Gliel’ha cantate e suonate il giorno di S.Prospero a politici e amministratori tirati e impettiti come nel più classico dei dì di festa di leopardiana memoria: rivedere il welfare, il rapporto pubblico e privato e venire incontro davvero alle crescenti fasce di povertà della società locale. In settimana peraltro la Cisl reggiana aveva restituito un quadro rabbrividente del rapporto provinciale ricchi-poveri, entrambi crescenti. Come a dire che la forbice si sta ampliando anche nell’un tempo felice Emilia. Insomma per mons. Massimo Camisasca il modello totalmente da rivedere. L’anima ciellina e interventista nel sociale del “nuovo” vescovo è emersa in tutta la sua nettezza nel suo primo 24 novembre.
Dalle colonne di questo magazine abbiamo più volte sollecitato gli amministratori della cosa pubblica, i “benecomunisti”, così come i parlamentari di ogni ordine e grado, a dare precisi segnali di testimonianza auto-falcidiandosi emolumenti, pensioni e privilegi in nome di quel recupero di credibilità che loro stessi invocano in ogni dove. Il dibattito sul reddito minimo garantito (anche se nel nostro Paese non esiste un tassello dello stato sociale che viti la caduta libera nella povertà e nella conseguente esclusione di membro a pieno titolo della collettività) si associa ormai di pari grado a quello del massimo consentito, opzione già delineata dal liberalissimo Luigi Einaudi nelle sue “Lezioni di politica sociale”.
Anche dalle nostre parti il dibattito sul welfare va riaperto perché se è vero che molti filosofi liberal inorridirebbero di fronte alla proposta di un tetto rigoroso ai salari più alti, in molti pensano ormai che le differenze di retribuzione siano giustificate nella misura in cui siano in grado di aumentare il reddito complessivo di una società. In sostanza ci vorrebbe un’analisi seria dei meriti individuali e delle alte performance: quanti manager pubblici e privati passerebbero questo semplice test? A partire dai dirigenti Iren che abbiamo in casa?
In Italia le pensioni consumano il 15% del Pil e abbiamo la più alta percentuale, tra i Paesi Ue, di trattamenti oltre i 3mila euro mensili mentre l’8% della popolazione è in povertà assoluta. Chi si scandalizza per l’attacco ai “diritti acquisiti” (alcuni naturalmente, non tutti) dovrebbe semplicemente cambiare loro nome in “ingiustizie procrastinate”. Allora forse, si metterà l’animo in pace.