La condanna all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Tramontano, la donna incinta di sette mesi uccisa il 27 maggio 2023 con 37 coltellate, ha svelato un argomento che, a guardare i molti casi di cronaca, è purtroppo attuale: il narcisismo mortale. Si tratta di un forte disturbo della personalità che, nel caso specifico, ha portato il femminicida Alessandro Impagnatiello a compiere l’estremo gesto nei confronti della compagna con la quale non voleva più continuare una relazione.
Ne parliamo con la dottoressa Roberta Catania, psicologa clinica e forense e criminologa.
Dottoressa Catania riusciamo a tracciare un identikit dell’uomo narcisista?
Facendo una doverosa distinzione tra semplici tratti narcisistici (flessibili e non pericolosi) e la diagnosi di disturbo di personalità narcisistica, il narcisista patologico è colui che mette sempre sé stesso prima di tutti e al centro di tutto. Che non prova sentimenti genuini per le altre persone, ma le utilizza come uno specchio al fine di accrescere e potenziare il proprio ego. Riesce con parole persuasive e fare amorevole a confondere il partner arrivando a disarmare emotivamente al punto che il distacco diventa impossibile e struggente. Riguardo Alessandro Impagnatiello la perizia psichiatrica ci racconta di un narcisista psicopatologico maligno di tipo overt, caratterizzato da un sé ingombrante, da un’alta capacità di socializzare per i propri scopi utilitaristici, con una mancanza totale di empatia e una forte propensione ad agire con aggressività la frustrazione anche se repressa. Ben diversa da quella del femminicida Filippo Turetta l’assassino di Giulia Cecchettin che pure manifesta una personalità narcisistica ma di tipo covert, all’apparenza è introverso, scarsamente propenso alla socialità, tende a vittimizzarsi ma solo per ottenere accudimento e compassione, per tenere legata la sua vittima attraverso le proprie ferite. L’altro è necessario alla sopravvivenza, poiché gli rimanda un’immagine di sé migliorata e amabile. Con Giulia, ad esempio, ha minacciato più volte il suicidio, che non ha mai messo in atto, così da far leva sul senso di colpa.
Che idea si è fatta di lui, come criminologa? Cosa l’ha colpita di più?
All’apparenza Impagnatiello si mostrava come il classico “bravo ragazzo” che era riuscito a costruire un’immagine di sè grandiosa. Si mostrava come un uomo realizzato, un compagno amorevole ed anche un bravo papà col figlio avuto dalla relazione precedente. Non sembra maltrattasse fisicamente e apertamente Giulia e mai aveva dato segnali inequivocabili di quello che avrebbe fatto. Dietro questa facciata, però, la manipolazione psicologica e la frustrazione dei propri bisogni invece era portata avanti da moltissimo tempo.
Come?
Sicuramente sappiamo che ha costruito un castello di bugie, portando avanti contemporaneamente due relazioni affettive. Ma è evidente anche l’atteggiamento altalenante nei confronti dell’accettazione della gravidanza mai realmente accettata al punto da tentare con la somministrazione del veleno, uccidendo il bambino ancora nel grembo della mamma. Questo bambino rappresentava un problema perché oltre ad assumersi nuove responsabilità, avrebbe dimezzato le attenzioni e la luce di Giulia. Se non bastasse, durante il processo non ha mai mostrato segni di pentimento: le sue poche lacrime sono state versate solo perché ormai smascherato nella sua messa in scena ma mai realmente per suo figlio e tantomeno per la tragedia che aveva causato a Giulia e alla sua famiglia. L’ultima immagine, mentre viene letta la sentenza, del suo volto sprezzante è emblematica.
A questo punto le chiedo un suo parere sulla legittimità della pena e se la rieducazione del condannato in casi come questo previsto dall’art.27 della nostra Costituzione sia applicabile.
È molto difficile che un soggetto affetto da disturbo narcisistico della personalità chieda autonomamente aiuto, riconoscendo di avere un problema. Il primo passo per poter operare un cambiamento su sé stessi è avere consapevolezza delle parti di noi che non funzionano adeguatamente. Il nucleo del disturbo narcisistico risiede proprio nel sentirsi “in diritto di”, di conseguenza la responsabilità dei propri fallimenti è quasi sempre spostata fuori. Sulla pena mi lasci dire che nonostante il fine rieducativo sia necessario perché una volta scontata la pena vi è la necessità di minimizzare la possibilità che vengano riproposti gli stessi reati, purtroppo nel nostro Paese non sempre essa viene scontata per intero. Così tra permessi, buona condotta, ed altro ancora non è infrequente vedere uscire dal carcere prima del previsto l’autore del reato, con grande dolore da parte di chi ha subito la perdita di una persona cara. È come se si calpestassero senza pietà i diritti delle vittime.
E allora secondo lei si nasce o si diventa narcisisti assassini?
Al netto di predisposizioni genetiche e fattori biologici, è nella primissima infanzia che si formano i tratti di personalità di un individuo. Sicuramente esistono delle dinamiche familiari disfunzionali in cui un genitore, può dare origine a quei presupposti per cui si generano dei giovanissimi narcisi. Questo però non vuol dire che tutta la responsabilità ricada all’interno della famiglia, perché anche i contesti sociali svolgono un’azione altrettanto importante. La diagnosi spesso però arriva quando il disturbo è già estremamente strutturato. Nel caso di Alessandro Impagnatiello ad esempio, è presente anche una componente antisociale e persecutoria. Lui aveva infatti bisogno di essere ammirato, di essere il migliore, seducente. Tutto doveva girare intorno a lui, perché doveva sentirsi al centro di tutto. E quando Giulia Tramontano ha scoperto la sua doppia vita, quell’ego smisurato ha iniziato a frantumarsi. Per un narcisista overt, essere scoperti è come vedere il proprio impero crollare. Dapprima il veleno, come un disperato tentativo di riprendere il controllo su Giulia e il figlio che ella portava in grembo, poi il coltello, perché Giulia a quel punto non era più una persona, ma una minaccia da eliminare.
Quali sono in una relazione i campanelli d’allarme da non sottovalutare?
Non è sempre facile capire se abbiamo a che fare con un narcisista ma ci sono dei segnali, o meglio ancora le red flag che devono far scattare l’allerta nella vittima e nei suoi familiari. Ad esempio, quando c’è una dimostrazione d’amore improvvisa ed esagerata senza che vi sia stato un adeguato periodo di conoscenza. Il narcisista ha un gran fascino e sa interpretare il ruolo del principe azzurro, investendo la vittima con messaggi, dichiarazioni d’amore: un vero e proprio love bombing (bombardamento d’amore). Tutto ciò può innescare infatuazione e poi innamoramento soprattutto in soggetti che hanno una predisposizione alla dipendenza affettiva, rimanendone vittime. Ci dobbiamo sempre chiedere all’interno di ogni relazione se ci sentiamo al sicuro. Sicurezza non tanto e solo fisica, ma soprattutto sicurezza emotiva.
È possibile a questo punto pensare nel nostro Paese ad una “vaccinazione culturale” come ipotizzata da diverse criminologhe italiane, tra cui lei e Roberta Bruzzone?
È una terminologia sarcastica ma molto efficace. Siamo infatti arrivati ad un punto di svolta. Si tratta di cambiare la mentalità sul patriarcato ovvero l’istituzionalizzazione del dominio maschile sui bambini e sulle donne dentro e fuori l’ambito famigliare. Semplificare i concetti serve per raggiungere l’obiettivo, usare il più possibile un linguaggio fruibile a tutti affinché un gran numero di persone possa accedere ai contenuti d’informazione e trovarli comprensibili. A cominciare dalle giovanissime generazioni che ad oggi sono preda di convinzioni e credenze sulle relazioni affettive altamente disfunzionali.
In foto Roberta Catania Psicologa Clinica e Forense, Psicodiagnosta, Criminologa e Giurista. Autrice di diversi saggi su cold case e fenomeni criminali irrisolti . Ospite a Mattino 5.