Ucraina, il declino degli Stati e l’inconsistenza della comunità globale

il passato, il presente e il futuro della giustizia internazionale

Luigi Ferrajoli è un grande giurista. Chi ha affrontato i suoi Principia Juris avendo in mano le antiche convenzioni della teoria del diritto è ancora lì, a leccarsi le ferite. Si può essere d’accordo con lui o no, ma Ferrajoli è un giurista che produce cultura e diritto allo stesso tempo. Può irritare o affascinare, fare arrabbiare o stupire, ma non si può far finta di niente. In un suo recente intervento su Il Manifesto del 22 marzo affronta i crimini di sistema e la guerra come fenomeno naturale. Anche la legge del più forte è naturale – afferma – la democrazia, invece, è artificiale. L’unica possibilità per evitare la catastrofe è per lui un nuovo patto di convivenza: la Costituzione della Terra. Giro di valzer, e si entra nella realtà del conflitto in corso in Ucraina. Qui il suo ragionamento s’intreccia con i tanti che non trovano nelle differenze, politiche e di natura penale, tra aggredito e aggressore ragioni sufficienti a definire i contorni morali. Comunque si pensi, la conclusione è incontestabile: occorre che la giustizia internazionale muova i suoi passi. A distanza di tredici mesi dall’inizio del conflitto a che punto siamo?

1. Il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale

Sulla base delle prove raccolte e analizzate dal mio ufficio a seguito di indagini indipendenti, la Camera preliminare ha confermato che vi sono fondati motivi per ritenere che a carico del Presidente Putin e della Sig.ra Lvova-Belova vi siano responsabilità di natura penale per l’espulsione illegale e il trasferimento di bambini dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa, in violazione dell’articolo 8(2)(a)(vii) e all’articolo 8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma” (Karim Khan procuratore CPI, Statement, 17 marzo 2023).

Nonostante che a Mosca siano convinti di non essere soggetti alle decisioni della Corte Penale Internazionale (CPI), il suo procuratore generale, Karim Khan, ha sostenuto che Vladimir Putin potrà essere processato così come lo furono i criminali di guerra nazisti e l’ex presidente serbo Slobodan Milošević. “Tutti loro erano individui potenti eppure si sono trovati nelle aule dei tribunali” ha dichiarato Khan alla CNN. Intanto Putin è indagato per due crimini di guerra molto gravi e rischia dai quindici ai vent’anni di carcere: deportazione, trasferimento o detenzione illegale di popolazione civile (bambini) e trasferimento, diretto o indiretto, per opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione e il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio (Statuto di Roma, 1998).

Il ragionamento parrebbe lineare. Fuori dall’Italia si discute intorno ai risultati della Commissione indipendente ONU sui crimini in Ucraina, che potrebbero portare all’incriminazione di Putin (e altri) per l’ipotesi di genocidio, reato scivoloso e di difficilissima verifica processuale. Fino a sentenza Putin è innocente, anche per lui vale la presunzione di non colpevolezza. La Corte Penale Internazionale, nata non tanti anni fa, si muove su quattro gruppi di reati: crimini di guerra, contro l’umanità, genocidio e aggressione (in fieri). E si discute del reato di aggressione internazionale: tribunale ad hoc, ibrido, CPI. Chissà.

Nel nostro Paese, no. Si discute di altro. Viviamo in Italì e si capisce. Il mandato di arresto della CPI per Putin qua solleva dubbi sovrani: e Blair e Bush? E l’Afghanistan? Ci sono guerre di serie A? E altre di serie B? E via dicendo. In Italì si confondono sempre i piani: il diritto nazionale e quello internazionale. Per quest’ultimo, le fonti sono i trattati e la consuetudine. Non la legge. Tanti nel passato e ancora oggi hanno chiesto e chiedono una legge superiore, una Grundnorm internazionale: Kant, Kelsen, Ferrajoli e altri. Giusnaturalisti e normativisti uniti nella lotta – quasi da non credere! Certo, sarebbe la via maestra, ma ancora i tempi non sono maturi.

Il problema, o meglio l’ostacolo, è il principio di legittimità in mano agli Stati nazionali e sovrani. Per questa ragione la fonte principale del diritto internazionale resta il trattato, un accordo sovranazionale, appunto. Per un magistrato della CPI immagino sia una bestemmia mescolare diritto e politica. Però, non ci sono altre possibilità. Oggi. Infatti, i giudici della CPI per andare avanti hanno chiesto “collaborazione internazionale” (CPI, Statement, 17 marzo). Anche la forza legale è ancora saldamente in mano agli Stati nazionali, non alla comunità internazionale che possiede solo i mitici Caschi Blu, destinati ad altri scopi, di interposizione, preventivi e umanitari.

Lo Statuto di Roma, fonte della CPI, è stato ratificato da cento ventitré Stati, tra essi mancano all’appello Stati come India, Usa, Cina, Pakistan, Iran, e ovviamente la Russia. Chi desidera vedere alla sbarra tutti i criminali di guerra, dovrebbe allo stesso tempo chiedere la lenta dissoluzione dello Stato nazionale, almeno nella parte del monopolio della forza legale. Una devoluzione ragionata e programmata, senza attendere catastrofi “naturali”, come la guerra, che da sempre spingono l’umanità alla solidarietà, anche giuridica, internazionale. Sempre dopo, però. Oggi la CPI non ha possibilità con il diritto di raggiungere tutti. Glielo impedisce proprio il suo principale alleato: la politica.

Intanto festeggiamo con cautela il mandato di cattura per Putin, che significa solo imputazione. È già un risultato gigantesco. Inaspettato. E ora quali saranno gli sviluppi?

2. La Corte Penale Internazionale e il suo modus operandi.

In seguito al mandato di arresto spiccato (linguaggio giuridico corrente) dalla CPI nei confronti di Putin, bisogna considerare alcuni elementi strutturali del diritto penale internazionale. Il procedimento non è contro un governo o uno Stato ma contro una persona fisica e non è consentito il processo in contumacia; gli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma sono obbligati ad arrestare Putin; quelli che non hanno ratificato lo Statuto, obbligati non sono ma ne hanno facoltà; la Corte ha una competenza supplementare, sostitutiva alla giustizia penale degli Stati nazionali.

Alcuni giuristi sostengono che il diritto internazionale (pubblico, penale, processuale e via dicendo) non sia in verità un diritto con tutte le cosine in regola: l’uso della forza legale e il suo monopolio, l’anarchia formale a livello internazionale, le stesse fonti del diritto, l’assenza di un criterio certo di normativismo costituzionale, sono elementi che pongono il diritto internazionale a un livello di interpretazione difficile da risolvere con i parametri classici.

Ci sono poi le stranezze. Alla CPI è giunto un plauso da tutto il mondo dei cento ventitré, ma con qualche distinguo: quelli di cui si parla sarebbero crimini di guerra vecchio stampo (crimina iuris gentium), la sostanza sarebbe invece nel reato di aggressione internazionale. Così facendo però, come nel gioco dell’oca, si torna al punto di partenza. Per il reato di aggressione, infatti, occorre un tribunale ad hoc. La CPI ha una competenza sfumata, non certa – dicono i sostenitori di un tribunale speciale, Germania, Ue e Usa in testa. Gli stessi Usa, che per timore reverenziale e qualche panno sporco da lavare in casa, non hanno ratificato la CPI. Il diritto penale internazionale sembra nato apposta per essere violato dagli egoismi degli Stati nazionali e dai loro governi.

L’accertamento della verità è ancora il più utile degli argomenti per dissipare i dubbi e creare un nuovo modus operandi della comunità internazionale. Il problema, quindi, non è tanto la verità, ma i modi per accertarla. Ed è questo il piano inclinato necessario su cui il diritto penale si sta muovendo: le istruttorie, le indagini, gli equilibri di rito tra accusa e difesa in nome della prudenza giuridica. Il 17 marzo è stato una giornata storica, la giustizia internazionale della CPI si è risvegliata e ha mostrato di avere un ruolo preciso nell’individuare reati di propria competenza senza sbrodolare nella politica della guerra: un percorso lento e senza accelerazioni, passo dopo passo, allargando la propria legittimità sulla base della concretezza dell’azione. Andò così per Slobodan Milošević. Oggi, il mandato di cattura nei confronti di Putin potrebbe diventare la prima pietra di un mondo nuovo, dove, finalmente, sarà il diritto a regolare le relazioni tra gli Stati non più sovrani. Non la forza.

A chi vuole il tutto-subito, andrebbe ricordato il vecchio proverbio: la gatta frettolosa fece i gattini ciechi. Chissà come andrà a finire!

3. L’indipendenza della Corte Penale.

Andiamo avanti. I problemi della CPI non finiscono certo con l’emissione del mandato di cattura. La Corte deve fare i conti con un’immagine internazionale non certo limpida. Non sto qui a riassumere le incomprensioni e le paure tra gli Usa e la Corte, ma se sommassimo gli abitanti dei paesi non firmatari dello Statuto di Roma vedremo che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale non ricade sotto la giurisprudenza della CPI.

Vittorio Emanuele Parsi, autore de Il posto della guerra e il costo della libertà (Bompiani, 2022) ha rilasciato a QN (20 marzo) un’ottima intervista. Putin, la guerra e la Corte Penale Internazionale sono al centro delle sue riflessioni. Dice Parsi: “La corte è un organismo indipendente, come si usa nel mondo libero basato sulla logica della separazione dei poteri”. A mio parere, in questo caso Parsi sbaglia. La CPI ancora non è un organismo giuridico indipendente (o autonomo?). Ha un forte legame biologico e politico con un trattato, lo Statuto di Roma, firmato da un gruppo di Stati nazionali e sovrani, dai quali dipende da molti punti di vista, compresa l’elezione dei giudici da parte dell’Assemblea degli Stati Parte (ASP). Nella comunità internazionale, poi, non esiste un’effettiva adesione al principio di separazione dei poteri: non esiste cioè un potere esecutivo dotato di forza legale, il Consiglio di Sicurezza ONU non lo è, e l’eventuale potere legislativo è un’assemblea di stati sovrani. Si torna ai tempi di Kant, il primo che vide i pericoli dell’anarchia formale nella comunità internazionale all’interno della quale gli individui erano gli Stati sovrani: lo stato di natura originario a un livello diverso.

Il quadro analitico che ho appena tratteggiato, non mi porta certo ad affermare che i giudici della CPI non agiscano in modo indipendente e rispettoso dei principi vigenti e riconosciuti del diritto internazionale. Tutt’altro. La procura (OTP) indaga onorando i principi di indipendenza e prudenza e i giudici delle divisioni giudicanti rispettano le garanzie dell’imputato. Dico però che è un errore di sistema paragonare i valori fondativi del diritto costituzionale degli Stati con l’attuale conformazione della comunità internazionale. Il “diritto delle genti ” di Alberico Gentili, il giurista marchigiano che nel 1598 compilò il primo trattato di diritto internazionale, è un mondo giuridico a parte. Forse, un giorno…

La CPI potrà diventare strutturalmente indipendente con il tempo e l’azione, appoggiandosi alla seconda fonte del diritto internazionale, quella consuetudine che potrebbe dare ai giudici della Corte piena legittimità di iniziativa, e un auspicabile metodo elettivo diverso dall’attuale. Ho ascoltato Nello Scavo in tivù (19 marzo, Che Tempo Che Fa) annunciare la chiusura, da parte della CPI, delle indagini sulla tratta degli esseri umani in Libia. Un’indagine che potrebbe dare fastidio anche qui da noi. Bene. Un’altra prova di indipendenza dei giudici della Corte, non della Corte però.

4. Vecchi problemi.

Ci sono anche altri pericoli per l’affermazione di una giustizia internazionale in cui i soggetti imputabili sono le persone fisiche e non gli Stati o i governi. Ho accennato alla possibilità della creazione di un Tribunale speciale (ad hoc), o ibrido, per il reato di aggressione internazionale. Sono abbastanza convinto che se una via di pace perseguibile può emergere oggi, sarà il diritto penale processuale internazionale a tracciarla. L’incriminazione di Putin può rendere tutto più facile, anche se occorre fare i conti con un’evidente ostilità degli Usa. L’8 marzo il NYT uscì con la notizia che il Pentagono suggeriva all’amministrazione Biden di non collaborare con la CPI. Non bisogna però confondere i crimini di guerra previsti dallo Statuto di Roma con l’ipotesi di un Tribunale speciale per il reato di aggressione internazionale: quest’ultimo è ora un serio ostacolo per l’affermazione di quella giustizia internazionale cui facevo riferimento. Lo Statuto di Roma contiene la previsione di quel crimine, ma il lento processo di legittimità internazionale, necessario a dare competenza alla Corte anche per quel reato, non è ancora terminato. La necessità di giudicare Putin anche per quel reato non deve trasformarsi in una controproducente stortura procedurale: tribunale speciale, dibattimento in absentia dell’imputato, scarsa legittimazione internazionale. Cadere in questo errore porterebbe a quello che sarebbe interpretato come un tribunale di guerra (per di più in corso) attraverso il quale uno schieramento si vendica dell’altro. Parafrasando Von Clausewitz si potrebbe anche affermare, in questo caso, che la giustizia non sarebbe altro che la continuazione della guerra con altri mezzi. Si creerebbe un pericoloso precedente. Meglio aspettare i tempi giusti per portare sotto la competenza piena della CPI anche il reato di aggressione internazionale.

La guerra in Ucraina è uno spartiacque. O nasce il nuovo mondo, o quello attuale andrà a ramengo. In conclusione, ci sono due aspetti di cui si deve tener conto: non si può e non si deve acconsentire a una trattativa con Putin senza chiedere con fermezza effettiva giustizia. Non simbolica o politica giustizia effettiva. Putin ha fatto stragi di popolo: in Cecenia, in Georgia, in Russia. Aver lasciato che questo accadesse è stata anche una nostra responsabilità. Ci siamo semplicemente girati dall’altra parte. Ora basta. Secondo aspetto: bisogna credere in una pace con giustizia. E per me, la via aperta dalla CPI è l’unica possibile per una pace degna di questo nome, che, però rimanda ancora a una “collaborazione internazionale” (CPI, 17 marzo) degli Stati. La strada per la nascita di una vera e solida comunità internazionale è ancora lunga, così come il sogno di Kant per una pace perpetua. Non abbiamo altra scelta che quella di confidare nel lento progresso della civiltà del diritto, e lasciare che Corte Penale Internazionale faccia il suo lavoro con l’obiettivo di portare alla sbarra il presidente russo Vladimir Putin e giudicarlo secondo giustizia. Non ci deluderà.

5. L’immunità di Putin.

Il vicedirettore del Dipartimento Informazione del Ministero degli esteri cinese, Wang Wenbin, il 21 marzo ha dichiarato: “La Corte penale internazionale dovrebbe rispettare l’immunità dei Capi di Stato ai sensi del diritto internazionale ed evitare i doppi standard“. Ecco, il vero rischio che potrebbe mandare in frantumi il mandato di cattura: l’immunità presunta di Putin.

Intanto, questa immunità esiste? Sì e no.

Sì, poiché secondo una norma consuetudinaria unanimemente riconosciuta (consuetudine, fonte del diritto internazionale), che però non è mai stata codificata in una convenzione internazionale, i Capi di Stato, di Governo e i Ministri degli Esteri godono di immunità nell’esercizio delle loro funzioni.

No, poiché nel caso in cui è richiesto l’arresto del Capo di Stato o di Governo da parte della CPI scatta l’art. 27 comma 2 dello Statuto di Roma, che recita: “Le immunità o regole di procedura speciale eventualmente inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto interno o del diritto internazionale non vietano alla Corte di esercitare la sua competenza nei confronti di questa persona”.

E quindi? Quindi, niente. Non è un contrasto di diritto nazionale, non c’è una Cassazione con la sua bella funzione nomofilattica o una Consulta con il suo vaglio di costituzionalità. A livello internazionale c’è ancora e soltanto la forza degli Stati sovrani a fare da giudice. La legge del più forte al posto di un organismo terzo.

C’è forse qualche precedente? Sì, nel caso Prosecutor v. Omar Al-Bashīr (CPI – 4 marzo 2009), accusato di crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio nel Darfur, la CPI stabilì che tutti gli Stati firmatari dello Statuto di Roma dovevano cooperare all’arresto di Al-Bashīr, presidente in carica del Sudan, e che tale obbligo valeva anche per gli Stati non firmatari ma membri del Consiglio di sicurezza ONU. Nel 2015 l’Alta Corte sudafricana ordinò l’arresto di Al-Bashīr presente in Sudafrica per impegni di lavoro, il quale, però, lasciò tranquillamente quel paese ed è a tutt’oggi libero.

È abbastanza chiaro che sul tavolo di un’eventuale trattativa tra Russia e Ucraina con mediatore cinese, è stata piazzata la pre-condizione dell’immunità-impunità di Putin contro l’atto dovuto della Corte Penale Internazionale. Il mandato di arresto contro la trattativa di pace. Ma che pace sarebbe senza un’adeguata giustizia?

6. Conclusioni

Il mandato di cattura per Putin è stato consegnato all’Interpol che poi dovrà diramarlo alle polizie di tutto il mondo, anche quelle di Paesi non aderenti alla CPI, che hanno comunque la facoltà di eseguire l’arresto in qualsiasi momento. Il 20 marzo si sono riuniti a Londra i ministri di giustizia di numerosi Paesi, tra cui l’Italia, per discutere di un maggiore sostegno alla Corte Penale Internazionale. Nel frattempo, in Russia è stato aperto un procedimento penale contro il procuratore della CPI, Karim Khan, e i giudici che hanno emesso il mandato. Il procuratore capo e i giudici sono accusati di “preparare un attacco a un rappresentante di uno Stato straniero che gode di protezione internazionale, al fine di complicare le relazioni internazionali”.

Il 15 marzo, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta, nata per indagare sulle denunce di violazioni e abusi dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, e dei crimini relativi nel contesto dell’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, ha concluso i lavori. Nel sommario del rapporto conclusivo si legge: “Le prove raccolte dimostrano che le autorità russe hanno commesso un’ampia gamma di violazioni del diritto internazionale dei diritti umani, e del diritto internazionale umanitario, in molte regioni dell’Ucraina e nella Federazione Russa. Molte di queste costituiscono crimini di guerra e includono uccisioni intenzionali, attacchi ai civili, confinamenti illegali, torture, stupri e trasferimenti e deportazioni forzate di bambini. La Commissione ha concluso che le forze armate russe hanno effettuato attacchi con armi esplosive in aree popolate, con un palese disprezzo per i danni e le sofferenze dei civili. Ha documentato attacchi indiscriminati e sproporzionati e la mancata adozione di precauzioni, in violazione del diritto umanitario internazionale.”

Il diritto si è risvegliato, e su questo non ci sono dubbi. Il diritto internazionale è però ancora oggetto a prove di forza particolari, conseguenza diretta della trama complicata di relazioni diplomatiche nelle politiche tra gli Stati nazionali. Una traccia che ancora non ha consentito un passo in avanti alle relazioni tra i popoli. La complessità della globalizzazione è resa ancora più evidente dalla debole trama del diritto internazionale, in assenza di cogenza e di legittimità riconosciuta. È in quest’ambito che la riflessione sui “crimini di sistema” di Luigi Ferrajoli prende spunto. Nel suo libro “Per la costituzione della Terra” (Feltrinelli, 2022) definisce la natura giuridica di questi reati con “il carattere indeterminato e indeterminabile sia dell’azione sia dell’evento, di solito catastrofico, e il carattere indeterminato e plurisoggettivo sia dei loro autori sia delle loro vittime, consistenti queste, di solito, in popoli interi e talora nell’intera umanità”.

I crimini di sistema sono i più pericolosi per l’umanità: corsa agli armamenti, devastazioni ambientali, morti per fame, malattie, violazioni delle libertà fondamentali, sfruttamento selvaggio del lavoro, negazioni dei diritti fondamentali come il diritto a emigrare e il diritto alla salute. E, infine, le pandemie, gli squilibri con la natura. I cambiamenti climatici. È necessario, per Ferrajoli, configurare questi reati non a livello nazionale, ma globale, partendo, realisticamente, dalla profonda crisi dello Stato sovrano e dalla sua proiezione in una nuova dimensione giuridica costituzionale.

Anche perché, seppure in molti fatichiamo ad accorgercene, lo Stato nazionale ha terminato la sua spinta giuridica. La Commissione indipendente ONU sopra richiamata ha concluso il suo rapporto con questa frase: “Infine, la Commissione raccomanda che tutte le violazioni e i crimini siano indagati e che i responsabili siano chiamati a risponderne, sia a livello nazionale che internazionale. Chiede un approccio globale alla responsabilità che includa sia la responsabilità penale che il diritto delle vittime alla verità, alla riparazione e alla garanzia della non ripetizione”.

Una frase in cui è sintetizzato il passato, il presente e il futuro della giustizia internazionale.

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