, i sindacati, le categorie delle arti e dei mestieri, gli studenti, gli educatori, gli immigrati, i bambini con le madri e i padri, le ragazze e i ragazzi del servizio civile. Queste sono le forze vive della Repubblica; i militari hanno già la loro festa, il 4 novembre, che ricorda “l’inutile strage” della prima guerra mondiale, come disse il papa Benedetto XV.”