Un nuovo sistema di regole che rispetti i diritti della natura

Giornata di studio GEA (Green Economy and Agricolture)

Se come ci insegna Margherita Hack «Tutti noi abbiamo un’origine comune, siamo tutti figli dell’evoluzione dell’Universo, dell’evoluzione delle stelle, e quindi siamo davvero tutti fratelli», visto l’andamento delle cose nel mondo viene proprio da pensare che qualcosa sia andato storto. La Terra ci sta chiedendo aiuto, ma riusciamo a comprenderlo compiutamente? La “fratellanza stellare” indicataci dalla scienziata include un “tutto” in cui siamo compresi noi umani, ma insieme con ogni altro “diversamente umano” presente sul Pianeta: siamo disposti ad ammettere una tale convergenza?

Quella della Hack è stata – per sua stessa ammissione – una affermazione dirompente, per definire «Lo sforzo della ragione di trovare una spiegazione naturale» non solo alla nostra presenza sul Pianeta, ma anche sulle origini del Pianeta: un argomento su cui per secoli sono fiorite teorie, sfociate in spesso in forme religiose offerenti speranza e prospettive di unioni mistiche con qualche divinità. Forme che possiamo – grossolanamente – raggruppare secondo due diverse modalità di atteggiamento umano: da un lato l’ossequioso timore verso un’entità suprema, astratta e della quale con atti di fede si accetta ogni spiegazione, anche la più irrazionale. D’altro lato, gli atteggiamenti volti a interagire con il mistero della Vita rispettosamente, nella volontà di stabilire con il diversamente umano rapporti empatici: vale a dire ciò che per millenni hanno fatto i popoli “selvaggi”, fin quando noi europei evoluti non siamo andati a… “civilizzarli”.

Chiaramente si fa per dire. Ancora oggi, infatti, gli antropologi ci sottopongono studi le cui evidenze dimostrano quanto e come la differenza nel rapportarsi al diversamente umano abbia conseguenze tanto significative: devastanti se di matrice autoritaria, armoniche quando invece si privilegiano la capacità comprensiva fra i corpi e le cose presenti in Natura. Modalità, quest’ultima, che produce un caleidoscopio di opportunità, adeguate a ricondurre verso la necessità di riconoscere un diritto di uguaglianza, che suscita le suggestioni mosse dall’ipotesi circa le reciproche “origini stellari”.

Di suggestioni si tratta, appunto – in questo caso percepite da chi vi scrive –, che hanno stimolato il riaffiorare alla memoria Margaret Mead, antropologa cui si devono gli studi sulle evidenze etnografiche che rivelarono molti degli errori compresi nella visione evoluzionista darwiniana, e che gettarono seri dubbi sulla allora convinta superiorità dei WASP (l’acronimo che definiva i White Anglo-Saxon Protestant). L’attualità della Mead va letta anche nell’aver considerato la singolarità dell’antropologia per la sua propensione a interagire con le scienze biologiche, le scienze sociale e gli studi umanistici, in una triplice prospettiva disciplinare che la pone a cavallo fra il guardare le culture in cui la vita è rimasta fissata a una visione antica, e la visione che può scaturire dalle menti umane nella progettazione di un futuro rispettoso delle proprie essenzialità.

Impostazione attuale, perfetta per aprire un confronto sui temi più caldi oggi dibattuti: l’intelligenza artificiale, per esempio, ma anche al rapporto – appunto – con l’ambiente, visto che per entrambi si stanno cercando risposte idonee a indicare la via migliore da intraprendere. Gli studi antropologici, in questo senso, possono avviarsi ad ampliare il loro carattere interdisciplinare aprendosi inevitabilmente alle scienze giuridiche, a cominciare dalle modalità di intendere il diritto stesso, che va guardato da prospettive diverse rispetto a quella dell’infallibilità che l’uomo si è arrogato.

Fra noi e la Natura è viva una storia che parla di progressi volti al comprenderne la fisiologia, minati però dal costante atteggiamento tenuto dai molti umani che hanno cercato di sminuirne la valenza, così da poter mantenere inalterato il controllo – o ciò che a uno sguardo superficiale tale appariva – quindi il dominio: sono gli stessi individui che ci stanno portando a vele spiegate verso un punto di non ritorno. Però – forse – siamo ancora in tempo a invertire la rotta, ma non possiamo permetterci di indugiare, e soprattutto di perseverare nella presunzione di superiorità che per secoli ha caratterizzato la cultura occidentale.

Avere cura dell’ambiente significa rinnovare il nostro senso di appartenenza civica prendendo cura della Natura perché è in questo modo che potremo prenderci cura anche di noi stessi essendone naturalmente parte: a qualcuno sembra esserne più parte di altri… ma, per fortuna, qualcun altro riesce a vedere con chiarezza da punti di vista e prospettive diversi, con la consapevolezza della necessità di formulare un sistema di regole che tuteli l’ambiente, individuando e legittimando diritti finora negati, o quanto meno ignorati.

Intorno ai diritti della Natura si stanno sviluppando lavori interessanti, non lamentevoli bensì propositivi quindi concreti. Ad esempio, se ne è parlato a Pistoia lo scorso 19 maggio, in una giornata di lavoro – propedeutica ai Dialoghi di Pistoia, in calendario dal 26 al 28 maggio – su “I diritti della Natura”, alla quale hanno partecipato studiosi di varie discipline: antropologi, giuristi, sociologi, filosofi hanno condiviso le proprie esperienze sulla questione dei diritti dell’ambiente, tracciando percorsi interattivi per agire su più fronti, a cominciare dalla necessità di sensibilizzare gli umani sul problema.

A ospitare la giornata di studio GEA (Green Economy and Agricolture), la società strumentale di Fondazione Caript nata allo scopo di realizzare un parco scientifico e biotecnologico, con la finalità di diventare punto di incontro dedicato – ricordiamo che Pistoia è città che nel settore vivaistico conta attività di elevato livello qualitativo – tra imprenditori locali, servizi avanzati alle imprese, mondo della ricerca: perfetto, quindi, per accogliere un dibattito su “I diritti della Natura” a largo respiro.

Il presidente GEA, Giovanni Palchetti, ha dichiarato: «Abbiamo voluto mettere in dialogo studiosi e studiose di differenti discipline per approfondire da un lato le modalità, le ragioni e l’opportunità di estendere anche ai non-umani diritti finora riservati solo agli esseri umani in modo formale (nelle Carte costituzionali per esempio) in un’epoca in cui la rassicurante distinzione tra natura e cultura conosce una profonda crisi. D’altro lato si vorrebbero esplorare le modalità mediante cui società di diverse parti del mondo hanno assicurato “diritti informali” ai non umani, attraverso pratiche di responsabilizzazione dell’azione umana e attraverso l’estensione di aspetti dell’umano anche ad altri esseri della natura».

Foto di Alessandra Chirimischi

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