Firenze – Metà anni Ottanta. La prima volta che sento pronunciare il nome di David Bowie è nel film “Footloose”, che vedo in televisione. ‘è questo ragazzo, Ren McCormack (Kevin Bacon), bello e ribelle, che ha appena dovuto lasciare Chicago per trasferirsi nella sperduta Beaumont, provinciale e bigotta. Qui, nel giro di poco, McCormack diventa una sorta di paladino di tutte quelle prerogative che fanno della gioventù un momento speciale e irripetibile.
Per via di uno spiacevole episodio risalente a tempo prima, a Beaumont il rock è bandito: corrompe l’animo dei ragazzi, si dice. Ren, poco a poco, riesce a cambiare le cose, strappando l’autorizzazione per l’allestimento del tanto sospirato ballo di fine anno (una festa dove gli ormoni galopperanno veloci come nei passi a due di “Dirty Dancing”), e conquistando per giunta la figlia del reverendo, Ariel, subito folgorata da questo gran figo forestiero che ama il rock e veste come David Bowie. E’ la signora McCormack, in un passaggio del film, a sottolinearlo a suo figlio e agli spettatori. “Vai a scuola con la cravatta?” dice a Ren. E lui “Sì, mi piace la cravatta”. Per lei è un po’ eccessivo: “Metti qualcosa di più semplice. La indosserai a settembre, quando andrai al college e potrai vestirti come David Bowie”.
Negli stessi giorni, grazie a Videomusic, il canale tv più giovane degli anni Ottanta, scopro il vero Bowie, uno dei miti di Ren, che amava molto anche i Police. Il video era “Absolute Beginners”. Alle medie studio francese: oui, je l’adore, ma va da sé che non capisco una parola di ciò che quel distinto signore in impermeabile, cravatta (penso subito al look scolastico di McCormack) e cappello canta, in english (ah, capirlo…), nel videoclip, con quella sua voce insieme dolce e metallica, come impastata di un’elettricità ad altissima tensione.
Di tutto il resto mi innamoro subito: della musica (cosa non sono la sezione ritmica e il fraseggio affidato ai cori!) come delle immagini. Giovane batterista alle prime armi – sono nato nel 1972 – penso che gli strumentisti di David suonano da dio. E che quell’alternare racconto in bianco e nero e sequenze a colori è davvero forte. E che quella ragazza inguainata dalla tutina zebrata è bellissima e lui, Bowie (un detective? un agente segreto? un investigatore privato? una spia?), fa bene a tampinarla: chi non lo farebbe?
Nel corso degli anni, ho seguito le tante evoluzioni creative di questo immenso artista. Ho imparato l’inglese quel tanto che basta per leggere i suoi testi e le sue interviste in lingua originale. La pratica e lo studio della musica – della sua storia, dei suoi stili, della ricchezza sonora e letteraria del suo linguaggio, del suo impatto sulla società, sulle mode di intere generazioni, sui pensieri e le scelte dei “Ren” che hanno popolato le varie decadi da Chuck Berry in poi, da Elvis in poi, dai Beatles in poi, da Bowie in poi – mi ha permesso di apprezzare a fondo le innovazioni che il Duca Bianco ci ha regalato.
Ma, a conti fatti, niente di tutto questo vale l’ammirazione, la gioia di un ragazzo di quattordici anni che se ne sta incollato a Videomusic, tamburellando le gambe con le bacchette, gli occhi e le orecchie sgranati, per non perdere una battuta di “Absolute Beginners”, brano da aspettare in gloria nella programmazione a loop di una fatata emittente. Niente vale l’energia lucente dei sogni di quell’età, quando si è davvero dei principianti assoluti, meravigliosamente ingenui in ogni campo, illuminati dal bagliore che le nostre aspettative ci proiettano dal futuro ideale su cui fantastichiamo.
A David, oggi, dedico quell’energia irripetibile, assieme alla gioia, al puro divertimento che mi fece provare vagando, accompagnato dalle sue note e dal suo inimitabile stile, per le strade di Londra in cappello e impermeabile, come un Dick Tracy o un Philip Marlowe lanciati all’inseguimento della loro dark lady. In questo caso, un’evanescente, esotica e super-sexy fanciulla dalla tuta zebrata.