Ci vuole tanta passione e molta fiducia per credere in un ‘Europa più unita e solidale. Il mondo è molto cambiato dalla fine del Novecento quando nacque il Mercato unico (1992) e fu introdotto l’euro (2001). Le crisi finanziarie, la rivoluzione digitale, il successo della Cina e la crescita dell’India, che rappresentano oggi il 20% del Pil mondiale (era il 5% nel 1992), hanno messo in evidenza i limiti di un’Unione che non è una federazione e di una struttura che risente dei vecchi nazionalismi sia nella concezione che nella prassi quotidiana. Il segno dei tempi è disarmante: dopo la Brexit, in tutti i paesi fondatori crescono o governano le forze politiche sovraniste.
Eppure non ci si può fermare. L’Europa è sempre andata avanti nonostante tutto perché l’idea ha preso le gambe di movimenti, partiti, leader. Persone che afferrano il testimone e continuano a correre. Ce ne sono tanti per fortuna da Lisbona a Riga, da Dublino ad Atene, da Palermo a Bucarest, a Varsavia.
In Italia per esempio due di loro hanno impugnato la fiaccola dell’integrazione e hanno percorso il continente in lungo e in largo per mettere a fuoco i problemi e trovare le soluzioni per ricostruire il modello di democrazia, di equilibrio sociale e di crescita economica da mostrare al mondo. Due ex premier: Mario Draghi ha presentato pochi giorni fa il rapporto sulla competitività; Enrico Letta ha viaggiato in 65 città dei 27 paesi per partecipare a più di 400 incontri. Il Consiglio Ue e la Commissione lo hanno incaricato preparare un rapporto per contribuire alla riflessione sul futuro dell’Unione europea (UE), e alla preparazione della nuova Agenda Strategica del Consiglio europeo per gli anni 2024-29. Alcune delle sue proposte sono comparse nel discorso programmatico tenuto da Ursula Von der Leyen per il suo secondo mandato di presidente della Commissione nel luglio scorso.
Il documento di Letta, che si conclude con una “call to action”, ovvero un invito alle istituzioni europee ad agire rapidamente, portando avanti il progetto di completamento del mercato interno avviato da Jacques Delors trent’anni fa, è diventato un libro destinato al grande pubblico, nel quale l’autore racconta il suo viaggio in Europa facendo diventare storie, nomi, idee, città circostanze, quanto è andato elaborando sul piano teorico-programmatico.
“Molto più di un mercato – Viaggio nella nuova Europa” (Il Mulino), il titolo che “vuol richiamare una sfida globale che ci vede come protagonisti in quanto europei proprio a partire dai nostri valori”, riporta vicende concrete e tangibili di una comunità che deve ritrovare in se stessa la molla per uscire da un declino che potrebbe essere fatale per la sua sopravvivenza in un momento di squilibrio totale e irreversibile del contesto geo-strategico. Una prima semplice constatazione tratta dall’esperienza del suo viaggio: se si esclude la tratta Parigi – Bruxelles, le capitali europee non sono collegate fra loro con l’alta velocità ferroviaria. “La dimensione nazionale non dialoga”, commenta amaramente.
Fra le tappe del tour compiuto da Letta per presentare libro e rapporto c’è stata anche Firenze il 13 settembre scorso, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede operativa di Dario Nardella, l’ex sindaco, ora deputato europeo.
Il mercato unico della libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, pilastro dell’integrazione, è diventato uno strumento obsoleto – esordisce Letta – semplicemente perché, per volontà dei Paesi membri, fin dall’inizio ha tenuto fuori l’energia, le telecomunicazioni e i mercati finanziari, settori che erano considerati sensibili per gli interessi nazionali.
Ebbene, la guerra in Ucraina ha destabilizzato il mercato dell’energia con il venir meno dei comodi accordi con la Russia; nelle telecomunicazioni gli operatori europei (cinque milioni di utenti di media) sono nani ininfluenti rispetto ai giganti americani e cinesi (400 milioni di utenti di media) e la debolezza della finanza si può rappresentare con un altro esempio concreto: ogni transizione si svolge in Europa su piattaforme americane che incassano le commissioni e queste vanno a ingrassare capitali che a loro volta vengono in Europa a fare acquisti. Il Nasdaq da solo vale molto di più della somma del valore di tutte le borse europee messe insieme moltiplicate per due. Il sistema finanziario europeo, dopo l’uscita del Regno Unito, rappresenta solamente l’11 % del mercato globale.
“Le quattro libertà del Mercato Unico sono davvero figlie del Novecento: tutte tangibili e analogiche, manca però l’intangibile che in fondo è la vera caratteristica del nostro tempo, il secolo del digitale”, dice Letta. E’ dunque urgente che si affronti l’integrazione in quei tre settori , lavorando a quella che Jacques Delors indicava come la quinta libertà vale a dire “la libera circolazione delle idee, la ricerca, rilanciare la conoscenza: superare la logica analogica entrare nel secolo dell’innovazione e delle competenze digitali.
Tornando ai mercati finanziari l’ex premier ricorda che in Europa ci sono 33 triliardi di risparmi: occorre allora una “Unione dei risparmi e degli investimenti”, per creare un moderno, integrato e attrattivo sistema finanziario europeo introducendo un sistema di supervisione con un centro forte e tante diramazioni nazionali coordinate dal centro. Solo in questo modo si potranno trovare le risorse necessarie a finanziare le tre grandi priorità della transizione: sviluppo sostenibile, giustizia sociale e innovazione. La transizione richiederà investimenti aggiuntivi per una cifra pari al 2% del Pil.
Il tema fondamentale infatti è definire “chi paga” per la transizione verde e per qualla digitale: l’assenza di certezze sul fatto che saranno le istituzioni e il capitale privato a sostenere le transizioni provoca una diffusa convinzione che a farlo saranno le diverse categorie di lavoratori più coinvolte nei settori automobilistico, agricolo e in quello dei proprietari di case Questa preoccupazione crea malcontento e rifiuto ponendo grossi problemi sulla tenuta sociale del progetto europeo. Di qui la necessità di un piano europeo per accompagnare investimenti pubblici e privati massimizzare l’uso degli investimenti. C’è bisogno di 800 miliardi: “la transizione deve essere accompagnata, non ci devono essere i soliti perdenti, altrimenti si crea un’ulteriore divaricazione aumentando le diseguaglianze, desertificando le periferie”.
Non è solo un questione di soldi. Sono tanti gli aspetti del mercato unico da correggere. Un altro fondamentale è quello delle diverse normative commerciali e i diversi sistemi fiscali che bloccano non solo gli export delle Pmi tra uno stato membro e l’altro, ma riducono l’attrazione degli investimenti. La sua proposta è quella del “modello Delaware”: creare un 28° stato virtuale con un suo diritto che applicano tutte le imprese dell’Unione.
Oppure il settore della difesa. L’Europa ha speso 140 miliardi spesi per l’Ucraina, ma a causa dell’esistenza di 27 sistemi di difesa diversi, l’ 80% di quelle risorse sono andate a creare posti di lavoro in altri paesi in Corea, Usa e Turchia. In questi settori, il rapporto mette in luce i benefici che risulterebbero da economie di scala, evidenti per quanto riguarda l’approvvigionamento comune di armamenti.
Sul piano della semplificazione di normative e procedure, il rapporto invita a passare dalle direttive ai regolamenti direttamente applicabili in modo uniforme in tutti gli Stati membri, invece delle direttive che sono sottoposte all’attuazione nazionale.
Il rapporto Letta sposa pienamente la logica di Jacques Delors dell’economia sociale di mercato. Per quanto riguarda la circolazione delle persone, se non si correggono le attuali storture resterà sempre un viaggio di sola andata da sud verso nord e da est verso ovest dove c’è più lavoro qualificato e meglio retribuito. Non solo libertà di movimento dunque ma anche libertà di restare nel proprio paese. Preliminare a questo riequilibrio è l’uso diverso dei fondi strutturali con una riforma delle politiche di coesione. Senza dialogo sociale non c’è crescita inclusiva non c’è sostenibilità. Letta sottolinea il principio della rappresentanza e quello dell’ascolto e l’attenzione al ruolo dei territori, e il fondamentale rispetto del principio della sussidiarietà. Perché, conclude, chi crede nel modello della democrazia e di sviluppo europeo ha un compito in più: dimostrare che proprio con la democrazia e la partecipazione l’economia cresce in modo più sostenibile e la società è più forte.
Quante possibilità concrete ci sono perché queste raccomandazioni e proposte vengono recepite? Le condizioni di partenza sono negative, ma la storia dell’integrazione europea per ora non ha contraddetto le parole di Jean Monnet: “L’Europa sarà forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi”.