Un referendum è meglio di niente

TrivelleSe votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare, diceva, per il tramite della sua caustica penna, l’irriverente e geniale Mark Twain quasi due secoli orsono. Ora, trattandosi dell’America dell’Ottocento, e soprattutto dell’America in quanto tale, può anche darsi che avesse ragione. Essendo noi nell’Italia del Ventunesimo secolo – anche se ad ascoltarne le canzonette non si direbbe affatto – sarà forse meglio che il nostro giudizio in materia sia appena un po’ più sfumato; dopo aver dato ai natali uno dei più bei fascismi della storia – the Original, nientemeno! – l’idea di non andare ad esternare pubblicamente la nostra opinione dovrebbe farci almeno un attimino riflettere.
Certo, la Democrazia, questa bellissima invenzione, capace di parlare (e non molto altro) di se stessa in maniera pressoché infinita non è che sia mai stata proprio un metodo così funzionale come ci piace immaginare. Come Churchill riportava, non è dato di sapere da chi (benché sia attribuita a lui in persona), è probabilmente la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme sperimentate finora; e neppure i Greci, che pure le avevano dato i natali, ne erano particolarmente entusiasti. Basta leggere in materia l’ampia dissertazione che ne fa Aristotele nel suo trattato sulla Politica: sono già presenti, e spiegate in maniera semplice e magistrale, tutte le possibili distorsioni cui essa può andare incontro, le molteplici manipolazioni, le incertezze, le ingiustizie, le falle organiche.
Soprattutto, è un sistema che si presta moltissimo ad essere usato contro se stesso: vale a dire, dato un numero di votanti opportunamente disinformati o prezzolati, si potrà attuare qualsiasi nefandezza pur potendo sbandierare l’assoluta e stringente conformità ai voleri del popolo tutto; e si sa che la volontà del popolo è sovrana. Oltretutto, in questo modo si risolve anche l’annoso problema detto “del plotone d’esecuzione”, per il quale a un paio di fucili a caso vengono assegnate cartucce a salve, così che ciascuno dei tiratori possa illudersi di essere proprio lui, quello che in fondo non ha colpito a morte il condannato. Altrimenti, si sa, nessuno mai sparerebbe.
E vuoi che di tanti proprio il mio voto abbia fatto passare questa legge di merda? Dai, impossibile. E così avanti piano. Va anche detto che il Referendum, per alcuni lo strumento di democrazia perfetto, in realtà non lo è affatto; noi in questo ci sentiamo piuttosto labriolisti, nel senso che riteniamo possa essere, persino più di altri, distorto per scopi non perfettamente eleganti: una sufficiente pressione mediatica, et voilà, il cittadino può esprimere la sua volontà su di una questione in tutti i modi espressamente progettati da chi lo propone. E quanto a questo, è buona cosa fare il punto preciso: possiamo parlare fino a seccarci la bocca di esercizio mediato della volontà politica, ma a proporre i referendum non è mai stata la base, dal basso non viene niente: lo strumento è sempre e solo stato proposto dai vari partiti (che ovviamente si trincerano essi stessi dietro la facciata di manifestazione della volontà popolare, beninteso).
Questo aspetto, unitamente ai costi non certo irrisori, alla sempre presente nebulosità con cui vengono presentate le materie (votare no per il sì, sì per il no, forse per il sì, ti vedo più come un amico per…?) e ad una certa qual aura di disimpegno fa sì che i referendum non siano poi questo strumento così efficace e sano come si può pensare. Ma che tutte queste considerazioni siano prese a vanto per non esercitare un diritto che, tra i pochi che ci rimangono, sembra essere uno dei più cruciali, è in ogni caso cosa ben curiosa. Parafrasando Twain, e con tutto il rispetto per la sua geniale penna, dobbiamo dissentire: se votare non facesse qualche differenza, non cercherebbero il nostro voto con tanta assiduità. E questo in questi ultimi anni, contraddistinti da una continua, asfissiante campagna elettorale, crediamo sia ben chiaro; anzi, non si sono mai viste tante votazioni, con tanto di aggiunta delle primarie, altro strumento tanto interessante quanto deviato.
Il punto è: un tempo del votare si diceva che era “fare il proprio dovere di cittadino”. Non che gli italiani in questo siano mai stati fortissimi, certo; e forse, proprio per questo dovremmo ricordarcene, e ricordare che assieme il voto è anche un diritto. Senza fare tanta prosopopea classica sulle lotte insanguinate per il voto e bla bla bla (peraltro vera), osserviamo come il nostro Paese sia da sempre terreno di prova per varie modalità di superamento delle istituzioni: tramite clamore delle piazze, tramite giornali, tramite coltelli, manganelli, radio, poi televisione, poi infine tramite web e, dulcis in fundo, se dobbiamo proprio parlare di Renzi, il capolavoro: tentativo di superamento delle istituzioni tramite istituzione. “Non andate a votare” è proprio il colmo.
E’ chiaro che le istituzioni hanno qualche problema (eufemismo) e non consentono il pieno esercizio del potere della volontà popolare, né la sua concreta osservanza, né l’equità della stessa. Come tutti i sistemi, sono fallibili. Ma perlomeno sono un sistema: condiviso, progettato, deciso collettivamente. Che si possa pensare ad un superamento senza la sostituzione con qualcosa di più efficiente ci fa strano. A meno che non stiano cominciando a proporre la soluzione più efficace possibile: loro si votano da soli, vanno lì, decidono da soli e buonanotte. Soluzione che però non contempla il vostro parere. Meditate gente, meditate.
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