Turismo internazionale, da volano di sviluppo a fattore di crisi, Di Carlo: “Va governato”

Dal 2009 i servizi turistici hanno stabilizzato le economie del Sud Europa
Santa Croce (FI) 27 06 2020 – ©Foto:Sandro Bedessi . www.archiviofotobedessi.it

Turismo, ovvero: benedizione o maledizione? All’arduo quesito ha tentato di dare risposta l’Irpet, con un seminario, tenutosi il 24 novembre scorso, dove il focus della tematica era incentrato sull’approfondimento presentato da Donato Di Carlo, docente di economia politica comparata e politiche pubbliche alla LUISS. Al tavolo con Di Carlo, Mara Manente, consigliera del Touring Club e a lungo presidente del Ciset. e, in rappresentanza dell’Irpet, il consigliere Enrico Conti, ricercatore esperto del tema. A moderare e fare gli onori di casa, Sabrina Iommi, responsabile del settore locale sviluppo, turismo e cultura dell’Irpet. Trasparente il titolo dell’incontro (e dell’intervento di Di Carlo) ,Benedizione o maledizione? Il turismo come volano di crescita nell’Europa meridionale.

Il turismo ha giocato sicuramente un ruolo importante nella stabilizzazione delle economie dell’Europa meridionale, ma la specializzazione nell’offerta dei servizi ha un impatto non solo positivo che va indagato nei suoi vari aspetti. La ricerca ha affrontato questa tematica partendo dalla comparazione delle economie europee, enucleando tre forme di mercato, come spiega il professor Di Carlo: economie di mercato coordinate come la Germania, economie di mercato liberali come la Gran Bretagna, ed economie di mercato miste, con un forte ruolo di coordinamento e direttivo dello Stato, come ad esempio l’Italia. Accanto a questo approccio, è cresciuto anche un altro tipo di analisi che fa riferimento in prevalenza alla domanda aggregata, che riguarda i driver principali dello sviluppo, enucleando modelli trainati dall’esportazione o modelli trainati dai consumi interni.

Il ruolo dell’euro è stato poi indagato in relazione ai vari modelli di capitalismo. Secondo alcuni autori, come ricorda il professor Di Carlo, l’unità monetaria gioca un ruolo positivo proteggendo i Paesi proprio attraverso la diversità dei vari modelli capitalisti, diversità che per esempio impedirà l’avvenire di una crisi per tutti uguale, permettendo il funzionamento di un modello di mutua cooperazione; dall’altro, altri autori sostengono che la moneta unica abbia penalizzato proprio i mercati misti del Sud Europa, dal momento che spingono i modelli verso la crescita export-led, ovvero verso un modello di sviluppo che ha al suo centro le esportazioni, che indurrebbero a un ciclo virtuoso di crescita.

“Possiamo osservare tuttavia, che , se la moneta unica europea ha condotto verso il modello di crescita export-led, ovvero trainato dalle esportazioni”, dice Di Carlo, i modelli non sono comunque omogenei, dal momento che il mercato tedesco ha puntato sui beni manifatturieri, mentre i paesi del Nord Europa si sono specializzati sull’export di servizi professionali ad alto valore aggiunto e alta tecnologia. “Purtroppo, i mercati meridionali europei hanno visto la specializzazione verso modelli export-led trainati dall’esportazione di servizi turistici internazionali”.

Un processo favorito sia dall’integrazione politica che monetaria, che ha sostenuto in Europa l’espansione dell’industria turistica, un trend invero in espansione a livello globale, ma che all’interno dell’area europea è stato favorito da fattori specifici.

“Il Sud Europa ha sfruttato il proprio vantaggio comparato nel turismo, cresciuto in maniera esponenziale per quanto riguarda l’export di servizi turistici internazionali, assolvendo al ruolo di parziale motore di crescita e occupazione, in seguito alla crisi del 2009. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda i flussi turistici dal Nord Europa verso il Sud Europa”. Il flusso di viaggiatori dal nord Europa proviene in buona parte dalla cosiddetta Emu-core europea, ovvero Austria, Belgio, Francia, Germania, Olanda.

Tirando le fila, il ruolo del turismo internazionale può essere giudicato parzialmente positivo, come spiega Di Carlo, in quanto “ha sostituito la mancanza di crescita nella seconda decade dell’euro”. Tuttavia, “il turismo non può essere il modo per risolvere i problemi strutturali dell’economia del sud Europa, e soprattutto, seppur parzialmente positiva, questa espansione del turismo deve essere governata per renderla sostenibile da vari punti di vista, da quello sociale a quello ambientale”.

Ad un’analisi storica dei modelli capitalistici del sud Europa, considerando Spagna, Grecia, Italia e Portogallo, emerge che in letteratura vengono definiti “mixed economy”, ovvero forme di mercato miste, con un ruolo fortemente interventista dello Stato. “Si tratta di economie che storicamente hanno perseguito una strategia produttiva basata sulla concorrenza di prezzo, piuttosto che di qualità e innovazione tecnologica. Spesso hanno fatto ricorso alla svalutazione competitiva come strumento di compensazione per la politica fiscale e salariale espansiva”, spiega Di Carlo. Per fare esempi concreti, pensiamo all’Italia negli anni ’80 e nel decennio prima di Maastricht.

Una strategia di crescita economica che è stata messa in discussione dal processo di integrazione economica, ma soprattutto monetaria europea. “Alla fine degli anni ’90, queste economie si sono trovate in forte difficoltà, dal momento che, entrate nell’euro, si sono trovate di fronte ad alcuni paletti. Intanto, la moneta unica impedisce de iure le svalutazioni competitive, mentre il patto di stabilità impedisce di fatto una fiscalità anticiclica, su cui questi Paesi avevano fatto affidamento nei decenni precedenti”.

La conseguenza di questo stato di cose, è che i paesi del sud Europa si sono ritrovati con modelli economici troppo regolamentati e costosi, per competere con successo sul prezzo rispetto alle economie di nuova industrializzazione, dal Nord Africa all’Asia a tutti i Paesi che sono entrati nel circuito della nuova competizione e produzione globale. “Allo stesso tempo – continua Di Carlo – si sono trovati strutturalmente troppo deboli e senza le precondizioni istituzionali per competere in attività con più alto valore aggiunto e alto contenuto tecnologico come, ad esempio, i paesi del nord Europa”.

Il primo decennio dell’euro è trascorso in una sorta di luna di miele, se così si può dire: “C’è stata una crescita trainata dai consumi, alimentata dal credito e dalle bolle immobiliari – ricorda il docente – in larga parte del sud Europa, favorita dall’unione tossica di questi diversi modelli di capitalismo presenti all’interno del sistema monetario unico europeo, dove flussi di capitali in eccesso derivanti dalle economie export-led del nord Europa, hanno finanziato i consumi e il settore immobiliare nel sud Europa, fino alla crisi e allo stop improvviso di questi flussi di capitali all’interno dell’euro. Quello che è successo in seguito è storia nota. Sono state attuate politiche di austerità e svalutazione interna, che hanno avuto lo scopo di rettificare i disavanzi commerciali dei paesi del sud Europa che erano stati cumulati durante il primo decennio dell’euro, allo scopo di favorire un aggiustamento economico con una crescita di export-led”. Alcuni autori a questo proposito hanno parlato di un’economia del sud Europa che si è spostata strutturalmente su un modello trainato dalle esportazioni anche a causa della nuova governance economica europea che ha portato austerità e svalutazioni interne, deprimendo quindi i driver della domanda interna”.

In questo contesto, l’analisi del turismo internazionale come modello di crescita export-led si fa interessante. Il commercio di servizi turistici consente di trattare i viaggiatori come merci. “La differenza sostanziale fra l’esportazione di merci e quella di servizi turistici è che non sono le merci a muoversi fra i paesi, ma sono i viaggiatori che si spostano fisicamente fra giurisdizioni nazionali per acquisire servizi turistici. Dal punto di vista della funzione della domanda aggregata, è chiaro che, tralasciando il ruolo del turismo domestico che non è oggetto della discussione, il turismo internazionale ha un contributo positivo rispetto alla crescita del Pil, quando le entrate dal turismo in arrivo (quindi le esportazioni di servizi turistici) sono maggiori rispetto al turismo in uscita (quindi di importazioni di servizi turistici, nel nostro caso di italiani che fanno viaggi all’estero)”. L’esplosione del turismo internazionale dagli anni ’70 in poi, vede l’Europa leader fra i paesi meta dei turisti a livello mondiale. Secondo gli ultimi dati, dal 2022 l’Unione Europea pesa per circa il 60% di tutti gli arrivi internazionali del turismo a livello mondiale. L’Europa del sud pesa per almeno il 20% di tutto il mercato di turismo globale. Il turismo, voce spesso sottovalutata nelle analisi economiche e nei bilanci, si afferma invece come voce importantissima soprattutto per le economie del sud Europa, che sono leader mondiali in termini di arrivi di turisti internazionali.

“L’integrazione economica e monetaria europea ha favorito questa espansione di turismo internazionale all’interno dell’UE- ribadisce Di Carlo – grazie alla libera circolazione delle persone alla creazione del mercato unico e alla liberalizzazione dei mercati del trasporto aereo, che in precedenza erano protetti, e che ha permesso la proliferazione di compagnie low cost, che hanno permesso l’espansione ulteriore del turismo internazionale e anche grazie al fatto che la moneta unica ha eliminato i costi di transazione”.

Dopo la crisi finanziaria del 2009 dunque, la nuova governance economica europea ha indotto una convergenza strutturale verso la crescita export-led. Questa crescita è stata sostenuta, in particolare nell’Europa del sud, dall’espansione del turismo internazionale. A un’analisi comparata, il decennio 1999-2007, ha visto la crescita dei consumi privati affermarsi come uno dei maggiori driver della crescita del Pil in tutti i paesi del sud Europa. Ma dopo la crisi del 2009, lo scenario cambia. “La crescita diventa fortemente trainata dalle esportazioni nette – dice Di Carlo – questo è un dato ricorrente per tutti i paesi del sud Europa, meno per l’Italia rispetto a Portogallo, Grecia e Spagna”, ma anche per il nostro Paese è evidente, nel periodo 2008- 2019, quanto sia stato importante il contributo delle esportazioni nette alla crescita del Pil. Un dato, dice Di Carlo, che sottolinea ancora una volta lo spostamento verso la dinamica di una strategia di aggiustamento economico trainata da esportazioni nette. Per passare ai numeri, il ruolo delle esportazioni di servizi turistici all’interno del totale delle esportazioni, per paesi come Grecia e Portogallo, rappresentano 25% e il 30% nel 2019, per la Spagna sopra il 15%, per l’Italia la percentuale si arresta al 5-7%. Un aumento che si riflette nelle bilance commerciali dei Paesi europei meridionali, anche se la dinamica italiana rimane sempre minore, non configurando, a partire dal 2010 e quindi post crisi finanziaria, il boom degli altri paesi del sud Europa. I numeri la dicono lunga: in Grecia, il turismo conta per oltre il 20% del pil, in Portogallo si aggira sul 17-128%, in Spagna intorno al 12-14% del Pil, mentre in Italia si passa da circa il 9-10% a quasi il 13%. Per quanto riguarda l’occupazione, in Grecia il 25% degli occupati sono impiegati direttamente o indirettamente in attività collegate al turismo, in Portogallo oltre il 20%. I dati provengono dal World Tourism 0rganization, come sottolinea Di Carlo.

Tirando le fila, senza dubbio, come spiegato dall’economista, il turismo internazionale nel suo ruolo di volano di crescita è stato spesso sottovalutato all’interno delle politiche economiche dell’Europa, anche per quanto riguarda il dibattito pubblico. Senz’altro, per quanto riguarda il tema affrontato e sviluppato dal docente, i flussi turistici dal nord al sud dell’Europa hanno funzionato come meccanismo di parziale stabilizzazione economica, maggiormente positiva in quanto ha operato in mancanza di una unione sia politica che fiscale dell’area euro. Tuttavia, alcuni punti rimangono forieri di preoccupazioni anche forti.

Senz’altro, l’eccessiva dipendenza dal turismo sviluppato dalle economie dell’Europa meridionale presenta problemi non di poco conto. “Fra questi, la ristrutturazione, evidente nei dati sull’occupazione, – spiega di Carlo – di questi sistemi economici verso servizi a bassa qualificazione, bassa manodopera, basso costo, basso contenuto tecnologico. Corriamo il rischio di creare un’Europa a due velocità, dove il sud Europa si specializza in economie fatte da attività poco qualificate e a basso valore aggiunto, mentre l’Europa del nord si specializza in settori ad alto valore aggiunto?”. Forse urge una riflessione su questo tema.

Non solo. Il settore del turismo in Italia è sempre più esposto a una concorrenza di prezzo, sottolinea Di Carlo richiamando il recente esempio, che tanto quest’estate ha fatto discutere, dell’Albania e delle sue proposte turistiche a prezzi, rispetto a quelli italiani, “stracciati”. Ovviamente, la concorrenza di prezzo è una “minaccia” a cui il turismo italiano è sempre più esposto, sia per il Nordafrica, come si è detto, che per i paesi dei Balcani sia del Middle East; paesi tra l’altro sempre più facilmente raggiungibili con compagnie aeree low cost. “Il turismo ha inoltre un forte impatto ambientale – dice l’economista – che si scarica sulle risorse naturali locali ma anche sulle infrastrutture o meglio sulla loro usura a livello locale”.

L’onda alta del turismo internazionale inoltre, come sottolinea Di Carlo, “si abbatte sulla società impattando e accrescendo la disgregazione sociale a livello urbano, provocando nel tempo la nascita di forti dinamiche di contestazione politica”. Soprattutto, “come è risultato evidente nel periodo della pandemia”, una forte dipendenza dal settore turistico internazionale si accompagna “a una forte vulnerabilità agli shock esogeni”.

Tirando le fila, se per Di Carlo sul turismo si può “e forse si deve” puntare di più. “specialmente in Italia alla luce dei dati resi noti”, tuttavia il settore “va governato”.

E’ dunque auspicabile, dice Di Carlo, “un governo del fenomeno che garantisca la diversificazione economica, la tutela dei territori e delle persone che ci vivono, dell’ambiente, dei patrimoni tangibili e intangibili e soprattutto, è necessario vengano contemplati sistemi di compensazione e protezione sociale per le fasce più deboli, che fanno parte di questa ristrutturazione economica verso il settore del turismo internazionale”.

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