Un sospetto serpeggiava non espresso tra i corsisti assiepati per un giorno nel caveau di una banca scandianese (una sorta di catacomba finanziaria): non è che il famoso aggiornamento “valsente” 60 punti a triennio voluto dall’Ordo giornalisticorum, fosse in realtà fortemente voluto dai vertici Fieg per dimostrare come, nonostante l’assenza una tantum della quasi totalità degli addetti ai lavori nelle redazioni, la sera stessa e il mattino dopo, ogni organo di informazione degno di questo nome, sia in grado di erogare, anzi eruttare ghiotte notizie e saporiti commenti come e più di prima? Insomma che la fumosa macchina da scoop, anche priva dei suoi timonieri-impaginatori, possa funzionare a pieno regime di giornali, tv, siti web e qualsivoglia altro medium di recente o prossima scoperta?
Perché l’altro giorno al lodevole e soporifero corso sulla lettura del bilancio (a proposito abbiamo appreso che il suddetto documento pieno di capitoli convenzionali e retto da numeri in quanto tali a prova di scienza, è in realtà quanto di più soggettivo e discrezionale che nemmeno i sentimenti…) c’eravamo davvero tutti; tutti sì ma pochi con la certezza di avere ancora un lavoro all’indomani.
Ironia della sorte infatti queste full-immersion partecipate e vissute come gruppi di auto-aiuto sotto lo slogan “mal comune mezzo gaudio”, cadono nel bel mezzo della più grande crisi anche dell’editoria che la storia possa ricordare. In quei sotterranei infatti tra cassintegrati, precari, free-lance, contratti di solidarietà, disoccupati e pensionati, stampa che apre e poi chiude, si dischiude appena per poi socchiudersi bruscamente e via dicendo, i giornalisti pienamente attivi si sarebbero potuti contare sulle dita della mano di un monco. Inattivi sì ma pieni di punti e con qualche attestato da appendere ai muri di una casa su cui pende un’ipoteca bancaria. Vuoi mettere?