Una mimosa d’arte è per sempre. Ecco “Parole parole parole”, opera(zione) diffusa che invade la città facendo cultura contro la violenza di genere

“Parole parole parole”, opera(zione) diffusa che invade la città facendo cultura contro la violenza di genere
L’inaugurazione con Mazzi, Iotti e Rabitti

Un’opera d’arte silenziosa, criptica, potente, capace di attrarre e imprimersi nella mente di chi la guarda, perché non basta vederla ma va osservata. Un’installazione, una carta da parati che infonde vivacità, con i suoi colori e le sue forme accattivanti, ma che nasconde messaggi incastrati tra le forme, leggibili solo da uno sguardo più attento.

È questo il progetto dell’artista Elena Mazzi, autrice dell’opera intitolata “Parole parole parole” che sarà visibile dal 9 marzo nei luoghi simbolo della città a partire dalla biblioteca Panizzi, per poi invadere lo Spazio Gerra, il Centro Antiviolenza – Casa delle Donne e la sede delle Lunenomadi, entrambi gestiti dall’Associazione Nondasola, lo spazio Iat e in provincia la Casa della cultura di Casina, ma che presto toccherà ancora altri spazi cittadini e che in futuro potrebbe essere stampato o serigrafato su superfici di ceramica, riqualificando importanti luoghi di attraversamento e spingendo i passanti a soffermarsi nella lettura.

Alla Casa delle Donne

Si tratta di un’espressione artistica che vuole essere un’opera diffusa, pubblica, che invade la città con la testimonianza di tante donne che hanno espresso parole, emozioni e riflessioni. Il progetto vuole essere prima di tutto un percorso in cui gli strumenti messi a disposizione dall’arte vanno ad innestarsi sulle azioni di sensibilizzazione già in essere, per contribuire alla formazione di una cultura improntata al contrasto della violenza di genere. Le parole impresse sulle pareti sono il frutto di un intenso lavoro con la comunità, l’ascolto del territorio e il confronto con molte donne che hanno incontrato la violenza maschile direttamente o indirettamente, diventando un’immagine dalla grande potenzialità, un pattern che si fa trama di una carta da parati. L’artista reggiana ha lavorato attraverso incontri con istituzioni e associazioni in sinergia con l’Amministrazione del Comune di Reggio Emilia che, con il progetto lanciato dall’assessora Rabitti “La cultura non starà al suo posto”, ha collocato strategicamente le Pari opportunità in relazione con i Servizi alla cultura per sensibilizzare la cittadinanza sul tema fondamentale dei diritti delle donne in occasioni e a ridosso della giornata internazionale della donna. L’autrice è riconosciuta per il suo approccio artistico di tipo antropologico, caratterizzato dal lavoro con le comunità e l’ascolto del territorio e nominata nel 2017 “Reggiana per Esempio”. Il progetto “Parole parole parole” è stato promosso dal comune di Reggio Emilia con il contributo di Conad, realizzato dal Servizio Pari Opportunità e dai Servizi culturali del Comune di Reggio Emilia con Biblioteca Panizzi e Musei, in collaborazione con Spazio Gerra e l’Associazione Nondasola che gestisce il Centro Antiviolenza – Casa delle Donne, nell’ambito del calendario di “Trecentosessantacinque giorni donna”, promosso in collaborazione con associazioni ed enti del territorio.

L’installazione allo Spazio Gerra

“Abbiamo da poco passato la Giornata Internazionale della donna e noi di Reggio Emilia siamo quotidianamente impegnati per i diritti delle donne e di tutti, è un nostro principio fondamentale – ha affermato durante la diretta streaming di presentazione il sindaco di Reggio Luca Vecchi -. L’opera presentata in Panizzi riporta l’attenzione a questo impegno, e non si fermerà qui. Abbiamo alle spalle un anno difficile e, lo ribadiamo, anche la cultura ha pagato un caro prezzo: non c’è futuro né una comunità viva dove non si tiene in vita la creatività, il sapere, la produzione e la diffusione culturale. Oggi inaugurare un’opera d’arte in questo luogo e in altri spazi vuole significare, oltre all’impegno contro la violenza sulle donne, anche la volontà di caratterizzare la città a partire dal messaggio culturale, dall’opera creativa e dalla diffusione del sapere come uno dei tratti distintivi della nostra storia e nella difficile contemporaneità di questa vicenda pandemica. In momenti difficili Reggio Emilia reagisce partendo dall’arte, con l’auspicio che nell’arco di mesi questi luoghi tornino ad essere frequentati in modo pieno e possano diventare dei punti di riferimento per la vita del territorio”.

“Un’installazione che vuole invadere la città e contaminare i luoghi interni, che si infili nelle case – ha continuato Annalisa Rabitti, assessora alla Cultura e Pari opportunità -: è questo che abbiamo provato ad immaginare con un nuovo linguaggio, con nuove parole sulla violenza maschile contro le donne e l’abbiamo fatto offrendo un’opera d’arte diffusa e fruibile da tutti, adottando lo sguardo di un’artista donna per cambiare il punto di vista. Per realizzare il progetto Elena ha lavorato con donne vittime di violenza e con chi lavora da anni per combatterla, dando vita ad un’opera collettiva che ha cambiato anche le prospettive originali dell’artista. L’idea è stata quella di creare un pattern in cui, entrando in Panizzi, si vedrà una parete colorata, gioiosa, con forme “pop” e colori allegri, per poi avere un momento di sorpresa e stupore nel leggere quello che vi è scritto all’interno. Un’opera che parte da qui, dalla ‘casa delle parole’, la biblioteca”.

“È stata una sfida e una novità lavorare ad un progetto simile e ci siamo sorprese della risposta dei contatti delle donne che hanno aiutato unendosi e mettendosi in gioco – ha proseguito Silvia Iotti, presidente dell’associazione Nondasola -. Costruire una relazione forte e affidare parole delicate è un passaggio difficile come punto di approdo. I pensieri sono incisivi, ma non aggressivi, le parole sulla carta sono fatte di esperienze e vengono copiate in tutta la loro potenza di mezzo sintonico, evocativo. Una carta da parati che incarna il luogo della casa, teatro classico della violenza sulle donne, è l’idea che l’artista ha voluto realizzare per occupare anche gli interni. Solo se ci si avvicina si colgono le parole, lo stesso avvicinamento che bisogna fare contro questo tema: è quanto di più lontano dalle rappresentazioni celebrative solite, perché qua il potenziale trasformativo si applica nella tensione al cambiamento che si legge nelle parole, una sorta di orizzonte nuovo e astratto”.

Questa installazione invece non c’entra, perché è di Maurizio Cattelan e rappresenta l’opera d’arte nell’epoca della (sua) deperibilità organica (già, perché il frutto matura e diventa altro, fino a marcire). S’intitola “Comedian” e all’autore è costata un dollaro, nastro adesivo compreso. E’ stata esposta nella Galleria Perrotin dell’Art Basel di Miami, dove Cattelan l’ha realizzata nel dicembre del 2019. Una realizzazione che ha fatto parlare di sé e che poi è stata venduta all’asta per la bellezza di 120.000 dollari. Poco dopo l’acquisto, l’artista di performance art (un filone reso noto da Marina Abramovic fin dagli anni Sessanta del secolo scorso) David Datuna l’ha presa dal muro e ha iniziato a mangiarla, chiamando questo gesto Hungry Artist (l’artista affamato) e inaugurando così il filone dell’Arte Commestibile.

“Non è stato un tema facile da affrontare, ma è stato per me un onore lavorarci e ‘tornare a casa’, a Reggio Emilia. Mi sono chiesta come avrei potuto rielaborare il tema della violenza di genere in maniera contemporanea, evitando le solite opere d’arte ingombranti e prorompenti ma affidandomi all’arte visiva – ha concluso Elena Mazzi, autrice dell’opera -. L’arte pubblica vuole arrivare a tutte le persone, non limitandosi a monumenti in piazza ma dilagando nelle città e ascoltando, traducendo e riformulando i pensieri della gente. Dati alla mano, ho fatto ricerche insieme al comune e all’associazione Nondasola, che mi hanno fornito materiale, numeri ed esperienze. La carta da parati è stata per me la soluzione migliore per tradurre parole, sensazioni e storie che sarebbero così diventate colori, forme, superfici e composizioni. Per realizzare quest’idea ho contattato la grafica reggiana Lucia Catellani e abbiamo progettato insieme dei laboratori, sia con donne vittime di violenza sia con operatrici, per far emergere questi loro sentimenti e punti di vista. Forme irregolari, ‘ritagliate’, parole incastrate, rimasugli e frammenti di segni, immagini criptiche, quasi trappole, un pattern astratto che attira la visione e che sprona. Era nostra intenzione veicolare un messaggio che è contrario all’arte centrativa, un altro linguaggio, un’arte per tutti. La violenza non è un fatto episodico ma culturale e la biblioteca è il luogo perfetto per iniziare questo dialogo, sede di cultura ed educazione a contatto con il pubblico, sin da bambini. Il progetto continuerà a invadere luoghi pubblici e privati per espandersi in più posti possibili: il pattern sarà anche acquistabile per poterlo avere nelle pareti di casa. Adesso Reggio avrà una nuova grande opera d’arte non celebrativa, da codificare, diffusa, intima. Ancora buon 8 marzo tutto l’anno, donne”.

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