Sui media sono passate sotto traccia le dichiarazioni di un componente della Fed, che la settimana scorsa tuonava contro il fallimento e l’inutilita’ del modello QE, ovvero l’iniezione di moneta sul mercato (da parte delle banche centrali) finalizzata a creare inflazione, abbassare i corsi della valuta e, non da ultimo, finanziare imprese e attività. Ebbene, quel silenzio è gravissimo. Soprattutto per le ripercussioni che il fallimento del modello Qe avrà sul nostro quotidiano.
Andiamo per ordine: il Qe ha già fatto il giro del mondo passando dall’America al Giappone approdando sulle sponde della vecchia Europa. Il risultato? Un effetto domino di svalutazioni delle monete, a somma zero. Dunque senza procurare alcun effetto sul fronte della crescita, a parte un effimero rimbalzo dei mercati sino ad aprile. Il perché è presto spiegato: la ripresa economica mondiale veniva tenuta in vita grazie a due fattori: il sogno del rialzo dei tassi in Usa, una valuta cinese drogata al rialzo insieme a un mercato azionario (cinese) con una salita non giustificata dai risultati reddituali delle imprese. Ebbene, il fallimento (sempre cinese) di spostare il focus della loro macchina produttiva da un sistema legato alle esportazioni a un sistema basato sui consumi interni, ha cominciato a far annaspare l’economia della Grande Muraglia. Da qui le svalutazioni dello yuan ed i crolli borsistici delle ultime due settimane.
Senza contare che, venendo a mancare l’imponente domanda delle Cina, anche le materie sono crollate e la loro discesa sta inevitabilmente portando a un forte indebolimento molte imprese energetiche (multinazionali e non) che vedono le loro redditività crollare. Di rimando, a questi crolli, la sensibile riduzione degli investimenti e quindi di tutta l’economia dell’indotto, con pesantissime ripercussioni sia macro che microeconomiche. Prova ne sia e ne sarà, ahimé, il fallimento di numerose emissioni obbligazionarie “corporate” e il rischio di pesanti perdite dei fondi High-Yield.
Sul fronte Europa le maggiori preoccupazioni arrivano dal “motore” tedesco, che è in profonda crisi: le aziende della signora Merkel negli ultimi 8 anni hanno visto lievitare i costi fissi, anche grazie al fatto che la Germania stava diventando tra i primi produttori di tecnologia al mondo, avendo inondato i mercati di auto e macchinari. Tuttavia ora, in un clima di rallentamento generalizzato, in cui si compra meno (dunque si vende anche meno) il modello teutonico sta precipitando: giù i margini reddituali, su i costi fissi. Ovvio che, qualora non venga stoppato (ma come, dato che le banche centrali hanno già sparato tutte le munizioni?) questo processo di crisi, la recessione tedesca sarebbe dietro l’angolo.
E se Berlino dovesse incamminarsi in quella direzione, immaginiamoci cosa potrebbe accade all’Italia nei prossimi 12-18 mesi: un disastro. Quanto meno perché tutto il lavoro di programmazione economica del Governo Renzi (che comprendeva anche un taglio delle tasse da 50 miliardi, ricordate?) era stato elaborato prendendo a riferimento un rapporto di cambio contro il dollaro sotto l’1,10. Mentre oggi siamo a un tasso di 1,17 circa, e in un contesto economico che non nasconde i prodromi di una prossima recessione.
Queste le premesse che hanno portato al collasso dei mercati di Borsa e all’olocausto del risparmio di queste settimane. Uomo avvisato…