Quindicimila in marcia contro la Manovra del governo, quindicimila in cerca di una casa politica che li possa accogliere. La manifestazione della Cgil reggiana di martedì mattina ha riscontrato un grandissimo successo di partecipazione, tanto che nei numeri la mancanza di Cisl e Uil non si è sentita. Ma è una vittoria, quella della Cgil, che contiene anche degli aspetti di collaterali, politici, tutti da approfondire.
Il sindacato si è mosso contro una Manovra ancora non definita e su cui c’è stato un penoso dibattito lungo diversi giorni all’interno dello stesso Governo. Il risultato finale sembra scontentare tutti, dai rappresentanti dei lavoratori a quelli dei datori di lavoro, il che paradossalmente potrebbe anche essere un interessante elemento di rottura. Non dovrebbe quindi stupire che i lavoratori si siano riversati in piazza in massa per esprimersi, attraverso la forma consuetudinaria dello sciopero, contro misure impopolari che lo stesso Presidente della Repubblica ha bollato come inefficaci. I quindicimila sotto la pioggia hanno dato una prova di partecipazione democratica inequivocabile.
Di certo, lamentano le altre sigle sindacali, non si capisce uno sciopero promosso da una sola confederazione in un momento in cui i contenuti della manovra contro cui si protestava non erano ancora stati definiti. Dal centrodestra di governo, come accade in verità ad ogni manifestazione di questo tipo, si è bollato lo sciopero come inutile. Sarebbe inutile anche un sindacato che firma qualsiasi cosa gli si propone, modello che sembra essere nei sogni del Ministro Sacconi e compagnia dai lontani anni ’70. Ma al di là della polemica striminzita di questi giorni, tra un governo alle corde da mesi e parti sociali mai così inferocite, restano sul tavolo una polemica irrisolta e un fatto politico.
Partiamo da quest’ultimo: la Cgil sta svolgendo un ruolo di supplenza politica rispetto alla carenza di rappresentatività dei partiti di sinistra nei confronti del loro elettorato. Non si tratta di un ragionamento da vecchio padronato monarchico ma di una semplice constatazione rispetto all’aria che tirava in piazza martedì mattina. Quella a cui abbiamo assistito era ben più di una manifestazione sindacale in senso stretto. Non c’era un contratto in ballo, o la chiusura di una azienda: i quindicimila hanno sfilato su un campo più propriamente politico. Se ciò sia un bene o un male, dovrebbe essere dato di riflessione per il sindacato stesso e per i suoi iscritti.
Su questa metamorfosi della Cgil, dicono tutto le parole dell’oratore principale della manifestazione reggiana, il segretario generale della Flc Domenico Pantaleo: “Cisl e Uil dovevano essere qui con noi. Non si puo’ dire che la Cgil porta in piazza la politica quando poi nelle segrete stanze si fanno gli accordi con Sacconi. Se non si cancella l’articolo 8 della manovra, il compromesso raggiunto a fatica lo scorso 28 giugno e’ stracciato. E’ solo l’inizio di una lunga fase di mobilitazione che avrà come obiettivo centrale quello di rendere il Paese più uguale, più libero e più coeso”.
La polemica irrisolta è tutta interna alla Cgil e riguarda la dinamica tra segreteria generale e Fiom. Un delegato aziendale dei metalmeccanici intervenuto sul palco martedì mattina, ha criticato in modo esplicito la segretaria Susanna Camusso, ottenendo dalla piazza diversi applausi. La Fiom si pone come avanguardia dei “duri e puri” in un sindacato in cui, finita l’era Epifani, molti pensavano che la linea si sarebbe ammorbidita. E’ sembrato un segnale in questo senso la firma della Cgil all’accordo con Confindustria su contratti e rappresentanza sindacale dello scorso 28 giugno. La Fiom non ha perdonato alla Camusso questa mossa, secondo alcuni dettata dalla volontà di ritornare al tavolo delle trattative insieme a Cisl e Uil dopo mesi di opposizione dura e solitaria alla linea del Governo. Un sindacato afflitto al suo interno da una polemica di questo tipo, può rappresentare con efficacia le istanze dei suoi iscritti?