Tutte le donne del Presidente su sfondo fiorentino

Il premier Matteo Renzi entra a gamba tesa negli schemi già prefissati (con discussioni, confronti e fatica) del Pd regionale e “propone” la fedelissima Simona Bonafè (renziana della prim'ora), in testa alla  A due giorni di distanza, non è più una notizia, ma un campanello sì. D'allarme? Chissà. Sta di fatto, che Simona Bonafè, uno dei volti più noti al pubblico, almeno fino all'entrata prepotente di Maria Elena Boschi nell'immaginario italico televisivo, viene promossa e allontanata: cinque anni a Bruxelles, e poi si vedrà. La fedelissima di Renzi non batte ciglio sotto i flash, e rivolta alla Bramerini, assessore regionale cui era stato “dedicata” la pole position e che compie disciplinatamente il prevedibile passo indietro dice: “Un grande grazie”. D'altro canto, il premier, col blitz che ha imposto Bonafè a capo di lista, non ha fatto altro che rispettare e far rispettare i requisiti che lui stesso aveva dettato per le liste europee del Pd: capofila donna, conosciuta, e con “faccia televisiva”. Dunque, non c'è da discutere: Bramerini risponde ai primi due requisti, ma al terzo no. Bonafè, invece, è perfetta. Ma il campanello, assicura qualcuno dalle fila renziane, suona. E se non si tratta di un vero e proprio allarme, tuttavia è foriero di qualcosa che si sta consumando fra le donne che attorniano il presidente.

La logica che scorre dietro alle decisioni e ai blitz del Granduca, come ormai i fiorentini chiamano Renzi, potrebbe infatti avere a che fare proprio con le donne. O, per essere precisi, con la Triade, come graziosamente proprio qualcuno dei suoi ha ribattezzato le tre B: Boschi, Biagiotti e Bonafè, le tre coordinatrici della campagna di Matteo Renzi per le primarie del centrosinistra del 2012. Niente di strano, in realtà: si tratta semplicemente del solito problema nella distribuzione dei ruoli che occorre a qualsiasi leader vincente rispetto agli uomini (pardon, donne) di staff.
Il kommando delle tre B si costituisce infatti nelle primarie contro Bersani: tre donne diverse, di provenienze diverse, che si uniscono su un punto comune e indiscutibile, vale a dire Matteo Renzi. A percorsi diversi corrispondono caratteristiche diverse: Simona Bonafè proviene come il premier dall'ambito Margherita-Popolari, si porta dietro nonostante la giovane età (è del 1973) una certa esperienza politica, ha ricoperto anche il ruolo di assessore all'ambiente nel Comune di Scandicci, è donna di partito, conosce e frequenta i circoli e gli elettori. Nell'avventura renziana parte per prima, è in tutti i talk show,  si mostra spigliata e capace di sostenere confronti anche accesi. E' capace, determinata, graziosa. Sembra la stella di prima grandezza del firmamento granducale, ma qualcosa a un certo punto si rompe. Un'altra stella sorge, una collega della Triade ormai sciolta che mette la freccia e in poco tempo ruba luce e spazio all'ex- assessore, accentra i riflettori e infine riceve la chiamata a ministro. Ed è Maria Elena Boschi. Ma da dove arriva? Storia completamente diversa dalla Bonafè, Boschi (nata nel 1981)  non conosce circoli di partito, militanza, stress da amministratore pubblico: giunge dritta dritta dallo studio di Francesco Bonifazi, parlamentare in questo momento, capogruppo del Pd per qualche anno in assemblea consiliare fiorentina, segue Matteo quando questi spicca il volo romano. E nella sua scia, la Boschi cresce, sin dal momento in cui, nelle “prime”  primarie (2009) entrambi furono inseriti nello staff del “riformista” Michele Ventura. Un'avventura, quella di Ventura, che si stoppò subito davanti al successo di Renzi (che passò con il 40,5%, Ventura arrivò quarto, 12,4%) , ma che servì a Bonifazi e dunque Boschi  per essere “assunti” nel gruppo, allora ancora in caccia di talenti, renziano. Così, dopo qualche tempo di maturazione al seguito di Bonifazi e dunque Renzi, la Boschi (riconosciuta “secchiona” della classe) mette a frutto le sue conoscenze giuridiche riuscendo con un colpo da maestro a risolvere una delicata questione che riguarda le partecipate. Rotto il giaccio, il suo percorso si fa inarrestabile. Infine, Sara Biagiotti, classe 1970. Eccola, la donna di partito, che nasce politicamente a Sesto Fiorentino, dove segue la trafila del Pd vecchia maniera-radice Ds, passo per passo, incarico su incarico, fino allo scontro con il sindaco di Sesto, Gianassi. Biagiotti si presenta la prima volta (2004) nella circoscrizione di Sesto per le elezioni provinciali e vince senza preoccupazioni. Il litigio con Gianassi  parrebbe metterla su una china pericolosa, ma non è così: si avvicina a Matteo Renzi e alle elezioni successive (2009) si ripresenta questa volta a Firenze, in un collegio “difficile” per il Pd, il XIV (Careggi-Castello) e, in buona parte con l'aiuto della componente non Ds del partito, ce la fa. Grande organizzatrice, qualcuno le imputa scarsa flessibilità, tanto da addossarle in buona parte la responsabilità, in veste di assessore allo sviluppo economico del comune di Firenze, dell'acuirsi delle tensioni nella questione “San Lorenzo” che continua a procurare grattacapi (e spintoni) al reggente Dario Nardella candidato a sindaco.

Se questo è il quadro, nel momento in cui comincia l'avventura romana, è tempo, per il “Granduca” di assegnazione di ruoli. Per quanto riguarda Sara Biagiotti, per ora viene proposta alla poltrona di sindaco di Sesto Fiorentino. Poco? Dipende. Soprattutto, come mormora qualcuno, visto che la “poltrona” le giunge “aggratis”, superando d'un balzo primarie e altre infide diavolerie del genere.
Dunque, la vera battaglia è ora fra le altre due B. B., ma Renzi è rapido e decisionista: Maria Elena Boschi, smentendo i fan della Bonafè, diventa ministro. E Simona? Un po' ingrugnata rimane “solo” in Parlamento, ma è troppo nota per non approfittare, secondo la logica renziana, della sua “faccia televisiva”. E, aggiungono i suoi sostenitori, troppo brava per restare nelle retrovie. Lo sa anche il Granduca, che con l'ultima mossa a sorpresa la mette capolista alle europee nella Circoscrizione Italia centrale: per la prima volta una donna e una toscana a ricoprire quel ruolo. In più, anche cinque anni “aggratis” a farsi le ossa a Bruxelles. Cosa c'è di meglio? Bonafè ringrazia.

Ma non è finita. Lasciando stare le due “giannizzere” che con le loro competenze e capacità hanno sempre coperto le spalle a Matteo Renzi nella sua fase fiorentina, vale a dire Stefania Saccardi, ora vicepresidente regionale dopo che Rossi per far posto ha fatto fuori Stella Targetti e altri assessori, e Elisabetta Meucci, irrinunciabile assessore all'urbanistica punto obbligato di mediazione su un tema così fondamentale come l'aspetto futuro della città, l'”andata” di Bonafè in Europa potrebbe rimettere in gioco Tea Albini, prima dei non eletti, non propriamente renziana, già in partenza per Roma con la rinuncia di Dario Nardella, ancora non consumata. Secondo dei non eletti, Becattini.

Ma chi di donne ferisce …. E' pronta, e in questi giorni ha rilasciato dichiarazioni senza ombra di dubbio bellicose, la cugina di Matteo Renzi, Elisa Simoni, ex-assessore provinciale al lavoro, un passato di assessore comunale in giunta Auzzi a Incisa, appartenenza componente Ds, che sia su Repubblica (pagina nazionale) che su Libero non ha fatto mistero di voler ripartire dalla sinistra. Quale sinistra? Quella che il premier ha, secondo Simoni, “occupato”. Cosa significa? “Che il premier segretario “occupa” anche il nostro spazio”. Stando alle sue dichiarazioni, il Granduca ha un problema: quello della classe dirigente. Cosa vuol dire? Che i suoi uomini, sul territorio, non sono forti come lui. Anzi. E allora? La sinistra interna del Pd, d'altro canto, ragiona Simoni, è per il momento solo un'accozzaglia di correnti che non svolge alcuna funzione. Allora? Bisogna cambiare, dice l'ex-assessore, musica e musicanti. Insomma, chi di donne ferisce, di donne …. 

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