Nello show dei cento ordini esecutivi firmati da Donald Trump, come in un recital, nella Capitol Hall Arena davanti a 20mila fans, il salvataggio di TikTok rappresenta un cammeo non da poco. Certo, ci sono scelte politicamente più rilevanti, come il perdono degli assalitori a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, o le norme introdotte sull’immigrazione, su sessualità ed energia. Ma le caratteristiche di quella che sarà la seconda presidenza di Trump si intravedono soprattutto nel caso-TikTok.
Si tratta di una scelta che ha impedito l’applicazione di una legge votata a larga maggioranza dal Congresso. La norma bandiva il social del colosso cinese ByteDance dal territorio americano, fino all’individuazione di un acquirente statunitense. Il “Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act”, approvato ad aprile dal Congresso è entrato in vigore il 19 gennaio, alla vigilia dell’insediamento di Trump, ma ha retto solo dodici ore. Poi è stato sospeso dall’ordine esecutivo del Presidente appena insediato.
Su TikTok era apparso un malinconico avviso: “La legge che entrerà in vigore alla mezzanotte americana del 19 gennaio ci costringerà a rendere l’app temporaneamente non disponibile. Stiamo lavorando per ripristinare il nostro servizio negli Stati Uniti il prima possibile e apprezziamo il vostro sostegno”. E poi, ripresa speranza, avevano aggiunto: “Per fortuna il presidente Trump ha detto che troverà con noi una soluzione per rendere nuovamente disponibile TikTok appena si insedierà”.
Infatti, sul suo social Truth, il Tycoon aveva rassicurato: “Salvare TikTok”. E quando, nell’ultimo discorso pubblico prima dell’insediamento Trump ha annunciato la liberazione di TikTok, dal folto pubblico di americani è partita una vera e propria standing ovation. Superiore anche a quella per l’annuncio della tregua a Gaza tra Israele e Hamas.
Nonostante la Corte Suprema il 17 gennaio avesse decretato la piena regolarità della norma anti-TikTok, escludendo anche qualsiasi infrazione rispetto al Primo Emendamento della Costituzione Americana, Trump ha scavalcato sia il potere legislativo che quello giudiziario e ha fatto di testa propria.
Al suo insediamento, nella rotonda di Capitol Hill, così come la squadra al completo dei tecno-miliardari, non a caso c’era anche Shou Zi Chew, ceo di TikTok. E non in uno strapuntino, ma seduto accanto a Tulsi Gabbard, appena nominato da Trump direttore dell’Intelligence nazionale.
L’atto che salva Tik Tok firmato il 20 gennaio è retroattivo al 19 gennaio e determina la sospensione per 75 giorni del “Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act”. Trump ha reso note queste motivazioni: “Ho la responsabilità costituzionale unica della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, della conduzione della politica estera e di altre funzioni esecutive vitali. Per adempiere a tali responsabilità, intendo consultarmi con i miei consiglieri, compresi i capi dei dipartimenti e delle agenzie competenti, sui problemi di sicurezza nazionale posti da TikTok e perseguire una risoluzione che protegga la sicurezza nazionale salvando al contempo una piattaforma utilizzata da 170 milioni di americani. Ho dato istruzioni al Procuratore generale di non intraprendere alcuna azione per l’applicazione della legge per dare alla mia amministrazione l’opportunità di determinare la strada appropriata da seguire”.
Se ci fosse stato bisogno di altro per comprendere quanto il potere dei social sia ormai dirimente non solo nell’informazione, ma anche nella politica e nelle relazioni tra gli Stati, Trump ha fatto capire l’aria che tira. Una legge votata dai rappresentanti del popolo democraticamente eletti è stata ignorata dal Presidente eletto, inserendo TikTok tra gli elementi della sicurezza nazionale.
Nel comizio tenutosi a Washington D. C. prima dell’insediamento, Trump ha anticipato la sua mossa: creare una joint venture compartecipata da ByteDance e da un’azienda statunitense. Che però ancora non c’è. Tanto per sollecitare il mercato, Trump ha aggiunto: “Salviamo TikTok, la teniamo in buone mani e le permettiamo di affermarsi. Senza l’approvazione degli Stati Uniti, non esiste TikTok. Con la nostra approvazione, vale centinaia di miliardi di dollari, forse trilioni». In barba ad ogni ipotesi di turbativa di mercato, Trump ha probabilmente anche tenuto contro di quei milioni di cittadini statunitensi che, non potendo fare a meno di TikTok, nell’arco delle dodici ore di sospensione, si sono iscritti a Xiaohongshu, l’app cinese conosciuta come “Red Note” e cioè “Libretto rosso”. Forse Trump avrà pensato ad una sorta di contaminazione comunista.
Fatto sta che il “Presidente Trump 2” ha cancellato la scelta fatta su TikTok dal “Presidente Trump 1”. È infatti il 6 agosto 2020 quando, nel corso della sua prima amministrazione, Trump vara un ordine esecutivo che dispone il divieto di TikTok negli Stati Uniti. Motivo: la piattaforma è una minaccia per la sicurezza nazionale. L’ordine sottolinea la possibilità che i dati degli utenti vengano trasferiti a entità politiche cinesi. Tutto il contrario delle motivazioni addotte adesso per la riabilitazione del social di ByteDance. Allora TikTok reagì intentando causa contro l’amministrazione Trump. Oggi la pace è stata ufficialmente siglata.
A chi gli ha fatto notare che lui stesso aveva emesso un ordine esecutivo per arginare il rischio di un “furto” di dati di cittadini americani da parte del social cinese, Trump ha risposto: “”E’ un’app che usano i giovani e se la Cina ruba i dati dei giovani, sinceramente, non è un grande problema“. Luigi Pirandello avrebbe aggiunto: “Così è, se vi pare”.
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