Tristano metafisico (e un po’ dark) apre il Maggio della sobrietà

Presenti  le  cariche istituzionali della città, dal Cardinale Betori al Sindaco pro tempore Dario Nardella, all’Assessore Carla Fracci. Quasi una pre-inaugurazione pensando al prossimo 10 maggio e al Gran Galà che darà il via al nuovo inizio del Teatro dell’Opera di Firenze alla Cascine. Molta la curiosità per la produzione del nuovo  spettacolo interamente curata dal regista Stefano Poda, mai approdato sinora alle scene fiorentine. Caratteristica del suo lavoro è quella di ricondurre a sé le 3 o 4 figure professionali che tradizionalmente ruotano attorno al ruolo del regista: scenografo, costumista, direttore delle luci.

Poda fa tutto da solo, intonando così le proprie scelte ad un’unità d’ispirazione che era poi anche quella preconizzata da tutta la produzione wagneriana. Dunque ci troviamo davanti ad una scena scarna, disadorna, virata ad un  color ruggine e a tutte le sue nuances, dal grigio al marrone cupo. Dal soffitto pende un enorme ciambellone quadrato che palesemente simula il ponte di una nave. È sospeso, dondola, oscilla, può essere alzato e abbassato in modo da inclinarsi pericolosamente verso il fondo della scena. L’intero spazio vuoto del palcoscenico è solcato verticalmente da un filo di riso che scende ininterrottamente dal soffitto e in mezzo alla scena forma un grande mucchio bianco continuamente in movimento, simbolo del la finitezza umana, fulcro della vicenda  leggendaria dei due protagonisti e del loro amore.

Un’ambientazione metafisica  e notturna, forse un po’ monocorde per le quattro ore di spettacolo, che in questa dimensione  cerebrale poco concede alla fisicità dei gesti dell’amore. Sia stata l’impronta registica  o le caratteristiche recitative degli interpreti , di fatto,  sia  il Tristan  del tenore Korsten Kerl  sia l’ Isolde  di Lioba Braun,  entrambi dotati della dovuta padronanza tecnica, sono apparsi personaggi troppo statici e senza quell’ autorevolezza vocale richiesta dai ruoli, sia nel timbro e nel volume  che nelle iridescenti nervature espressive del canto. 

Ai protagonisti forse è lecito affermare che hanno rubato la scena i due comprimari, Giulia Rutigliano,  l’ancella Brangane  e  il Kurwenal di Martin Gantner che è apparso, anche a giudizio degli applausi ricevuti, il più convincente del cast, a confronto anche   della poco incisiva prova di Stephen Milling, l re Marke . Uno spettacolo comunque convincente che nel finale, improvvisamente illuminato  da una scena  trasfigurata  da un bianco candido e abbagliante,  trasforma  l’adultera Isolde in una dolente sacerdotessa  dell’estasi  d’amore. 

Festeggiatissimo il Maestro Zubin Mehta, il cui compleanno cade proprio nei giorni di apertura del Festival, che ha impresso all’Orchestra un ritmo serrato e sorvegliatissimo  mettendo a frutto  l’esperienza  e quella complicità di intenti che anche in questo caso hanno portato l’Orchestra del Maggio a suonare con la bravura e la brillantezza delle grandi occasioni.

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