Il cosiddetto “Summit per la pace in Ucraina”, che si è svolto in Svizzera il 15 e il 16 giugno, si è manifestato esternamente come una riunione di alleati di Kiev. Non è stato un summit per la pace ma per la guerra. Neanche è inquadrabile come strumento del diritto bellico, piuttosto come una prova di forza della propaganda alleata.
Bisogna dunque dare ragione alla Cina (o chi per lei), quando afferma che la conferenza di pace da tenere sulla guerra in Ucraina deve poggiare sul “riconoscimento dell’iniziativa da entrambe le parti” in conflitto, sulla “parità di partecipazione di tutte le parti” coinvolte e sulla “discussione equa di tutti i piani di pace” disponibili. La stessa richiesta arriva anche da Berlino.
Occorre riconoscere che quella cinese è la descrizione di un vero negoziato di pace, strumento del diritto internazionale dei conflitti armati. Uno strumento importante, preceduto, questo sì, da pre-negoziati per fissare un cessate-il-fuoco propedeutico al negoziato, che a sua volta è un piccolo trattato di diritto bellico. Ha ragione allora la Presidente della Svizzera, Viola Ahmerd, a dire che il suo Paese non sarebbe obbligato ad arrestare il presidente russo, Vladimir Putin, in ottemperanza al mandato internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale: “Se la presenza di Putin è necessaria per tenere la conferenza, allora si può fare un’eccezione. Nel caso dei negoziati di pace in Ucraina con la Russia, questa può essere un’eccezione”. Prima è meglio chiudere il capitolo della guerra, poi si passerà alla giustizia internazionale. Se è questa la volontà degli alleati di Kiev. Per Milosevic andò così!
Questa vicenda ci rimanda alle origini del diritto internazionale moderno, quando una serie di rapporti giuridici, qualificabili come relazioni di diritto internazionale, erano materia esclusiva di quattro soggetti principali: l’Impero d’Occidente, il Papato, l’Impero bizantino e l’Islam. Intorno all’anno Mille i rapporti tra questi soggetti si svolsero in forme prevalentemente consuetudinarie. Le sole basi normative davvero internazionali, di matrice giusnaturalistica, perché superiori agli Stati, erano quelle dei testi sacri delle religioni monoteistiche, i due Testamenti e il Corano. I piani sui quali questa tematica poteva essere esaminata erano molteplici: l’idea antica, ripresa dai Padri della Chiesa e da Agostino, di guerra giusta (ius ad bellum); le consuetudini sulle procedure di avvio delle guerre, di gestione dei prigionieri e di salvaguardia dei legati e degli ambasciatori.
Infine, un ultimo elemento di rilievo è la coesistenza di più etnie entro un medesimo ordinamento giuridico, che costituiva un profilo essenziale del diritto nell’alto medioevo. Se era da considerare inappropriato un concetto monolitico di identità di un popolo, dall’altro lato l’etnogenesi di stirpe non poteva essere negata per questi secoli, che bui dal punto di vista del diritto proprio non erano. È naturale notare le similitudini tra il diritto internazionale dell’anno Mille e quello di oggi.
Nonostante i continui richiami al diritto internazionale contenuti nel documento finale, il Summit per la Pace in Ucraina, appartiene, tuttavia, alla dottrina delle relazioni internazionali (la diplomazia). E non può essere considerato, abbiamo poc’anzi detto, un elemento del diritto internazionale bellico (jus in bello). Non è un negoziato, o un pre-negoziato, al quale si arriva dopo un cessate-il-fuoco o con un armistizio. Il Summit rimanda perciò a una seconda riunione da tenere in tempi brevi – chissà – per definire un piano di pace da presentare ai rappresentanti russi. Anche in questa forma, però, potrà al massimo essere considerato dalla comunità globale come un pre-negoziato.
Quello internazionale, com’è riconosciuto da molti teorici di tutte le principali scuole del diritto (giuspositivista, giunaturalista, giusrealista), è un ordinamento giuridico primitivo (accezione neutrale, descrittiva): un diritto in “statu nascendi”, basato sull’autotutela e la vendetta e sul rispetto volontario di alcuni principi fondamentali contenuti nel diritto pattizio, come la Carta ONU.
Nella filosofia della vendetta giuridica si possono evidenziare tre elementi. Il primo è che gli ordinamenti sociali presentano già le caratteristiche essenziali del diritto; il secondo è che la vendetta non è una reazione istintiva di difesa, ma una dimensione strutturalmente sociale; il terzo elemento è che non c’è coincidenza tra il momento della nascita dei tribunali e il superamento dell’autotutela.
Bisogna considerare l’attuale comunità internazionale come un coacervo di ordinamenti giuridici, il più delle volte antagonisti e contrapposti tra loro, o comunque dotati vite parallele. Non esiste a livello internazionale un principio piramidale di legalità. Ecco alcuni esempi del bosco di ordinamenti presenti e attivi: ONU, Consiglio d’Europa, Unione africana, Brics, Unione Europea, Unione delle nazioni sudamericane, Ocse, Nato, ASEAN, Convenzioni internazionali su tematiche le più varie. L’elenco potrebbe proseguire a lungo. La considerazione finale, molto più che una semplice ipotesi, è che ci troviamo di fronte, per usare un ossimoro, a un ordinamento complesso con caratteristiche di anarchia organizzata. L’evoluzione delle procedure di applicazione del diritto è alla base dello “status nascendi”, ma ogni altra opinione circa l’esistenza del fatto illecito così com’è determinato dall’ordinamento giuridico, è ancora irrilevante da molti punti di vista. L’autotutela, infatti, regna sovrana.
La centralizzazione delle procedure di applicazione del diritto precede cronologicamente la corrispettiva centralizzazione delle procedure di creazione del diritto. Il processo consuetudinario è rimasto per migliaia di anni, e lo è ancora, l’unico modello di creazione delle norme giuridiche generali. Il concetto di diritto in “statu nascendi” è dunque programmatico, una tendenza all’infinito, non un reale progetto di elaborazione di un vero Stato Globale, la Cosmopolis tanto sognata da autori come Kant e dai giuspositivisti del secolo scorso.
È comunque interessante il richiamo nel documento finale del Summit svizzero alla sicurezza nucleare, alimentare e ai prigionieri, inclusi i bambini ucraini deportati: tutte questioni, queste, che rimandano a convenzioni internazionali e al diritto umanitario classico.
Da qualche porta, alla fine, bisognerà uscire, ma la strada appare ancora molto lunga. Senza l’aiuto di quel poco di diritto internazionale dotato di validità, si rischiano altri anni di guerra, con conseguenze imprevedibili. Il primo passo è necessariamente un cessate-il-fuoco. Attenzione però, la vendetta è un aspetto sociale tutelato dalla comunità internazionale dagli anni dell’alto Medioevo a oggi, e si concentra su due aspetti giuridici del diritto bellico: l’illecito e la sanzione. Da questa considerazione si dovrà partire per tracciare il percorso di un difficilissimo negoziato tra Ucraina e Russia.