Un 25 aprile Solitario: nelle mani del sindaco di Reggio la prima bandiera italiana (quella del partigiano cattolico Giorgio Morelli) che entrò nella Reggio liberata

La bandiera che per prima (alle 17 del 24 aprile 1945) entrò nella Reggio realmente denazificata per mano del partigiano cattolico Giorgio Morelli detto il Solitario (poi morto per le ferite riportate in un agguato teso da mani ignote) consegnata nelle mani del sindaco Luca Vecchi contornato dalle varie anime resistenziali (tutte unite nell’armare le mani dei combattenti contro il nazifascismo che fu, ma con dei distinguo nell’armare i resistenti ucraini contro il naziputinismo che è)
Giorgio Morelli, nome di battaglia da partigiano il Solitario

Nella Sala del Tricolore del Comune di Reggio Emilia, il sindaco Luca Vecchi ha ricevuto in dono da Chiara Morelli, nipote del partigiano Giorgio Morelli, nome di battaglia Il Solitario, la bandiera tricolore sventolata dal balcone del municipio nel pomeriggio del 24 aprile 1945, giorno della Liberazione di Reggio Emilia.

Nel ricevere il Tricolore della Liberazione, il sindaco Luca Vecchi ha ricordato la passione civile del partigiano Morelli, l’impegno per la democrazia e la verità. “Voglio ringraziare Chiara, e con lei la famiglia Morelli tutta, per aver donato al Comune di Reggio questo prezioso Tricolore, più che mai simbolo della Liberazione della nostra città dalla barbarie del nazifascismo, per il momento storico e il luogo in cui venne sventolato – ha detto il sindaco Luca Vecchi – Lo custodiremo con cura e faremo in modo che sia messo a disposizione della cittadinanza, attraverso un percorso ad hoc che ne illustri la precipua storia”.

LA STORIA – All’alba del 24 aprile 1945, dopo una notte di intensi movimenti nemici di truppe in ritirata, le avanguardie statunitensi della 34a Divisione RedBull giunsero alle porte della città arrestandosi a San Maurizio dove si incontrarono con i partigiani della 37a Brigata GAP. Intanto le formazioni partigiane si avvicinarono nella mattinata, concentricamente, alla città: dalla via Emilia, da sud sulla SS63 e da Montecchio-Cavriago, da nord ancora sulla SS63.

Nella foto, il sindaco Vecchi riceve la bandiera “solitaria” della Liberazione, contornato dalle varie anime della Resistenza, alcune delle quali favorevoli ad armare i partigiani contro il nazifascismo ma non ad armare gli ucraini contro il naziputinismo

Il CLN aveva respinto la resa offerta dal vice-Capo della Provincia Ercelli: Reggio doveva essere liberata dalle formazioni partigiane. I fascisti erano fuggiti nella giornata precedente, mentre gruppi di tedeschi, ormai sbandati, cercavano di lasciare la città per dirigersi verso il Po, aprendosi la strada combattendo senza risparmio di forze a Reggio come in tutta la provincia.

Scontri si ebbero intorno alle tredici nelle zone di Due Maestà, Buco del Signore, San Pellegrino e Rivalta; mentre i partigiani provenienti dalla montagna e collina erano già alla periferia di Reggio, le squadre SAP cittadine uscirono allo scoperto effettuando alcuni colpi di mano nei confronti dei tedeschi ancora presenti in città. Intorno alle 16, varie pattuglie della 26esima Brigata, aggirate le postazioni tedesche, entrarono in città da Porta Castello. Contemporaneamente vari gruppi di sappisti scandianesi e delle Fiamme verdi attraversarono la circonvallazione ed entrarono a loro volta in città, tra Porta Castello e San Pietro, percorrendo le vie verso il centro storico, bersagliati dalla raffiche dei franchi tiratori fascisti. Nell’attuale via Tassoni, a poca distanza dalla chiesa di San Pellegrino, furono uccisi il garibaldino Tim (Enzo Lazzaretti) e Grappino (Bruno Bonicelli) delle Fiamme Verdi, in piazzale Lepanto cadde la partigiana Mimma (Maria Montanari).

Quel pomeriggio, fu proprio lo stesso Giorgio Morelli, sceso dalla montagna, a percorrere per primo su una bicicletta le strade di Reggio Emilia sventolando il Tricolore. Quello stesso Tricolore fu poi issato intorno alle 16.20, come simbolo di liberazione dal fascismo, sul balcone del Municipio da Morelli e da altri tre partigiani delle Fiamme Verdi.

Queste le parole -ricordate dal sindaco Luca Vecchi in Sala del Tricolore – con cui lo stesso Giorgio Morelli descrive, sulle pagine del numero di “Reggio Democratica” uscito il 25 aprile 1945, quei momenti.

“Ed ho pianto.

Alle ore 17 del 24 aprile sono entrato in Reggio, primo patriota della montagna ad annunciare al popolo l’ora della Liberazione.

Ho percorso le vie della città, mentre ancora s’udiva al di fuori il rombo del cannone, ed ho gridato a quanti incontravo sul mio cammino che i patrioti scesi dalla montagna erano alle porte e stavano per entrare a compiere l’ultima tappa della riscossa nazionale.

Al primo apparire ho udito, sorpreso, una applauso forte e sincero che si è propagato veloce per le strade percorse; che è man mano cresciuto in un’onda di entusiasmo e di commozione; che si è tramutata dopo pochi minuti in un’atmosfera elettrizzata dalla più spontanea e sconosciuta gioia del popolo.

Ho gridato con tutta la mia voce la prima parola di libertà dopo tanti anni di schiavitù; ho recato ai fratelli della città l’annuncio dell’arrivo dei “Volontari della libertà”.
Ho portato sul petto, per le contrade sino a ieri calpestate dallo straniero, il primo Tricolore, simbolo della vera Italia.

Ho visto questo popolo reggiano uscire in massa dalle porte, sbucare di corsa dalle vie, aprire tutte le finestre, gettare mazzi di fiori. Ho visto centinaia di braccia protese in un vano arresto, ed i volti di questa gente dischiudersi in un sorriso indimenticabile.
Ho udito una marea di voci, di evviva, di grida, di sensazioni indicibili, e sopra tutto questo mi è giunto: il calore di un applauso instancabile che la mia giovinezza non ha mai raccolto.

Ed ho pianto.

Ho pianto perché l’ora che ho vissuto oggi è la sola che abbiamo attesa da tempo con ansia infrenata; che è rimasta chiusa, soffocata, imprigionata in noi durante le ore della nostra lotta clandestina; che è straziata da tutte le torture incise sui corpi dei martiri; che è vilipesa dalle rappresaglie dello straniero; che è incorporata dal sangue dei nostri caduti; ma è un’ora che, in questa primavera di elevazione, è sbocciata nella più rivoluzionaria purificazione a ridare al popolo fiducia nella Pace, nella Giustizia, nella Libertà.
In quest’ora, sino ad oggi sconosciuta o forse incompresa, il sacrificio silenzioso e sublime di tutti i miei fratelli di lotta, ha ricevuto nella manifestazione ardente del popolo la sua più alta consacrazione”.

LA BIOGRAFIA – Giorgio Morelli nacque a Reggio Emilia il 29 gennaio 1926, secondo figlio di Mario e Maria Rossi. Fin da giovane maturò una profonda passione per il giornalismo: la fede cattolica e gli ideali antifascisti lo portano a scrivere con lo pseudonimo “Il solitario” per i “Fogli Tricolore”, ciclostilati clandestini, prodotti da un gruppo di giovani antifascisti reggiani nell’autunno 1943 e distribuiti porta a porta, senza titolo né data, che riportavano solamente in alto a destra un tricolore tracciato a matita. Nella primavera del 1944 salì in montagna per unirsi alla formazione partigiana della 26a Brigata Garibaldi, dalla quale uscì alla nascita della formazione partigiana di orientamento cattolico delle Fiamme Verdi, la 284a Brigata “Italo”, fondata da Carlo, il sacerdote don Domenico Orlandini.

Nel periodo della formazione partigiana, fondò con l’amico Eugenio Corezzola il giornale partigiano “La Penna”, divenuto poi – dopo la Liberazione – la “Nuova Penna”.

Amico di Azor (Mario Simonazzi, vice-comandante cattolico della 76a Brigata SAP) fu profondamente colpito dal suo assassinio alla fine di marzo 1945 da parte di partigiani legati al Pci. Oltre a questo caso, l’impegno profuso sulle pagine del suo giornale si caratterizzò (nel difficile clima dell’immediato post-liberazione) per la denuncia delle uccisioni avvenute nel reggiano a guerra finita e che avevano coinvolti alcuni partigiani, per Morelli atti incompatibili con i veri valori della Resistenza. Nonostante le minacce e le intimidazioni ricevute (inclusa l’espulsione dall’Anpi per “indegnità”) Morelli proseguì nella sua attività giornalistica ma la sera del 27 gennaio del 1946 fu ferito in un agguato mentre rientrava a casa a Borzano: gli attentatori, rimasti ignoti, gli scaricarono contro sei colpi di rivoltella. Le ferite inflittegli, che inizialmente parevano non gravi, gli avevano arrecato invece seri danni fisici che lo portarono invece a morire il 9 agosto successivo, a soli 21 anni ad Arco di Trento.

Da una pagina eroica della vera Resistenza ad una demenziale degli epigoni confusi e sedicenti di una parte di essa. Si segnala infatti (anche perché Reggio ha fornito in pochissime unità la sua quota nonsense) la manifestazione di sabato alla Bolognina dove un gruppo di “antifascisti” ma filorussi ha sventolato ad un certo punto la bandiera del Donbas attirando l’attenzione di un gruppo di ucraini, che magari in questi giorni ha avuto un parente, un genitore, un figlio, un amico ammazzato da Putin, dunque poco propenso ad accettare le “ragioni” delle sterminio del proprio popolo, che li hanno ricoperti di insulti. Manifestazione “antifascista” contro il totalitarismo che fu (quando manco erano nati) ma ammiccante al totalitarismo che è.

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