La Babele interpretativa che mette a dura prova le menti, alcune anche non del tutto sprovvedute, delle generazioni a crescere, era già stata ampiamente prevista, potremmo dire quasi preconizzata da Umberto Eco già a partire dagli anni ’60. Da “Opera Aperta” ad “Apocalittici ed Integrati” fino all’iper saggio summa della sua concezione filosofica sulla percezione della realtà nei tempi moderni, “Kant e l’Ornitorinco”, datato fine anni ’90 ovvero in epoca pre-iperconnettiva, il crescendo semiotico parlava chiaro: la diffusione di internet, mediante fonti non controllate, avrebbe portato ad una moltiplicazione di “verità” presuntamente paritetiche. Perché la lettura dei simboli da parte di ciascun individuo avrebbe avuto parametri differenti, dunque non più condivisi da una comunità, nella decrittazione dei fatti. Il che per un intellettuale come Eco, arrivato a sostenere la necessità della narrazione quando la teorizzazione segnava il passo, con l’utilizzo del “falso” in chiave di strumento per arrivare al vero, avrebbe potuto anche rappresentare un mondo estremamente interessante. Ma anche estremamente preoccupante. Come per Einstein il tempo non sarebbe mai stato più lineare dopo la teoria della relatività ma dipendente dalla posizione spaziale dell’osservatore, così per Eco lo strumento per leggere il simbolo, il verbo semiologico dunque, è destinato a mutare a seconda dei meccanismi cognitivi che caratterizzano le epoche.
Eco aveva dunque capito in largo anticipo sui contemporanei che la diffusione dell’internetto avrebbe provocato reazioni inversamente proporzionali a quelle della diffusione dei primi programmi televisivi a partire dalla metà degli anni ’50. I secondi funsero infatti da divulgatori di un’alfabetizzazione minima, seppur inerente il linguaggio mediatico allora in fase pionieristica, in quanto eterodiretti da una classe politica ed intellettuale con finalità socio-morali (piaccia o non piaccia la funzione). Il primo invece, lasciato all’anarchia di una rete incontrollata e senza obiettivi univoci (la legge della giungla è scandita dal più forte; il più forte difficilmente ha orizzonti filantropici) ha prodotto l’esatto contrario. Ovvero, specie ma non solo, con la parificazione delle opinioni di cui si parlava prima laddove un premio Nobel nella materia per cui ha ricevuto il premio, può avere lo stesso seguito (in genere anche di più) dell’ultimo degli intrattenitori da bar, ha provocato un distanziamento sempre più marcato nelle capacità interpretative e/o di semplice lettura delle cose, da parte delle classi sociali.
Perché se è vero che oggi tutti, molto più che in passato, partono dallo stesso nastro di partenza ed hanno, più o meno, le medesime possibilità di arrivare a livelli progressivi di conoscenza, le modalità con cui l’apprendimento avviene sempre più massicciamente, cioè fonti non controllate e non controllabili con gli intenti più disparati, ci abbandonano alla deriva di un maremagnum di informazioni, input, spunti, pareri, giudizi, teorie, ricostruzioni che rende vieppiù impossibile intraprendere la strada del ritorno ad Itaca. Intesa come una casa comune di lettura dei simboli e dei segni condivisa non tanto nei contenuti ma almeno nella forma esterna di diffusione. Una miriade di Ulisse naufraghi ben oltre le Colonne d’Ercole del mondo conosciuto ma ormai allo sbando oltre i confini del mondo riconoscibile e razionale.
Non è un caso infatti come più gli scienziati esplorino l’infinitamente piccolo e si spingano col pensiero nel cosmo infinitamente grande alla ricerca di una teoria fisica del tutto nell’universo, quaggiù sulla terra nelle vicinanze di Base Alpha, sia tutto un pullulare di bislacchissime elucubrazioni antiscientifiche servite sul piatto della più anti-storica delle supposizioni che è quella del complottismo (pregasi andare a ri-leggersi sempre di Eco “Il pendolo di Foucault” che lui stesso considerava il suo capolavoro letterario ben più del Nome della rosa). Il trionfo assoluto del mix letale (per il cervello singolo ed il corpo sociale) parificazione cioè azzeramento delle competenze, divulgazione per reazione nucleare di teorie antiscientifiche e cospirazionistiche e riflessioni postideologiche, cioè sempre frutto di preconcetti non corroborati dai fatti ma non più di respiro collettivo bensì individualistico, lo abbiamo avuto in quel laboratorio di sfighe apocalittiche che sono stati gli ultimi 3-4 anni: dal 2019 al 2023 quando sul pianeta si è abbattuta la tempesta perfetta del binomio pandemia da Covid-19 prima ed invasione russa dell’Ucraina poi.
Sarebbe bastato fare una prova su un qualsiasi motore di ricerca digitando la parola “vaccino” per venire inondati da siti di disinformazione sanitaria (provenienti chissà da dove e perché) e medievalismo medico. Ed ancor oggi, sul caso dell’aggressione putiniana all’Ucraina, la gragnola di controinformazione (che spesso prende “solo” la strada di un’equidistanza morale tra carnefici e vittime, cioè esattamente quello che vogliono in genere le dittature) è tale per cui una parte consistente se non maggioritaria dell’opinione pubblica è convinta che a Mosca “abbiano le loro ragioni”. E che le fosse comuni di Bucha o ad Izyum nient’altro che una messinscena Nato per provocare uno sdegno planetario ed aumentare la propria influenza sul pianeta.
In ultima e terrificante analisi, forse nemmeno Eco, intellettuale da cui siamo partiti per sciorinare questa digressione che parte dalla semiologia per arrivare all’etica, avrebbe potuto immaginare lo stravolgimento totale dei parametri cognitivi che caratterizza parte del mondo occidentale (quello più in grado di utilizzare senza limiti di libertà o tecnologie qualsiasi strumento di apprendimento): se la scienza si fa principiare, seppur convenzionalmente, dall’osservazione empirica di Galileo, l’apogeo del suo contrario lo ravvediamo oggi nell’assuefazone webica del giocondo di turno.
In foto Umberto Eco